giovedì 31 dicembre 2009

Buon Anno e Buona Pazienza

Nel voler scrivere un post di fine anno che possa essere un augurio per questo nuovo anno entrante (per quel che vale, visto che i calendari sono solo sequenze di numeri a cui decidiamo di dare delle regole e non credo che domani mattina potrò considerarmi realmente diverso (figuriamoci migliore) solo perchè dal 31 si passa all'1) vi "lascio" con alcune righe di uno scrittore americano, ma austriaco di adozione, Jonathan Carroll, che nei suoi libri ama sondare tutti i territori della narrativa di genere fantastico con un occhio però alla realtà. Un autore non conosciuto dai grandi numeri, ma veramente interessante, edito in Italia da Fazi Editore di Roma. Volevo riprendere per il mio augurio l'inizio di Mele Bianche, un testo del 2003: "La Pazienza non vuole mai aprire la porta al Dubbio, poiché è un ospite sciagurato. Usa tutto ciò che è tuo senza fare attenzione a non distruggere quanto hai di più fragile e insostituibile. Se ciò accade, si limita a scrollare le spalle e se ne va. Senza chiedere il permesso, porta spesso con sè amici equivoci: la diffidenza, la gelosia, l'avidità, e tutti insieme si mettono a spadroneggiare e a cambiare la disposizione dei mobili nelle tue stanze come vogliono. Parlano bizzarre lingue misteriose senza preoccuparsi di tradurre quel che dicono. Cucinano strani piatti nel tuo cuore che lasciano strani odori e sapori ancor più strani. Quando finalmente se ne vanno, che ne sarà di te? Ti lasceranno felice o addolorato? Rimane soltanto la Pazienza con la ramazza in mano."
A me, che sono architetto, credo aspetterà un anno difficile, perchè gli ultimi anni hanno passato una mano di spugna pesante sul senso e sul ruolo di questa professione. Inoltre sembra che solo pochi siano disposti a usare la pazienza per ricostruirla. A tutti gli architetti, ovviamente quelli che lavorano e pensano "minati" da un senso etico, che spesso li costringe a fermarsi e chiedersi: Dove stiamo andando?, a tutti loro Buon Anno e Buona Pazienza!
Mando un augurio alle persone che quest'anno hanno fatto un pò di strada con me, cambiandomi, migliorandomi, che mi hanno trovato in accordo e in disaccordo, facendomi incazzare, ma anche riflettere, e che restano il vero senso di questo mio continuo procedere: ad Alessia, a Giovanni 1, 2, ad Eulalia, a Federico, a Gabrio, a Valentino, a Renata, ad Antonello, ad Otello, a Gioia, a Nullo, a Fabio+Clara, a Mauro, a Roberto, a Vanna+Giovanni, a Walter e a quelli che non mi vengono in mente, ma solo perchè sono stanco. Inoltre benché non le abbia mai viste di persona in questo anno, ma le porto sempre nei miei pensieri: a Rita e a Simonetta. A tutti voi Buon 2010!

lunedì 28 dicembre 2009

Incontri ravvicinati del primo tipo (il migliore) n.2

Il 10 settembre 2005 ero a Venezia per la consegna del Leone d'oro alla carriera ad Hayao Miyazaki alla 62. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Ebbi la fortuna di incontrare al mattino Miyazaki grazie ad una ragazza mai incontrata prima, che, con un mestiere da fan incallita, nella sala stampa, che allora, biglietto alla mano era ancora raggiungibile anche dal pubblico pagante (ora manco a pensarci, peggio della gestapo), mi prese in buone e mi spiegò dove sarebbe stato possibile farlo con facilità senza infastidire nessuno, tanto meno gli artisti e la sicurezza. Ci "appostammo" dietro una tenda e a fine conferenza stampa, sfruttando un passaggio obbligato degli artisti verso la sala dei rinfreschi, la ragazza tirò con facilità il tendaggio trovandosi Miyazaki davanti, che con fare divertito si diresse verso di noi per poi firmarci alcuni autografi. Insomma incredibile. Oggi probabilmente per fare lo stesso dovrei fare carriera politica, diventare presidente di qualcosa e farmi invitare a qualche festa, mentre nel 2005 (ovvero meno di cinque anni fa) mi bastò scambiare quattro parole con una ragazza della mia età. Il mondo e le cose sembravano davvero un pò più tranquille. Oggi la sensazione è quella di uno stato di guerra perenne, dovunque si vada e qualunque cosa si faccia e non è un bel vivere.
Comunque non è di Miyazaki che voglio parlare. Mi trovai circa un'ora dopo l'incontro con il giapponese ancora dietro la tenda con un gruppetto che aspettava qualche attore americano di cui non mi ricordo bene, credo fosse Ralph Fiennes però. Contemporaneamente a Fiennes, di cui mi interessava meno che meno, la ragazza, ormai mia guida virgiliana nell'inferno della mostra cinematografica, mi disse sarebbe uscito anche Omar Sharif. Scusate ma stava parlando del protagonista di Lawrence d'Arabia e de Il dottor Zivago. Io pensavo scherzasse. Uscito Fiennes per primo, poi tutti sparirono, la ragazza compresa e ad aspettare Sharif restammo io, un giornalista e dietro a me due operatori di una TV privata, Canale Italia. I tre fecero un casino pazzesco con un responsabile dell'ufficio stampa dicendosi amici di chissà chi per poter fare l'intervista all'attore egiziano. Dopo accordi durati qualche minuto, ottennero l'ok per l'intervista e il tipo dell'ufficio stampa disse che avrebbe portato lì a breve Sharif. Io ero lì, il primo della fila, con i tre giornalisti dietro. Uno di Canale Italia mi chiese chi aspettavo e io dissi: "Omar Sharif" e aggiunsi con sfacciataggine "... e naturalmente ci sono prima io!". A quel punto i tre non dissero più nulla. Dopo pochi minuti arrivarono l'ufficio stampa e una tipa, che tirò la famigerata tenda. Io mi trovai così lì con Omar Sharif davanti. L'attore vide la televisione dietro a me e convinto che io fossi un intervistatore si propose a me propenso a rispondere ad alcune domande. Al che io tirai fuori un foglietto di carta e una penna e gli chiesi un autografo. Sharif sorrise, mi fece l'autografo e mi chiese se avevo domande. Dissi che avevo solo curiosità. L'attore che parla bene l'italiano e ha dei modi molto gentili non fece opposizione alle mie curiosità, mentre dietro gli altri si domandavano imbarazzati che cavolo succedeva. A quel punto salutai Sharif, il quale mi disse che avrebbe gradito rispondere ad altre mie domande, ma aveva le interviste "di lavoro", come precisò. Io feci spazio e mettendomi dietro ascoltai le domande dei colleghi. Dopo una decina di minuti era tutto finito. Prima di andarsene Sharif mi salutò di nuovo e ebbe il tempo di dire: "Sarò felice di vederla più tardi al padiglione tal dei tali (che ora non ricordo)". Seguendo la mia sfacciataggine, alcune ore dopo mi recai al padiglione tal del tali, ma non ebbi poi la voglia di disturbare ulteriormente l'attore. Ebbi il tempo di scattare una foto a lui che accarezzava Stefania Sandrelli, felice di incontrarla lì. Notai quei suoi gesti dolci, molto orientali direi e questa sua pacatezza. Nel tornare sui miei passi ricordo che ripensai al film Palombella Rossa di Nanni Moretti, al regista romano che assieme a tanti altri nella piscina della pallanuoto grida: Voltati! Voltati!, mentre vede sullo schermo di una televisione Omar Sharif nei panni del dottor Zivago inseguire Lara ormai salita su di un tram e venire poi colto da un malore mortale e cadere a terra. Mi ricordo che pensai che infondo esistono molti attori bravi, ma uomini per bene forse molto meno e credo Omar Sharif sia tra quelli.

mercoledì 23 dicembre 2009

Natale! Oh my god!

Chi mi conosce sa che non amo il Natale e tutto il periodo connesso. Chi mi conosce sa che mi piacerebbe addormentarmi il 18 di dicembre e svegliarmi l'8 di gennaio successivo. Chi mi conosce sa che in questo periodo divento suscettibile, piuttosto propenso all'incazzatura. Direi che se dovessi dare un'idea del mio rapporto con il Natale andrebbe bene quanto scrive Micheal Curtin in un suo delizioso volumetto del 1989, "La lega antiNatale", edito in Italia da Marcos y Marcos: "Se il Natale fosse una persona uscirei in una notte di nebbia a tagliargli la gola, poi mi costituirei e passerei felice il resto della mia vita a guardare video dietro le sbarre". Condivido tutto, tranne che forse non guarderei video.
Comunque sia chiaro non ho nulla contro la festività religiosa in sè, anzi, essendo essa fondamento di una cultura religiosa che mi ha formato, ma non sopporto tutto quanto è stato costruito attorno ad essa. Non posso accettare che si cominci a fare pubblicità ai pannettoni ad ottobre, che si vada in giro in dicembre scorgendo dovunque persone che sembrano tanti drogati, assuefatti alle compere più assurde nel nome del dio regalo. La gente che fa regali a gente che non stima, per compiacenza e a volte per semplice speranza nella benevolenza altrui a me fa pensare molto, da sempre (e non si può in tal senso nemmeno parlare di tempi contemporanei, essendo tradizione giunta a noi attraverso un modo di fare "storico", che chiameremo all'italiana). Scusatemi, non sapete quanto mi spiace fare retorica su questo, non sapete come mi fa star male andare in giro e vedere la gente comportarsi esattamente come pregherei non facesse.
Va bhe, pazienza, non si può dar di continuo contro ai mulini a vento, prendiamo la nostra stellina luccicante, appendiamola alla finestra e con lo sguardo sognante guardiamo fuori, sospirando: "E' Natale!" Auguri (in senso assoluto)!

lunedì 21 dicembre 2009

Reati dei giorni nostri

Interessante questa sentenza del Tribunale di Ancona, confermata poi dalla Corte di Cassazione (notizia di questi giorni), che ha valutato la "linguaccia" come una forma di reato. Chiaro che come è proprio dei mezzi di comunicazione, si prende la notizia, la si sbatte lì sul piatto, senza un minimo di approfondimento su cosa ci sia sotto o a lato, ma tant'è che la cosa è singolare. No, non è singolare per la notizia, ma perchè quando apro la televisione e vedo gente di tutte le età e condizioni (anziani che dovrebbero darmi un esempio comportamentale, giovani che non capisci come a vent'anni possono essere già lì a dire la loro, gente di "cultura", politici), parlare, sboccati, mandando a quel paese (non usando peraltro proprio il termine "..vai a quel paese", ma peggio) chiunque li contraddica, io sarei il primo a mandarli tutti a quel paese prima e in galera poi e invece mi ritrovo la sera, stremato, in pigiama, a subire qualsiasi cosa, impotente. Certo alla fine chiudo la televisione, prendo un libro, ma mi pare che quella, che è una mia scelta, in realtà sia quasi una costrizione, un aut aut. Ecco, dopo aver chiuso l'ordigno infernale per costrizione, mi sento sempre un pò meno libero, in galera appunto, e non ho fatto nenche la linguaccia a nessuno.

mercoledì 16 dicembre 2009

Specie autoctone

Utilizzo alcuni pensieri dell'Editore Franco Maria Ricci, ascoltati durante un'intervista per il programma televisivo ArteNEWS su Rai 3 il sabato mattino. Ricci si dice appassionato dei labirinti. Ne ha realizzato uno nella sua enorme proprietà nelle campagne vicino Parma. Per il labirinto ha utilizzato la canna di bambù. Dice che è perfetta perché cresce alta, definendo rapidamente i percorsi. Inoltre, dice Ricci, all'interno di un discorso ecologista più ampio, le canne assorbono tutta l'anidride carbonica che trovano attorno, garantendo una sorta di ossigenazione e purificazione del territorio. Crescono veloci, dice Ricci, e si espandono, invadendo il territorio. Gli piace questa idea, a Ricci, di espansione/invasione purificatrice da parte di una specie non autoctona. Sottolinea poi che questo paese, l'Italia, dalle tradizioni e dalla cultura, anche alimentare, precisata come mediterranea, sia piena di presenze alimentari non autoctone, proprio quelle da noi preferite e che qualificano la nostra cucina, appunto, come mediterranea: i pomodori, il granturco oltre alle patate. Forse autoctone erano in origine le sole ghiande, dice Ricci.
Ora, questo discorso mi porta alla testa il testo di una canzone degli Almamegretta, "Figli di Annibale", dove si sottolinea come la presenza prolungata dell'africano Annibale e della sua stirpe contaminata che da lui probabilmente derivò, dopo la sua discesa attraverso le Alpi, ci qualifica italiani doc, come la nostra cucina si qualifica mediterranea doc; ovvero ci potrebbe qualificare come di derivazione africana al pari di come la nostra cucina si potrebbe qualificare di derivazione prevalentemente non autoctona. Questa correlazione divertente di pensieri, nata così, il sabato mattina, senza verifiche di quanto vado dicendo e sostenendo, mi ha portato a guardare fuori dalla finestra e vedere i molti bengalesi e senegalesi che passeggiano per le strade della mia città con un senso di maggior condivisione culturale, non riuscendo idealmente infine più a rinunciare a loro come non so più rinunciare agli spaghetti al pomodoro. Che questa invasione umana non autoctona non si riveli alfine anch'essa purificatrice delle pochezze e bassezze culturali che spesso sono insite nelle nostre insistite velleità di isolamento provinciale?
(nella foto i muri di Belleville a Parigi)

giovedì 10 dicembre 2009

Incontri ravvicinati del primo tipo (il migliore) n.1

Una sera a Trieste, nel 2005 mi capitò di incontrare Giovanna Mezzogiorno. Lei fu affettuosa oltremodo e io non mandai più in lavanderia il mio giubbotto nero. La stimo molto.

mercoledì 2 dicembre 2009

Grandi o grossi?

Ho sentito per caso un'intervista a Pietrangelo Buttafuoco (già il nome è interessante vista la sua verve provocatoria e polemica), scrittore catanese, attualmente in libreria con il suo romanzo Fimmini uscito per Mondadori. Parlava del suo libro, delle donne, ma non ho ascoltato troppo. Mi ha interessato una sua risposta alla domanda: "Cosa non le piace di questa nostra Italia?". Bhe, mi aspettavo di tutto un pò e invece il siciliano se ne è uscito con: "Non siamo più in grado di produrre grandezza!"; e aggiunge (lo scrivo per come me lo ricordo): "L'ultimo in grado di esportare la nostra lingua all'estero, e di imporsi come portatore di un linguaggio inteso come espressione viva e fertile è stato Carmelo Bene".
Non so se Carmelo Bene sia stato l'ultimo o a che posto stia nella scala cronologica. Mi appare difficile fare classifiche in materia di "grandezza". Quello che dice Buttafuoco però è vero. Se guardiamo al passato anche recente e ricordiamo, che so: Italo Calvino, Federico Fellini, Enzo Ferrari, Hugo Pratt, Fabrizio De Andrè, Carlo Scarpa, Enrico Berlinguer piuttosto che Aldo Moro ecc. (queste sono eccellenze, ma anche calando il tono ne troviamo a pacchi), insomma coloro che hanno dato un segnale culturale e sociale forte a questa nostra nazione e li confrontiamo con i personaggi che ci circondano, anche quelli che in parte stimiamo o che anche solo crediamo meritevoli (lasciamo stare i nomi, stanno sui rotocalchi e in televisione, bontà loro), appare evidente la caduta. Il problema della mediocrità è insito nella nostra società attuale (non dico contemporanea che lascerebbe speranze, dilatando i tempi) ed è veramente un problema "di fatto", reale. Mi sono interrogato, temendo di dire queste cose minato da una nostalgia per le persone "che furono", invece no, la distanza mi appare evidente: una distanza culturale ed etica, credo, che poi è il perno imprescindibile di ogni "grandezza". Quindi di che cosa o di chi è la colpa? Della scuola, dell'università, dei genitori o forse della televisione, dell'attaccamento ai beni effimeri (i simboli moderni), dell'amore per il soldo e per il potere fine a se stesso? Insomma, non è che il problema stia nel fatto che si è troppo preoccupati a diventare "grossi" per preoccuparsi anche di diventare "grandi"?
Foto di una foto esposta alla Fondazione Fellini a Rimini (2006)

domenica 29 novembre 2009

Feste private

Ieri, che era sabato, mi sono "dato" ad alcuni degli eventi che ormai abitualmente vengono offerti dalla cultura locale. Alcuni anni fa, diciamo sette, forse otto, al sabato pomeriggio non sapevi realmente cosa fare, a parte girare in centro, andare in qualche libreria, organizzare un'uscita al cinema, poi la pizza. Diciamo dal 2003 la regione FVG, in quanto territorio intendo, ha importato un modello alla milanese, alla romana (non nel senso della divisione in parti uguali, quello mai). Ovvero: tutti a costruire eventi, incontri, mostre, concerti e via così, con il risultato di una proliferazione di quei giornaletti gratuiti per l'informazione agli utenti, affinché questi non rischino di risultare sprovveduti dinanzi alla montagna comunicativa. Diciamo che sembrava una grande possibilità, alla lunga mi sembra si stia dimostrando un "fenomeno" che sta ottenendo dei risultati in parte contrari a quelli prefissati.
Partiamo dal dire che il bacino umano regionale non è nemmeno pari, per numero, ma anche per interessi, a quello di una metropoli. Inoltre la dispersione delle risorse non va sempre a beneficio della qualità delle cose. Io credo che per fare una cosa con significato, ma anche con una certa raffinatezza ci vogliono i soldi. Purtroppo è difficile pensare che questi soldi siano sempre pubblici. Altro problema è quindi che i soldi privati spesso preferiscono la cultura della "panza" al posto che quella della "testa". Quindi no problem per trovare soldi alla festa del cavolfiore, più problem a trovare soldi per una mostra di quadri o che so altro.
In questo marasma comunicativo, dove se sei in contatto con gli uffici stampa della zona vieni veramente bombardato di continuo da una miriade di imput che ti consigliano questo o quello e che se, come nel mio caso, hai un interesse alquanto onnivoro alle cose, ti costringono a farti dei veri micro-calendari da seguire, che poi, se perdi qualcosa alla fine ti sembra di non starci più dentro il sistema e di essere tagliato fuori, con il risultato che poi vai a vedere qualsiasi cosa senza nemmeno più un controllo qualitativo a monte e uscire non sembra più uscire senza che si debba vedere, sentire o fare qualcosa e ........Insomma è quasi un secondo lavoro. Ecco quindi che, alla fine di tutto questo processo, abbiamo cambiato tutto per non cambiare nulla (come ne Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa), arrivando ad un calderone il cui significato si è azzerato, portandoci ad una situazione paritetica a quella in cui uno non sapeva che fare. Oh, certo, non parlo del fare nel senso del muoversi, dello spostarsi e dell'uscire per andare da qualche parte, ma del fare costruttivo, per seguire un profilo di ricerca culturale, un profilo di crescita. Questa cosa mi sconvolge parecchio, ma credo sia l'inevitabile traguardo di qualunque processo avviato senza un contenuto critico e progettuale alla base. Credo che uscirne, uscirne vivi intendo, costituirà un problema serio. Di certo la sensazione dall'interno è quella di una caduta e non quella di una crescita.


Comunque, ieri, sabato, preso da questa sindrome conpulsiva-culturale, perdipiù reduce da una sindrome influenzale e quindi tendente al rimbambimento già in partenza, sono stato a vedere l'inaugurazione di una piccola mostra di quadri a Trieste, poi a vedere una mostra di tavole originali a fumetti, poi a cibarmi di una pizza al volo, quindi ad uno spettacolo musicale-teatrale a sfondo civile. Alla sera mi sono trovato a commentare quanto visto assieme ai miei compagni di viaggio, tutti esausti difronte ad un the caldo.
Ciò che però mi spinge a scrivere è il fatto di essermi reso conto che le mie "scelte del giorno" sono state dettate da principi non culturali, non intellettuali, ma da conoscenze specifiche con persone, artisti e curatori, organizzatori o comunque correlati a questi eventi. Ho ripensato, inseguendo in realtà convinzioni già maturate da tempo, che tutto quanto si faccia a livello culturale nel nostro territorio (ma credo che il pensiero sia esportabile a tutte le realtà, non solo a quelle pseudo-provinciali, ma anche a quelle metropolitane) sia ad uso e consumo di un piccolo pubblico di parenti, conoscenti, anche appassionati settoriali, ma che in fondo questo "pubblico" sia alla fine raccoglibile in poche manciate di persone. O certo ci sono sempre nuovi adepti, "uno su mille ce la fa" come cantava Gianni Morandi, ma alla fine sono sempre feste private. Ieri ho seguito incontri, mostre e spettacoli e inconsapevolmente mi sono reso conto di conoscere la maggior parte di coloro che stavano sul "palco". Un mio amico molti anni fa, mi diceva: quando riconosci tutti quelli che stanno sul palco, allora è il momento di cambiare città. Che bestia! Che persona intelligente! Che paura!

domenica 22 novembre 2009

Nuvole

Un amico, dopo aver letto alcuni dei miei ultimi post, mi chiede preoccupato di questa mia propensione ad un certo decadentismo pessimistico.
Credo di doverlo rassicurare precisando che certe tematiche non mi sono nuove o correlate ad un periodo particolare, bensì connaturate al carattere. Credo di avere una propensione verso certi temi e da sempre una tendenza ad enfatizzare tali aspetti quando scrivo. Mi pare dunque che questo decadentismo sia in realtà una sorta di propensione innata, che ho sempre vissuto come una coperta calda e non come un peso. Sin da ragazzo leggevo testi o guardavo film che potremmo ricondurre ad una sensibilità che solo con superficialità potremmo definire malinconica. Mi interessavano certi racconti di Carver, alcune poesie di Baudelaire, certi film italiani non proprio solari (di Carlo Mazzacurati o di Francesca Archibugi). E' un modo di guardare le cose che poi non mi impedisce di farmi una sonora risata, ma che non trova forse nella risata in sè la soddisfazione maggiore. E' come mangiare quelle paste dolci che hanno in fondo un qualche gusto acidulo e non dispiacersene.

Per esorcizzare la cosa ripesco un piccolo scritto di Charles Baudelaire raccolto ne Lo Spleen di Parigi (raccolta di prose scritta tra il 1855 e il 1864), nella traduzione di Gianni D'Elia del 1997 per Einaudi. Un testo intitolato Lo straniero, che mi piaceva molto vari anni fa. Mi rappresenta ancora.

"Chi ami di più, dimmi, strano uomo:tuo padre, tua madre, tua sorella o tuo fratello?"
"Non ho né padre, né madre, né sorella, né fratello".
"I tuoi amici?"
"Usate una parola il cui senso m'è rimasto fino ad oggi sconosciuto".
"La tua patria?"
"Ignoro sotto quale latitudine si trovi".
"La bellezza?"
"L'amerei volentieri, fosse dea e immortale".
"L'oro?"
"Lo odio come voi odiate Dio".
"Eh! Ma allora che ami, stravagante straniero?"
"Amo le nuvole... le nuvole che passano... laggiù... laggiù... le nuvole meravigliose!"
Sì! E le nuvole del Tiepolo, al tramonto, sono bellissime!

sabato 14 novembre 2009

Perché i veri tesori dell'uomo sono inutili?

Sento ancora il bisogno di parlare delle "cose" (vedi etichetta Vizi capitali n. 7: Avarizia). Mi è capitato tra le mani un testo di Bruce Chatwin, Anatomia dell'irrequietezza (pubblicato Adelphi), che ha tra i vari capitoli tematici che lo compone un saggio dedicato alle "cose". Il titolo: "La moralità delle cose", del 1973. Riprendo alcune frasi che vi ho trovato: "Ma le cose hanno un loro modo di insinuarsi in ogni vicenda umana (...). Uno scimpanzé usa pietre e bastoni come strumenti, ma non ha beni da custodire. L'uomo sì. E le cose a cui si affeziona di più non servono a nessuna funzione utile. Sono, invece, simboli, o ancora emotive. (...). Perché i veri tesori dell'uomo sono inutili?. Se capissimo questo, riusciremmo anche a capire i complicati rituali del mercato dell'arte."

E ancora: " Il vero collezionista, (...), è nella vita un voyeur, che si protegge con un'imbottitura di possessi da coloro che vorrebbe amare, dotato di sentimenti delicatissimi per le cose e di una sensibilità glaciale per le persone. (...). Il collezionista si crea un sistema morale da cui esclude gli esseri umani. Possiamo chiamarlo la moralità delle cose. L'acquisizione di un oggetto diventa per sé una Ricerca del Grall - la caccia, l'identificazione della selvaggina, la decisione di comprare, il sacrificio e la paura della rovina finanziaria, la Nube Oscura dell'Incertezza ("sarà un falso?"), l'impacchettamento, il viaggio a casa, l'estasi di disfare l'involucro, il disvelamento dell'oggetto della ricerca, la notte in cui non si va a letto con nessuno, ma si veglia, contemplando, accarezzando, adorando il nuovo feticcio - il compagno, l'amante, ma ben presto il seccatore, da cacciar via o da rivendere quando un'altra cosa più desiderabile lo soppianta nei nostri affetti. (...) Il vero collezionista ospita uno stuolo di amanti inanimati per puntellare le macerie della vita. In un'autoanalisi di precisione chirurgica , Mario Praz, nel suo "La casa della vita", spiega che sulle persone non si può mai fare assegnamento. Bisogna, invece, circondarsi di cose, perché loro non ti abbandonano mai. La raccolta d'arte è dunque un disperato stratagemma contro il fallimento, un rito personale per curare la solitudine. Il mercato dell'arte è l'aspetto pubblico di questa religione privata, e con la sua evidente irrazionalità, sembra sfidare ogni regola commerciale conosciuta. Tramuta l'uomo d'affari in un ingenuo credente, e fa sembrare un prodigio di accortezza il villico con la sua pignatta d'oro al piede dell'arcobaleno."

Direi che Chatwin è anch'esso di una precisione chirurgica. coglie aspetti umani di ampio respiro, sintetizzandoli con precisione. Chatwin spiega anche: "La parola "feticcio" deriva da un'espressione portoghese, fetico; indicante una cosa magica o incantata, con la connotazione aggiuntiva di un che di abbellito o di falso, come maquillage. il termine "feticismo" fu usato per la prima volta nel 1760 da un francese di grande acume, il Président de Brosses, il quale descrive "il culto, forse non meno antico del culto degli astri, di taluni oggetti materiali terrestri chiamati feticci dai neri africani. Chiamerò questo culto feticismo. Anche se nel suo contesto originario esso riguarda le credenze dei neri, io intendo usarlo per ogni nazione i cui oggetti sacri siano animali o cose inanimate dotate di qualche virtù divina". (...) Altri autori hanno parlato del feticismo: per Auguste Comte esso è una fase religiosa che tutte le razze devono attraversare; per Hegel è una condizione in cui sono impantanati i poveri negri; per Marx il "feticismo della merce" è inseparabile dal capitalismo borghese ma è destinato a svanire nell'armonia comunista quando le masse lavoratrici si siano impossessate delle cose dei ricchi. E infine arriviamo a Freud, secondo il quale l'attaccamento feticistico alle cose è radicato nella psicopatologia dell'individuo, è di fatto una perversione, e come tale può essere curato."

Mi fermo qui. Tutta questa analisi è interessante e proficua. Io che collezionista lo sono, da quando ho memoria di me (non d'arte ovviamente); io che dalle "cose" spesso mi faccio rapire, in parte mi ritrovo in tutte queste considerazioni e le condivido. Io credo che siano un incoraggiamento a fare una bella catasta delle cose (di cui ogni giorno ci attorniamo, senza forse nemmeno capire bene perché, visto che la componente feticista, ovvero malata, ci obnubila la mente) e appiccare il fuoco.

Non so, mi sembra che questo sia uno di quei propositi da inizio anno, che già il giorno dopo risulta di difficile applicabilità. Niente fuoco quindi, ma qualche consapevolezza in più sì.

E' ancora più singolare come alla fine di tutte queste cose mi sovvenga una citazione dal Giulio Cesare di Shakespeare che in realtà ricordo perchè apre e regala il titolo italiano ad un libretto della fine degli anni '40, che è anche una delle poche opere conosciute di un autore abbastanza misterioso, di cui anche Leonardo Sciascia si occupò al tempo, ma di cui anch'egli ci seppe dire ben poco. L'autore è Geoffrey Holiday Hall (che sia stato uno pseudonimo?), il libro: La fine è nota, pubblicato nel 1990 da Sellerio editore. Bene. La citazione che apre il libro, dal Giulio Cesare si diceva, è: "Oh, se fosse dato all'uomo di conoscere la fine di questo giorno che incombe! Ma basta solo che il giorno trascorra e la sua fine è nota."

Chissà se staremmo qui a parlare, a fare collezioni, a coprirci del troppo, se sapessimo... ma basta aspettare e ciò che già supponiamo, ciò che senza dubbio alcuno, in realtà, già conosciamo, ci verrà svelato: quanto inutili siano stati i nostri presunti tesori!

sabato 7 novembre 2009

Guido (ultima parte)

Siamo giunti alla conclusione delle vicende di Guido raccontate da un amico dopo la sua morte.

E' strano leggere ciò che si scrive dopo aver lasciato passare del tempo dalla prima stesura. Lasciate decantare le parole sembrano modificarsi nei significati, dare senso diverso alle frasi. Viene quasi sempre la voglia di rimettere mano al testo, scriverci sopra. Credo in realtà, come diceva Borges, che tutto vada scritto come viene pensato all'inizio, senza stravolgimenti forzati a posteriori: che ogni cosa abbia un tempo preciso. E questa esperienza con Guido trova qui la sua conclusione.

L'effetto è sinistro (quarta e ultima parte)

N.B. Il testo è stato cancellato dal gestore del blog, a seguito della pubblicazione del racconto nel volume SessantaQuaranta, edito da ARTeFUMETTO.
Originariamente il racconto si chiamava L'effetto è sinistro; si chiama oggi L'inutile banalità.

mercoledì 4 novembre 2009

Vizi capitali n.7: Avarizia

Quando penso all'avarizia mi torna in mente un film con Diego Abatantuono ("Eccezzziunale... veramente!" Non ricordo bene), dove l'attore si rivolgeva ad un secondo personaggio dicendogli: "Tu c'hai l'avidigia!". Avidigia rende più che avarizia. E' più malato come sentimento, più morboso verso le cose.
Fin da bambino ho sviluppato un approccio collezionistico alle cose. Fossero figurine, giornaletti, esperienze. Mi interessa ancor oggi quel senso di catalogazione che è un atto che supera il momento dell'acquisizione generalizzata, maturata da passioni improvvise, per garantire un inventario che è un modo di mettere ogni cosa al suo posto. Passare, insomma, dal magazzino di roba, di oggetti materiali, ma anche immateriali, quali ricordi, pensieri, sogni, ad una presa di coscienza che conduca ad un'"immagine" finale coerente, che abbia almeno senso, se non significato.

Credo che nessuno abbia saputo aiutarmi nel confronto con le cose meglio di Georges Perec, che attraverso libri quali "Le cose", "La vita istruzioni per l'uso" e quindi "L'uomo che dorme" ha sottoposto al lettore un trittico analitico, quasi psichiatrico sul mutare dello stato d'animo verso le cose.

Non sapendo rinunciare alla mia natura medio-avida (anche in quanto umana), natura animata anche dal senso del possesso e, in epoca consumistica, qual'è la nostra, direi dell'iperpossesso (ma avete mai visto una famiglia alle prese con i beni materiali offerti da un ipermercato?), credo che lo slancio passionale iniziale sia andato traducendosi nel tempo, se non nei fatti, almeno nella propensione, nelle prospettive, in qualcosa di simile al sentimento provato dal protagonista di "Un uomo che dorme" di Perec (testo del 1967, ovvero 40 anni fa... e sembra oggi!). Citando Perec: "Non voler più niente. Aspettare finché non ci sia più nulla da aspettare. Vagare, dormire, lasciarsi portare dalla follia (...). perdere tempo. Tenersi lontano da ogni progetto, da ogni smania. Essere senza desideri, senza risentimenti, senza ribellione".
L'avarizia, il tutto e subito sempre, come obiettivo, come indirizzo per una società senza finalità alcuna, se non quella dell'accumulazione. L'avidità che conduce al vuoto esistenziale, al suo opposto. Al possesso del nulla. Avidità=Indifferenza=Atarassia.
Fermarsi direi. Fermarsi un pò prima. Fermarsi ora. Ma dov'è il freno?

martedì 27 ottobre 2009

Intensità. Intensità?

Tempo fa, girando per le sale del Museo dedicato a Picasso a Parigi, nel Marais, (prima della sua recente temporanea chiusura per ristrutturazione), ho scorto questa foto del pittore mentre con il nipote guarda una corrida. La sua attenzione verso lo spettacolo al quale sta assistendo mi ha fatto pensare alla difficoltà nel provare oggi sensazioni così intense. Forse che la grandezza, in questo caso artistica, del pittore, deriva anche da questa capacità nel prestare giusta attenzione alle cose che lo circondano, avere l'animo aperto e curioso, sempre e comunque.
A me questa foto mi ha imposto delle domande: su quante cose ci passano davanti ogni giorno e alle quali non riusciamo a prestare sufficiente attenzione, al bombardamento di sensazioni a cui siamo soggetti di continuo e alla conseguente povertà di interessi veri che questo involontariamente induce. A quanto finiamo per essere ogni giorno più poveri nonostante la consapevolezza delle nostre ricche possibilità.
Fra alcuni giorni parto per Lucca Comics & Games 2009 , sicuramente l'evento più importante per chi ama i fumetti e una tappa d'obbligo per chi presiede un'Associazione come ARTeFUMETTO. Il dilemma è: da tanto baccano riuscirò a portare a casa veramente qualcosa di buono? Qualcosa che resti intendo, qualcosa che mi renda consapevole di non aver sprecato il mio tempo. In attesa, spero.

domenica 25 ottobre 2009

Constatazioni amichevoli

Stamani non avevo voglia di stare in casa. E' domenica e non fa per niente freddo fuori.
Ho preso la strada verso il centro, la piazza; ho visto più gente del solito in giro. Arrivato in prossimità del municipio ho intravisto il tendone montato dal Partito democratico in occasione delle primarie per l'individuazione del nuovo segretario nazionale e regionale. C'era davanti il tendone una lunga fila di persone, perlopiù anziani o persone adulte, molti bengalesi, che qui in città sono da alcuni anni una componente importante dei residenti. Passando tra la gente: ho sentito molte persone parlare dell'importanza di queste primarie, poi continuando a camminare ho trovato molte persone discutere sull'inutilità di queste primarie, poi ho trovato molte persone dire che il Popolo della libertà ha fatto cose troppo importanti per il paese perché la gente possa dimenticarsene durante qualsiasi giornata elettorale, poi ho ascoltato alcune persone dire che solo il Partito democratico può risollevare l'Italia, poi ho percepito alcune persone parlare di come il berlusconismo stia salvando l'Italia, poi ho sentito alcuni dire che meno male che ora c'é la Lega che definirà uno spartiacque politico, poi ho sentito alcuni dire che solo Debora Serracchiani ci può salvare da Berlusconi, poi che soltanto Bersani ha il carisma e una visione seria del come fare opposizione al governo...........................e poi sono uscito dalla piazza. Ho visto un bambino che correva dietro ad un cane ridendo, ho quindi attraversato alcune vie, alcuni incroci, ho visto due giovani innamorati che si stringevano scambiandosi battute, ho preso il percorso ciclopedonale che costeggia il canale di irrigazione che attraversa la città e ho guardato le foglie degli alberi colorate dall'autunno e più su il cielo ormai azzurro perché le nubi avevano lasciato spazio ad un timido sole, ho guardato l'acqua che scorreva veloce e alcune anatre che con le pinne cercavano di risalire la corrente.........................e dopo aver visto tutte queste cose mi sono chiesto perché mai dovrei perdere il mio tempo a parlare di questi nostri politici e di questa nostra situazione partitica, quando poco più in là, girato appena l'angolo c'è un mondo così bello, fatto di natura, colori, sentimenti... Perché?

venerdì 23 ottobre 2009

Guido (parte terza)

Piccola sintesi
Un narratore continua a ricordare gli stati d'animo e le vicende personali di Guido, suo amico ora morto: si aprono questioni che non riguardano solo l'uomo che ormai non c'è più, ma anche il mondo che lo ha circondato sino alla fine.

Si prosegue...

L'effetto è sinistro (parte terza) 

N.B. Il testo è stato cancellato dal gestore del blog, a seguito della pubblicazione del racconto nel volume SessantaQuaranta, edito da ARTeFUMETTO.
Il racconto si intitola oggi L'inutile banalità.

lunedì 19 ottobre 2009

Vizi capitali n.6: Gola

Poche parole... cioccolato!!!

giovedì 15 ottobre 2009

Ho anche studiato...

Questa pagina è stata sostituita da un nuovo blog, nel quale trova spazio esclusivamente la mia attività professionale, come architetto libero professionista, e di ricerca, come cultore della materia in "Restauro architettonico" presso l'Università IUAV di Venezia, oltre che quanto promosso dall'Associazione Culturale ETRA di Monfalcone, di cui sono socio fondatore.
 
Per raggiungermi:
 

(foto: una lezione allo IUAV di Venezia)

Vizi capitali n.5: Lussuria

Che strano vizio la lussuria, definisce una condizione che implica un' esagerata propensione alla fisicità (diciamo il sesso per banalizzare) e scatena invece perlopiù stati mentali.
Quando penso alla lussuria ricordo la sensazione provata dinanzi al monumento funebre di Oscar Wilde a Parigi nel cimitero di Père-Lachaise. Una coltre di baci lasciati sulla pietra, sulla scritta Wilde scolpita: baci veri con l'impronta del grasso del rossetto che si va dissolvendo oppure disegnati.
Quella pietra invasa che sancisce un rapporto così dinamico tra stato originario (la pietra, il monumento) e innovazione (l'aggiunta, i baci, i depositi umani), mi crea uno stato d'animo non di pace, ma di morbosità e allo stesso tempo di viscidità forse, che mi ha disturbato e mi disturba nel ricordo.
E' tutta qui la lussuria? Uno condizione del pensiero? Magari. Quanti problemi in meno per gli umani.

mercoledì 14 ottobre 2009

In direzione ostinata ma non necessariamente contraria

A volte il lato oscuro della forza si impadronisce di te. Non vi si scappa facilmente. Meglio quindi farsela amica. Ma con intelligenza.

Credo che ci siano persone che veramente non capiscono le cose. Queste meritano comunque rispetto, perché sono persone, con stati d'animo e condizioni di vita che non conosciamo a fondo. Non sappiamo ad esempio cosa le ha portate ad essere così. Risulterebbe inoltre complesso amplificare la ricerca, perché il vuoto fa anche paura. Ci sono quindi scelte conseguenti che appaiono strane, strumentali forse, ma dovute, perché il silenzio a volte serve di più che le parole e il distacco più di comprensioni viziate. A volte bisogna dire basta.
C'é una vignetta di Andrea Pazienza, fatta non mi ricordo per che rivista dell'epoca, che vede un uomo in cappello a cilindro e bastone, ma forse non è neppure un uomo, è una specie di anatra grassa sapiente e vicino c'è un bambino. L'essere indica al bambino alcune cose attorno a sé chiamandole per nome: "Stella", "Fiore", "Notte"... Poi porge la mano al bimbo e gli dice: "Tienimi stretta la mano, figliolo, mi sento le gambe molli...". Ecco credo che ci siano persone che questa vignetta non la capiranno mai. Implicitamente dico, parafrasando l'autore della stessa...Pazienza!!!

domenica 11 ottobre 2009

Guido (parte seconda)

Di seguito la seconda parte del mio resoracconto inedito, "L'effetto è sinistro", vi invito a continuare a leggere. Ho voluto bene a chi mi ha scritto di averlo fatto e mi ha chiesto di volerne ancora. Eccolo quindi!

riassunto della prima puntata (vai a Passioni Scrivere: Guido)
C'è un ragazzo morto, Guido, e un secondo che lo ricorda narrando alcuni momenti della di lui vita. Lui voleva fare l'attore, vi riesce, ora il resto.


N.B. Il testo è stato cancellato dal gestore del blog, a seguito della pubblicazione del racconto nel volume SessantaQuaranta, edito da ARTeFUMETTO.
Il racconto si intitola oggi L'inutile banalità.

Vizi capitali n.4: Accidia

"Sempre avuto solo desideri. Nessuna strategia per realizzarli. Nessun impegno convogliato. Nessuna insistenza puntuta. Immagino sia lì la differenza tra desiderare e volere. Agire per ottenere." Ho letto queste frasi di Makkox nel suo fumetto "Epifanie del giovine assassino" pubblicato sul n.5 della rivista Animals. Mi sembra spieghino bene il fare accidioso, l'indolenza che lo contraddistingue.
Personalmente mi scopro accidioso proprio quando non riesco a convogliare il fare. Mi pare inoltre che tutto il mondo intellettuale contemporaneo viva questa mancanza di strategia nel realizzare le cose. La mia curiosità mi spinge spesso a frequentare incontri con scrittori, filosofi ecc., ma credo che quelle occasioni mi confermino ogni volta di più una sensazione di tacita sconfitta: sconfitta della capacità di quelli di incidere concretamente nelle cose che vanno richiamando. Ormai sembra di assistere solo ad un continuo declamare intorno alla nostra società caduta in disgrazia, invocando la mancanza di armonia, di equilibrio. Mi pare questo fare celare alla fine sempre un lavaggio di mani alla Ponzio Pilato. Il problema è capire se queste persone, che credono di poter cambiare con le proprie parole (sempre e solo parole) situazioni complesse spesso a loro estranee, lo facciano per convinzione o per strumentale convenienza.
Il tema della diversità è forse quello più difficile da affrontare in tale senso. Leggevo un'intervista a Dacia Maraini, scrittrice che culturalmente stimo, dove la stessa alla domanda del cosa fosse la follia, rispondeva : "E' una convenzione. I confini tra malattia e sanità sono estremamente fragili e vanno visti con più elasticità, mentre la gente tende a dividere le due categorie, mette barriere, si terrorizza, molti di questi quando tornano a casa trovano che la gente ha paura di loro. Invece sono persone che hanno ossessioni, depressioni. La malattia mentale appartiene a tutti e in qualche modo contiene anche creatività e allegria".
Nel 1998 ho provato a confrontarmi con questa diversità. Ho accettato di insegnare "Storia dell'arte" ad un gruppo di persone sofferenti di problematicità diverse, all'interno di un percorso formativo all'integrazione di quelli nel campo del restauro del mobile d'arte. E' stata un'esperienza durissima. Mi piacerebbe dire bellissima, ma mi viene solo durissima. Nel gruppo vi erano ragazzi dai 18 ai 30 anni, alcuni alcolisti in cura, alcuni eroinomani in cura, due schizzofrenici, alcuni con malattie mentali di difficile declinazione. Ho passato l'inferno. Li ho portati all'esame, ho vinto la mia battaglia personale. Ma oggi a dieci anni di distanza non ripeterei per niente al mondo quell'esperienza, per egoismo forse o per autotutela, proprio perché il confine è labile e quei ragazzi alla fine avevano mondi molto più estesi dei miei, che mi facevano spesso paura. Mi scuso, ma difronte alla diversità sono diventato indolente, ho perso le strategie. Di certo non andrei in giro a parlarne come di una convenzione, nè richiamerei l'allegria quando ricordo quell'esperienza. Io credo che a volte l'accidia sia uno strumento utile, per far si che di certe cose si occupi chi ha il pelo sullo stomaco, chi sa cosa fare, chi ha un vissuto intorno a quel mondo. Non credo che siano cose da affrontare a parole, specie se pagati a qualche Festival in giro per l'Italia o nel mondo.
Accidioso per scelta quindi. Mi scuso con la società intera.

venerdì 2 ottobre 2009

Guido

Nei post precedenti avevo annunciato di voler pubblicare a puntate un mio "resoracconto" inedito. Il protagonista si chiama Guido. E' un personaggio strano, ambiguo, di certo non simpatico e accomodante, probabilmente spiacevole, ma al contempo dotato di una moralità spiazzante. E' un personaggio contemporaneo che riassume le contraddizioni della sua epoca, che poi è la nostra, che poi forse non è nemmeno più nostra, perché giorno dopo giorno ci sfugge di mano, trasformandosi e purtroppo svuotandosi di significati.

foto: Graffito a Le Halles, Parigi, 2004

N.B. Il testo è stato cancellato dal gestore del blog, a seguito della pubblicazione del racconto nel volume SessantaQuaranta, edito da ARTeFUMETTO.
Originariamente il racconto, che poi si chiamerà L'inutile banalità, iniziava con una citazione di Italo Calvino. La lascio qui in nota (anche con il titolo originale del racconto)

L'effetto è sinistro (parte prima)

… intreccia dialoghi muti, tenta di costruirsi una morale
che gli consenta di restare zitto il più a lungo possibile.
Ma potrà mai sfuggire all’universo del linguaggio

che pervade tutto il dentro e tutto il fuori di se stesso?
Italo Calvino, Palomar, 1983



martedì 29 settembre 2009

Vizi capitali n.3: Superbia

Mi sono reso conto della mia superbia senza remore, girando per le gallerie dedicate all'arte contemporanea.
Se superbia può identificarsi come un atteggiamento manifesto di superiorità espresso verso gli altri o qualcosa, io penso di credermi superiore allorché guardo con assoluta indifferenza il 90% delle opere di cosidetta arte contemporanea esposte in giro per il mondo.

La mia superbia sta tutta nell'aver giudicato in ogni occasione cento milioni di miliardi di volte migliore ogni opera di Piero della Francesca io abbia avuto modo di aver visto nella mia vita di visitatore assiduo di musei, rispetto qualunque della miriade di installazioni, performance, video (e chi ne ha più ne metta) mi sia stata proposta.

La tragedia è che non penso in quei casi nemmeno un minuto ai miei limiti, ma riesco a vedere soltanto i limiti degli altri.

Appare tutte le sere sulla GAM di Torino la scritta luminosa: "ALL ART HAS BEEN CONTEMPORARY" (Tutta l'arte è stata contemporanea), opera di Maurizio Nannucci che ha scovato, pur nella banalità della cosa, un'espressione calzante. Ma ciò non esclude il giudizio. Mi è stato più volte ripetuto che la gente andrebbe educata all'arte contemporanea, affinché possa fruirla meglio, oppure possa assimilarne i contenuti. Io credo che tale ostinato processo di educazione risulti il limite più grande di quest'arte "dell'epoca nostra", poiché non credo che il rapporto con l'opera d'arte si costituisca di codici assimilabili, ma soprattutto di condivisione emotiva tra fruitore e oggetto. Ne va della libertà del giudizio. Ne va della serenità dell'espressione di un pensiero. Solo il giudizio che non si crede giudicato è veramente tale, credo.

E poi. Se l'artista di oggi può permettersi di guardare qualcosa, di sceglierlo, dandogli un significato e a qualcuno ciò appare abbastanza, bene anch'io l'ho fatto cento, mille volte. Ho ad esempio camminato nel bosco, visto un segno rosso su un albero e un seghetto a terra. Ho preso quel seghetto e appeso ad un ramo. Il segno rosso e il seghetto uno accanto all'altro hanno creato un qualcosa che mi stimolava un senso di morbosità, di qualcosa di malato: richiamavano un'atrocità commessa senza che io sapessi quale. Nel fotografare la cosa, sono stato artista o sono stato semplicemente uomo curioso con le sue paure recondite??

Non so. Ciò che so è che la cosa non mi appariva né allora né oggi all'altezza della Flagellazione di Piero della Francesca esposta al Palazzo Ducale di Urbino.


La mia superbia è un dono a volte, che ringrazio di avere.

domenica 27 settembre 2009

Cinema per me

Il titolo di questo post viene da un resoracconto (vedi Etichette: Passioni: scrivere) pubblicato nel mio volume "Continuavo a guardare fuori". Ho deciso di pubblicarlo qui di seguito quale premessa alla mia TOP 20 dei film più graditi o rivisti nel corso degli anni.
Che dire, spero vi piaccia, salvo avvertirvi che nel corso del tempo, guardare i film al cinema o specialmente in televisione, mi da sempre più la sensazione di essere passivo rispetto qualcosa. Non riesco così mai a lasciarmi andare completamente. Spesso i film sono diventati perlopiù stimoli al "fare" che a volte ne consegue.
Buona lettura...!

CINEMA PER ME
Nella mia città vi erano tre “luoghi” per il cinema.
Uno era il “cinema vecchio”: un teatro adattato, dove si proiettavano perlopiù le novità o i titoli di cassetta. Era prerogativa degli adulti o dei bambini accompagnati, enorme, con il palco ligneo, i tendaggi del sipario ancora visibili e delle poltroncine alquanto scomode.
Vi era poi il “cinema nuovo” sede di quelli che ora chiamano b-movie, ma che al tempo costituiva la meta privilegiata dagli adolescenti. Lo ricordo per le sedute in legno, comode per allora, tanto da riuscire a stendere le gambe, poggiare le ginocchia sullo schienale davanti e poi con il piede far cigolare il sedile a bilancino, scatenando così l’ira degli spettatori più esigenti.
C’era infine il “cinema-oratorio”, con le file schiacciate l’una sull’altra, la sala lunga come un corridoio, la galleria già allora inagibile. Nel 1975 avevo sette anni e nel “corridoio” andavo per vedere film come Godzilla contro qualcosa oppure Tarzan. Mi ricordo Pomi d’ottone e manici di scopa e la scena con le armature e i vestiti che volavano, sorretti dalla magia della protagonista. Che impressione! A quei tempi al cinema ci andavamo soprattutto per la liquirizia, non quella amara, ma quella dolce a rotella, che allo spettacolo della domenica, di pomeriggio, magari ci facevi l’indigestione e il lunedì saltavi la scuola.
Nel cinema vecchio ho visto con i genitori l’ennesimo passaggio di Via col vento: in galleria, seduto in un angolo, senza fiato per quante ore non saprei, forse dieci. Una volta, i gestori avevano dimenticato nella bacheca, durante la chiusura estiva, un manifesto. C’erano gli elicotteri e un tramonto infuocato: era Apocalipse Now, quello con la musica dei Doors. Quel film l’ho desiderato e immaginato per un’estate, ma visto soltanto molti anni dopo: “è un fim per grandi”, diceva mio padre.
Alla pari il cinema nuovo era la mia croce e delizia. Vi ho visto, negli anni “classici” come Il bisbetico domato con Adriano Celentano. Ricordo il manifesto con Ornella Muti distesa su di un letto trainato da un trattore: era BELLISSIMA! Oppure il mitico Il tempo delle mele, che, allo spettacolo delle 15.00, di domenica, la sala era così piena, che io stavo in piedi nel bagno, con la testa fuori a intuire quello che potevo. La cotta per Sophie Marceau fu inevitabile, ma d'altronde si era ormai adolescenti.
Ricordo invece che l’ingresso al cinema nuovo era parecchio arretrato rispetto il marciapiede del passeggio e quindi una bacheca, isolata, anticipava i film ai passanti. Il fine settimana davano sempre un film “importante”, ma nelle altre giornate c’erano i “vietato ai minori”, non dico i mitici con la scritta “diciotto”, ma anche quelli meno compromettenti, per i quali da quattordicenne eri già in terra di salvezza. Ai bambini non restava che guardare da fuori, scrutare il più possibile dietro quei rettangoli e quelle stelle che coprivano là dove l’occhio sperava invece di soffermarsi. Con gli amici ci si vergognava a stare immobili di fronte alla bacheca, sotto gli occhi di tutti, e così eccoci a fare cinque o dieci “su e giù”, girando l’occhio al volo e ricordando poi tra noi il possibile, con mezzi sorrisi e parole audaci. Ci pensavamo anche a casa a quelle masse rosa, virate giallo, ombreggiate di blu e marrone. Quei disegni erano il nostro primo interrogarci sull’erotismo. Ma c’erano in quegli anni e in quella bacheca anche immagini e parole violente che restavano in testa e turbavano anche. E le pistole, il sangue erano merce rara per noi alla pari del sesso.
In quegli anni andavo a vedere nel cinema nuovo qualche film di Walt Disney, tipo Nanù, il ragazzo della giungla, mi pare, il pomeriggio del sabato. Ricordo però che durante quelle poche frequentazioni, quando calava il buio mi guardavo attorno e immaginavo la sala piena di adulti, a come doveva essere uno spettacolo per grandi. Ripensavo al potere di quella donna, la bigliettaia, là in ingresso, che come un cane da guardia riconosceva e approvava solo l’umanità con una età maggiore a qualcosa.
Ai più sono bastati pochi anni per dimenticare tutto. Sono cambiate molte cose e il cinema vecchio ha lasciato posto ad un condominio; il cinema-oratorio è stato soppresso e trasformato in nuovo spazio per l’aggregazione giovanile. Il cinema nuovo è oggi una sala per il gioco del bingo.
Nuovi luoghi sono nati: il cinema teatro, il cinema-multisala. E non sono la stessa cosa. Nessuno mi convincerà di questo. I manifesti sono appesi quasi sempre dentro le sale e i film cambiano con la frequenza di un battito di ciglia, destinati rapidamente dal fasto della proiezione al dimenticatoio.
Io però non dimentico, non credo di esserne capace. Quando ripenso ai vecchi edifici, quando vedo dei manifesti dipinti, quando li incontro tra le bancarelle di qualche mercatino dell’antiquariato, ricordo tutto perfettamente. E quei segnali sono timbri stampati nella mente che mi parlano di cos’era andare al cinema per noi bambini, di tutti i film che ho visto senza vederli, magari soltanto immaginandoli.

E' il mio racconto più sintetico, uno dei primi che ho scelto tra quelli scritti. E' stato anche selezionato nel 2005 dalla giuria di un Concorso promosso ad accompagnamento di una mostra di vecchi manifesti di cinema allestita a Grado in quell'anno. Nella giuria vi erano tra gli altri Giorgio Pressburger e Francesco Tullio Altan, due persone che stimo molto.

Bene. Dopo la lettura, un pò di gioco con la classifica. TOP 20: cinema!

1) La grande guerra, Mario Monicelli, 1959

2) Quarto potere, Orson Wellws, 1941;

3) Fahrenheit 451, Francois Truffaut;

4) Ecce Bombo, Nanni Moretti, 1978 (a pari merito con l'episodio In vespa tratto da Caro diario dello stesso Moretti). Nella foto qui sotto sono con Nanni a Pordenone nel 2002 in occasione dello spettacolo teatrale di "Caro diario";


5) La doppia vita di Veronica, Krzysztof Kieslowski, 1991;

6) Harry ti presento Sally, Rob Reiner, 1989;

7) Sabrina, Billy Wilder, 1954;

8) Il disprezzo, Jean Luc Godard, 1963 (a pari merito con A Bout de Souffle, dello stesso Godard, 1960);

9) La città incantata, Hayao Miyazaki, 2001 (la foto sotto l'ho scattata a Venezia nel 2008);


10) L'odio, Matthieu Kassovitz, 1995;

11) Le amiche, Michelangelo Antonioni, 1955;

12) Blade Runner, Ridley Scott, 1982;

13) La spada nella roccia, Walt Disney (Wolfang Reithermen), 1964;

14) The Hours, Stephen Daldry, 2002;

15) Barry Lindon, Stanley Kubrick, 1975;

16) A piedi nudi nel parco, Gene Saks, 1967;

17) Allegro non troppo, Bruno Bozzetto, 1978;

18) Il grande cocomero, Francesca Archibugi, 1993;

19) Parigi, Cedric Klapisch, 2008;

20) Hollywood party, Blake Edwards; 1968.


venerdì 25 settembre 2009

Vizi capitali n.2: Ira

Non mi abbandono quasi mai all'ira, tranne quando guardo la televisione. La televisione mi fa veramente incazzare. Ed è inutile dire perché!
Della televisione salverei dai miei ricordi il Braccobaldo Show (da bambino ogni giorno alle 17.00), Delia Scala e naturalmente Topogigio.

Fumetti

Mi piace leggere fumetti di tutti i generi e provenienza geografica. Direi che i primi fumetti che ricordo sono vecchi "Topolino" che mio padre o i miei nonni mi compravano. Caso vuole che un vecchio Topolino del 1972, che conservo ancora, riporti in copertina un saluto di mio nonno, scomparso ormai da molti anni, il quale mi ammoniva di stare buono, affinché potessi rimettermi meglio da qualche malattia avuta da bambino. Non ricordo l'episodio, ma ricordo una delle storie là pubblicate. Era "Paperino e l'avventura sottomarina" di Rodolfo Cimino e Giorgio Cavazzano, la storia dove appare per la prima volta il personaggio di Reginella. Cavazzano e il suo segno sono stati per me sicuramente il punto di partenza di una passione non ancora scemata. Quando nel 2003 con l'associazione ARTeFUMETTO abbiamo organizzato una mostra con Cavazzano protagonista (lo vedete qui sotto assieme a Vittorio Giardino durante l'inagurazione della mostra), mi è sembrato di chiudere un cerchio lungo trent'anni.



Negli anni le mie conoscenze fumettistiche si sono estese e così anche i volumi e gli autori che stimo, avendo avuto spesso anche la fortuna di conoscerli.

Volevo qui di seguito fare una piccola raccolta dei miei albi preferiti. Vale il fatto che è un elenco in repentina evoluzione, poiché la mia ricerca in quel campo è continua, ma tant'è che il gioco della classifica vale sempre la pena per capire meglio cosa ci sta attorno.

Non metterò ovviamente le storie Disney, delle quali molte di Romano Scarpa, Giovan Battista Carpi, Massimo De Vita, Luciano Bottaro e ovviamente Cavazzano sono ai vertici da ormai molti anni, ma scegliere tra queste è veramente difficile.

Ecco quindi, senza un ordine di preferenza.

Dupuy & Berberian, Monsieur Jean (tra i volumi pubblicati sceglierei Come se piovesse);
 
Frederick Peeters, Constellation (una storia breve, oppure ancora di Peeters, Pillole blu);
 
Gipi, "S" (nella foto sono con Gipi a Napoli);


Paco Roca, Rughe;

Jessica Abel, Artbabe;
André Jullard, Le Cahier Bleu;

Andrea Pazienza, Pompeo;
Manu Larcenet, Lo scontro quotidiano;

Tiziano Sclavi, Giorgio Cavazzano, Altai & Jonson;
Neil Gaiman, Chris Bachalo & Todd Klein, Death: L’alto costo della vita;

Terry Moore, Strangers in Paradise;
Daniel Clowes, Ghost Wordl;

Vanna Vinci, Aida al confine (nella foto Vanna durante una visita a Trieste);

Hector G. Oesterheld, Solano Lopez, L’Eternauta;
 
Regis Loisel, Peter Pan;
 
Sergio Toppi, Sacsahuaman;
 
Hugo Pratt, Una ballata del mare salato (oppure sempre di Hugo Pratt, Corte sconta detta arcana);
 
Vittorio Giardino, Rapsodia Ungherese (nella foto Giardino disegna per il pubblico a Monfalcone);

Lorenzo Mattotti, Fuochi;
 
Alberto Breccia, Mort Cinder;
 
Baru, L’autoroute du soleil;
 
Quino, Tutta-Mafalda (nella foto Quino disegna a Fiume Veneto di Pordenone);
 
Attilio Micheluzzi, Petra chérie.
Buone letture!
Questa è letteratura e arte. Non abbiate timore è vera cultura!

ARTeFUMETTO

Mi sono reso conto che non vi ho ancora raccontato della mia passione più grande: il fumetto. Vado matto per la "letteratura disegnata", odio quando per sfruttarla commercialmente la/lo chiamano "graphic novel". Erano fantastici anche i giornaletti di una volta, quelli che ti compravano la domenica e che leggevi 10 volte almeno. Mi sta sulle scatole chi fa l'intellettuale attorno al fumetto. Per me fumetto richiama ad uno stato emotivo, ad un'isola di serenità, che non è necessariamente disimpegno. I fumetti sanno parlare "alto", molti non lo comprenderanno mai. Certo ci sono fumetti più interessanti, altri meno, alcuni scritti benissimo, molti che sono mediocrità. Nella complessità delle cose non esistono etichette estendibili al tutto.

Per ampliare la ricerca intorno all'arte del fumetto, nel giugno del 2002 ho coinvolto Fabio e Mauro, e sono andato dall'Assessore alla cultura della mia città (Monfalcone) ed ho proposto di allestire nella allora appena inaugurata Galleria d'Arte Contemporanea di Monfalcone una mostra di fumetti. Abbiamo avuto il via libera e con non poche difficoltà abbiamo dato concretezza alla cosa.

Fare, fare e fare... è il mio modo per affrontare le cose: non parlare sulle cose, farle. Imparare facendo. Non è sempre rose e fiori, anzi, ma è il mio metodo.
 
La scelta era caduta su Vanna Vinci, un'autrice di fumetti molto conosciuta in Italia, che avevo avuto modo di incontrare alle fiere di settore. Lei è fantastica, nel tempo è nata anche un'amicizia, con lei e con il suo compagno Giovanni Mattioli. Questo rapporto, che ogni tanto vedendoci riusciamo a rinsaldare, è una delle cose migliori che mi siano successe in assoluto da quando frequento il mondo del fumetto. Loro due facevano parte del gruppo originario di "Dinamite" e poi di "Mondo Naif". Personalmente condivido perfettamente questo modo "naif" di guardare alle cose, non necessariamente destrutturato o ingenuo, di certo emotivo.

La mostra allestita nell'ottobre 2002 fu un piccolo successo e aprì a me, Fabio e Mauro, la convinzione che si potesse osare anche di più. Nel novembre 2002 decidemmo quindi di riunirci in Associazione Culturale e così nacque la "Associazione Culturale ARTeFUMETTO" di Monfalcone. Non potevamo che chiamarci così dal connubio tra due cose che non sentivamo distinte, ma coincidenti, correlate appunto.


Negli anni a seguire e fino ad oggi le mostre e gli eventi in genere organizzati dall'Associazione sono stati molti. Si sono stampati dei cataloghi, si sono prodotte delle pubblicazioni a fumetti. Siamo stati recensiti nella stampa di settore e pubblicizzati sui quotidiani. Abbiamo creato insomma una piccola realtà che, rimettendoci sempre anche del suo, più "no profit" di così si muore. Nonostante ciò non ci sono rimpianti e tantomeno rimorsi, ma solo molti ricordi importanti.
Ecco il nostro piccolo curriculum.
Esposizioni:
-Vanna Vinci – Percorsi presso la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone (ottobre 2002);
-Mario Bosdachin. Decoratore visionario presso la Libreria Tuttofumetto di Gorizia (maggio 2003);
-A tre passi dal fumetto. Alessandro Baronciani, Matteo Alemanno, Andrea “Lupo” Tonsig: giovani autori del fumetto italiano presso la Libreria Equilibri di Gorizia (maggio 2003);
-Icone parlanti: il linguaggio del fumetto. Opere di Giorgio Cavazzano e Vittorio Giardino presso Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone (settembre-ottobre 2003);
-La Trieste di Vanna Vinci (Aida al confine), presso lo spazio espositivo del Centro commerciale “Il Giulia” di Trieste (novembre 2003);
-Walter Chendi. Vedrò Singapore? presso la Libreria Equilibri di Gorizia (ottobre 2004);
-Miela Reina, Nicoletta Costa, Sara Not. Credi sempre ai luoghi comuni? presso Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone (novembre 2004);
-Andrea Pazienza. Segni e memorie per una Rockstar presso la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone (marzo-aprile 2005);
-Andrea Bruno. Disegni presso la Libreria Equilibri di Gorizia (novembre-dicembre 2005);
-Mabel Morri. Hai mai notato la forma delle mele? presso la Sala Comunale Antiche Mura di Monfalcone (marzo 2006);
-Keiko Ichiguchi. 1945 – La parola scritta sul volantino è “LIBERTA’ presso la Sala Comunale Antiche Mura di Monfalcone (settembre 2006);
-GIPI. La “vita” tra le pagine presso Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone (settembre-ottobre 2007);
-Giuseppe Palumbo. La vertigine è d’autore, presso Pinacoteca Spazio d’arte “Ciro di Pers” di Majano (UD) (maggio-giugno 2009).
-Moreisnotless, presso Galleria Comunale d'Arte Contemporanea di Monfalcone (dicembre-gennaio 2012/2013) - N.B. in mostra i lavori di Silvia Ziche, Vanna Vinci, Massimiliano Gosparini, Flavio Massarutto;

Eventi/incontri:
-Incontri pubblici settimanali con Auagnamagnagna (Fabio Varnerin, Tonus, Mudokon), Gipi (Gian Alfonso Pacinotti), Marco Corona, Mario Alberti, Andrea Baricordi, Barbara Rossi, Stefano Tamiazzo, Matteo Alemanno, all’interno della Mostra del libro di Cormòns (GO), (novembre-dicembre 2003);
-Incontro con Luca Enoch e Mario Alberti, correlati all’esposizione Andrea Pazienza. Segni e memorie per una Rockstar presso la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone (aprile 2005);
-Incontro con Vittorio Giardino e Walter Chendi, correlati all’esposizione Andrea Pazienza. Segni e memorie per una Rockstar presso la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone (aprile 2005);
-Lettura scenica APAZ: omaggio ad Andrea Pazienza in collaborazione con il Laboratorio Teatrale Fare Teatro di Monfalcone, nel corso all’esposizione Andrea Pazienza. Segni e memorie per una Rockstar presso la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone (aprile 2005);
-Rappresentazione teatrale Nel segno di Paz, a cura di Teatro le ZeRBe e Teatro Ovunque di Genova, nel corso dell’esposizione Andrea Pazienza. Segni e memorie per una Rockstar presso Teatro comunale di Monfalcone (aprile 2005);
-Incontri didattici e Workshop di supporto al corso di fumetto con Emanuele Tenderini, Walter Chendi, Miriam Blasich, Luca Vergerio, Giacomo Pueroni, nel corso del MONFALCONE COMIX FESTIVAL/ 3/4 presso il Centro di aggregazione giovanile di Monfalcone (ottobre- novembre 2007);
-Incontro con Stefano Disegni, nel corso del MONFALCONE COMIX FESTIVAL/ 4/4 presso il Centro di aggregazione giovanile di Monfalcone (dicembre 2007);
-Incontro con Paolo Cossi, presentazione del volume Il grande male, edito da Hazard edizioni, nel corso del MONFALCONE COMIX FESTIVAL/ 4/4 presso il Centro di aggregazione giovanile di Monfalcone (gennaio 2008);
-Incontro con Stefano Ricci, presentazione della raccolta RADIORICCI presso il Centro di aggregazione giovanile di Monfalcone (maggio 2008);
- Rassegna sul fumetto presso la Biblioteca Comunale di Monfalcone (ottobre-dicembre 2012) - N.B. Incontri con Walter Chendi, Matteo Alemanno, Giovanni Mattioli, Giuseppe Palumbo);

Volumi/cataloghi:
-Icone parlanti: Giorgio Cavazzano, Vittorio Giardino, ARTeFUMETTO, Monfalcone, settembre 2003;
-Andrea Pazienza. Segni e memorie per una Rockstar, ARTeFUMETTO, Cormòns, marzo 2005, (presentato in anteprima al Salone del Fumetto di Lucca, edizione 2004);
-Gipi. La “vita” tra le pagine, ARTeFUMETTO, Bologna, settembre 2007;
-Ha editato i tre numeri della serie a fumetti, a pubblicazione annuale, ANJCE, scritta e disegnata da Miriam Blasich, Giacomo Pueroni e Luca Vergerio, (presentati al Salone del Fumetto di Lucca, 2005 2006-2007);
-Vittorio Giardino. Dancing, litografia a tiratura limitata, 250 copie numerate e firmate, ARTeFUMETTO, 2008
-Troglodita n.2. Vergine vertigine, ARTeFUMETTO, Udine, maggio 2009 (in collaborazione con Action 30).
 
Si va avanti, con fatica, ma resta l'esigenza del fare le cose, perché ancora oggi continua a sembrarmi l'unica maniera per crescere.
 
Di seguito alcune foto della mostra di GIPI alla Galleria Comunale di Monfalcone.
 
L'ingresso alla Galleria (sopra) e alcune sale con le tavole del'autore