sabato 14 luglio 2018

Contenitori

Di certo la virtù principale degli italiani (specie quelli che di mestiere fanno i politici...che è poi qualcosa di diverso dal dire che sono politici di mestiere) non sembra essere sicuramente la riservatezza. Ho memoria di anni addietro con persone, soprattutto politici di mestiere o uomini di cultura, che facevano della discrezione un'arma importante del proprio percorso. Tutto questo sembra essersi perduto. Hai qualcosa che ti passa per la testa? Diciamo una strategia politica oppure un'idea importante o anche solo un'idea...bene, prima cosa la si dice a tutto il mondo, poi si ragiona su come "metterla in bella" e quindi portarla (forse) a sostanza. I mezzi aiutano, questi mezzi qui, su cui state leggendo, intendo. E poi i social, ci mancherebbe. Oggi ogni riserbo è sciolto, oggi si comunica. Si comunica chi si è e cosa si fa. Sempre e comunque. Infatti, pare ci si sia resi conto, anche e soprattutto in quel mondo lì, quello della politica intendo, che se fai anche la cosa più straordinaria del mondo, producendo risultati enormi e dall'impatto enorme, ma ti dimentichi di comunicarlo adeguatamente, ogni minuto del santo giorno che ti si pone davanti, il risultato è che poi la gente con il cavolo che ti vota! Al che si pone la questione se poi uno (il politico intendo) faccia le cose per senso civico, per dovere istituzionale o solo per essere votato, ma questo pare già essere un discorso che si colloca su una scala di pensiero più alta. Oggi il percorso è diritto: esisto, comunico che esisto, costruisco le condizioni perchè il fatto che io esista diventi fattore del quale tutti gli altri (i fruitori finali) sentano il bisogno di saperne di più, vengo votato (oppure il mio libro viene comprato, se vogliamo stare nel settore culturale ad esempio). Niente di nuovo, certo, saranno 40 anni che le cose funzionano così (se me lo chiedessero a freddo, quando rifletto su questa cosa penso a Malcolm Mclaren e Vivienne Westwood e al fenomeno punk), ma mi pare che oggi questa cosa si sia portata ad un livello più alto. Si è passato dal ruolo delle televisioni (tra la fine della Prima e l'inizio della cosiddetta Seconda Repubblica e poi a venire) al ruolo di Internet, però lo scalino ulteriore sembra stare non tanto nella gestione del consenso, ma nella gestione della percezione. Vi è una differenza? Secondo me sì e sta principalmente nel rapporto tra contenitore e contenuto. Un rapporto sempre meno diretto, più "evasivo", nel senso che spesso tra contenitore e contenuto non vi è mai una corrispondenza perfetta, perlomeno nel momento in cui la relazione si dovrebbe porre. Per farmi capire è come mettere un libro molto utile e di grande spessore letterario, alto soli 20 cm, in una libreria con lo scaffale alto 50 cm. E' uno spreco, certo, però il libro sembra starci molto comodo e alla fine questa comodità permette anche di sostituirlo quel libro, di trasformarlo in una dispensa più gonfia o più alta, che poi magari può anche avere contenuti più dozzinali o di scarso rilievo, però, insomma ci sta, e alla fine la libreria sembra anche meglio utilizzata. Sembra. Ecco, insomma, la comunicazione permette ciò, permette di passare un pò di polvere sulle cose e farcele sempre vedere in tremila posizioni diverse, tanto che alla fine non so bene nemmeno cosa mi venga mostrato. Però la parte importante del discorso non è tanto quella in cui qualcuno, consapevolmente, opera in questo modo e con questi fini, ma il fatto che alla fine il risultato c'è, ovvero, riprendendo il discorso iniziale, il voto arriva. E allora, c'è da chiedersi, anzi mi chiedo: ma non sarà mica colpa di noi "fruitori" (elettori) se questo meccanismo può esistere e alimentarsi a dismisura? O meglio: non saremo mica noi utenti finali, cioè cittadini votanti, a essere in "errore" (mi scuso, mi esce così, il termine "errore", perché non ne trovo un altro, vorrei dire "colpa", ma la vita è già così complessa che essere vittime più o meno inconsapevoli di una strategia non mi riesce di chiamarla "colpa")? Si badi bene non è comunque un errore di valutazione, nel senso che ciascuno può votare chi crede e promuovere il percorso che crede (benché etico, direi, e comunque nel rispetto dei diritti civili altrui, aggiungerei), ma una mancanza di impegno, di volontà a formare una propria opinione consapevole, di non definirsi soddisfatti del pensiero di chi ci affianca, anche quando è nostro amico o familiare. Insomma, di voler mettersi in gioco sempre, il che appare già, anche solo a scriverlo, una gran fatica, ma resta un viatico inevitabile se volessimo essere certi, sicuri, che il contenitore risulti realmente adeguato al contenuto (e viceversa), ovvero che l'aria che ci circonda non sia semplicemente "aria fritta". E quindi, direte? E quindi sono cavoli di tutti, ma già a prendere coscienza che non è semplice (e di certo non è semplicistico, da risolvere con una chiacchiera da bar, cioè) a me pare un risultato utile.
(foto: particolare da un fumetto di Jordi Bernet, copyright degli aventi diritto)