giovedì 31 dicembre 2009

Buon Anno e Buona Pazienza

Nel voler scrivere un post di fine anno che possa essere un augurio per questo nuovo anno entrante (per quel che vale, visto che i calendari sono solo sequenze di numeri a cui decidiamo di dare delle regole e non credo che domani mattina potrò considerarmi realmente diverso (figuriamoci migliore) solo perchè dal 31 si passa all'1) vi "lascio" con alcune righe di uno scrittore americano, ma austriaco di adozione, Jonathan Carroll, che nei suoi libri ama sondare tutti i territori della narrativa di genere fantastico con un occhio però alla realtà. Un autore non conosciuto dai grandi numeri, ma veramente interessante, edito in Italia da Fazi Editore di Roma. Volevo riprendere per il mio augurio l'inizio di Mele Bianche, un testo del 2003: "La Pazienza non vuole mai aprire la porta al Dubbio, poiché è un ospite sciagurato. Usa tutto ciò che è tuo senza fare attenzione a non distruggere quanto hai di più fragile e insostituibile. Se ciò accade, si limita a scrollare le spalle e se ne va. Senza chiedere il permesso, porta spesso con sè amici equivoci: la diffidenza, la gelosia, l'avidità, e tutti insieme si mettono a spadroneggiare e a cambiare la disposizione dei mobili nelle tue stanze come vogliono. Parlano bizzarre lingue misteriose senza preoccuparsi di tradurre quel che dicono. Cucinano strani piatti nel tuo cuore che lasciano strani odori e sapori ancor più strani. Quando finalmente se ne vanno, che ne sarà di te? Ti lasceranno felice o addolorato? Rimane soltanto la Pazienza con la ramazza in mano."
A me, che sono architetto, credo aspetterà un anno difficile, perchè gli ultimi anni hanno passato una mano di spugna pesante sul senso e sul ruolo di questa professione. Inoltre sembra che solo pochi siano disposti a usare la pazienza per ricostruirla. A tutti gli architetti, ovviamente quelli che lavorano e pensano "minati" da un senso etico, che spesso li costringe a fermarsi e chiedersi: Dove stiamo andando?, a tutti loro Buon Anno e Buona Pazienza!
Mando un augurio alle persone che quest'anno hanno fatto un pò di strada con me, cambiandomi, migliorandomi, che mi hanno trovato in accordo e in disaccordo, facendomi incazzare, ma anche riflettere, e che restano il vero senso di questo mio continuo procedere: ad Alessia, a Giovanni 1, 2, ad Eulalia, a Federico, a Gabrio, a Valentino, a Renata, ad Antonello, ad Otello, a Gioia, a Nullo, a Fabio+Clara, a Mauro, a Roberto, a Vanna+Giovanni, a Walter e a quelli che non mi vengono in mente, ma solo perchè sono stanco. Inoltre benché non le abbia mai viste di persona in questo anno, ma le porto sempre nei miei pensieri: a Rita e a Simonetta. A tutti voi Buon 2010!

lunedì 28 dicembre 2009

Incontri ravvicinati del primo tipo (il migliore) n.2

Il 10 settembre 2005 ero a Venezia per la consegna del Leone d'oro alla carriera ad Hayao Miyazaki alla 62. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Ebbi la fortuna di incontrare al mattino Miyazaki grazie ad una ragazza mai incontrata prima, che, con un mestiere da fan incallita, nella sala stampa, che allora, biglietto alla mano era ancora raggiungibile anche dal pubblico pagante (ora manco a pensarci, peggio della gestapo), mi prese in buone e mi spiegò dove sarebbe stato possibile farlo con facilità senza infastidire nessuno, tanto meno gli artisti e la sicurezza. Ci "appostammo" dietro una tenda e a fine conferenza stampa, sfruttando un passaggio obbligato degli artisti verso la sala dei rinfreschi, la ragazza tirò con facilità il tendaggio trovandosi Miyazaki davanti, che con fare divertito si diresse verso di noi per poi firmarci alcuni autografi. Insomma incredibile. Oggi probabilmente per fare lo stesso dovrei fare carriera politica, diventare presidente di qualcosa e farmi invitare a qualche festa, mentre nel 2005 (ovvero meno di cinque anni fa) mi bastò scambiare quattro parole con una ragazza della mia età. Il mondo e le cose sembravano davvero un pò più tranquille. Oggi la sensazione è quella di uno stato di guerra perenne, dovunque si vada e qualunque cosa si faccia e non è un bel vivere.
Comunque non è di Miyazaki che voglio parlare. Mi trovai circa un'ora dopo l'incontro con il giapponese ancora dietro la tenda con un gruppetto che aspettava qualche attore americano di cui non mi ricordo bene, credo fosse Ralph Fiennes però. Contemporaneamente a Fiennes, di cui mi interessava meno che meno, la ragazza, ormai mia guida virgiliana nell'inferno della mostra cinematografica, mi disse sarebbe uscito anche Omar Sharif. Scusate ma stava parlando del protagonista di Lawrence d'Arabia e de Il dottor Zivago. Io pensavo scherzasse. Uscito Fiennes per primo, poi tutti sparirono, la ragazza compresa e ad aspettare Sharif restammo io, un giornalista e dietro a me due operatori di una TV privata, Canale Italia. I tre fecero un casino pazzesco con un responsabile dell'ufficio stampa dicendosi amici di chissà chi per poter fare l'intervista all'attore egiziano. Dopo accordi durati qualche minuto, ottennero l'ok per l'intervista e il tipo dell'ufficio stampa disse che avrebbe portato lì a breve Sharif. Io ero lì, il primo della fila, con i tre giornalisti dietro. Uno di Canale Italia mi chiese chi aspettavo e io dissi: "Omar Sharif" e aggiunsi con sfacciataggine "... e naturalmente ci sono prima io!". A quel punto i tre non dissero più nulla. Dopo pochi minuti arrivarono l'ufficio stampa e una tipa, che tirò la famigerata tenda. Io mi trovai così lì con Omar Sharif davanti. L'attore vide la televisione dietro a me e convinto che io fossi un intervistatore si propose a me propenso a rispondere ad alcune domande. Al che io tirai fuori un foglietto di carta e una penna e gli chiesi un autografo. Sharif sorrise, mi fece l'autografo e mi chiese se avevo domande. Dissi che avevo solo curiosità. L'attore che parla bene l'italiano e ha dei modi molto gentili non fece opposizione alle mie curiosità, mentre dietro gli altri si domandavano imbarazzati che cavolo succedeva. A quel punto salutai Sharif, il quale mi disse che avrebbe gradito rispondere ad altre mie domande, ma aveva le interviste "di lavoro", come precisò. Io feci spazio e mettendomi dietro ascoltai le domande dei colleghi. Dopo una decina di minuti era tutto finito. Prima di andarsene Sharif mi salutò di nuovo e ebbe il tempo di dire: "Sarò felice di vederla più tardi al padiglione tal dei tali (che ora non ricordo)". Seguendo la mia sfacciataggine, alcune ore dopo mi recai al padiglione tal del tali, ma non ebbi poi la voglia di disturbare ulteriormente l'attore. Ebbi il tempo di scattare una foto a lui che accarezzava Stefania Sandrelli, felice di incontrarla lì. Notai quei suoi gesti dolci, molto orientali direi e questa sua pacatezza. Nel tornare sui miei passi ricordo che ripensai al film Palombella Rossa di Nanni Moretti, al regista romano che assieme a tanti altri nella piscina della pallanuoto grida: Voltati! Voltati!, mentre vede sullo schermo di una televisione Omar Sharif nei panni del dottor Zivago inseguire Lara ormai salita su di un tram e venire poi colto da un malore mortale e cadere a terra. Mi ricordo che pensai che infondo esistono molti attori bravi, ma uomini per bene forse molto meno e credo Omar Sharif sia tra quelli.

mercoledì 23 dicembre 2009

Natale! Oh my god!

Chi mi conosce sa che non amo il Natale e tutto il periodo connesso. Chi mi conosce sa che mi piacerebbe addormentarmi il 18 di dicembre e svegliarmi l'8 di gennaio successivo. Chi mi conosce sa che in questo periodo divento suscettibile, piuttosto propenso all'incazzatura. Direi che se dovessi dare un'idea del mio rapporto con il Natale andrebbe bene quanto scrive Micheal Curtin in un suo delizioso volumetto del 1989, "La lega antiNatale", edito in Italia da Marcos y Marcos: "Se il Natale fosse una persona uscirei in una notte di nebbia a tagliargli la gola, poi mi costituirei e passerei felice il resto della mia vita a guardare video dietro le sbarre". Condivido tutto, tranne che forse non guarderei video.
Comunque sia chiaro non ho nulla contro la festività religiosa in sè, anzi, essendo essa fondamento di una cultura religiosa che mi ha formato, ma non sopporto tutto quanto è stato costruito attorno ad essa. Non posso accettare che si cominci a fare pubblicità ai pannettoni ad ottobre, che si vada in giro in dicembre scorgendo dovunque persone che sembrano tanti drogati, assuefatti alle compere più assurde nel nome del dio regalo. La gente che fa regali a gente che non stima, per compiacenza e a volte per semplice speranza nella benevolenza altrui a me fa pensare molto, da sempre (e non si può in tal senso nemmeno parlare di tempi contemporanei, essendo tradizione giunta a noi attraverso un modo di fare "storico", che chiameremo all'italiana). Scusatemi, non sapete quanto mi spiace fare retorica su questo, non sapete come mi fa star male andare in giro e vedere la gente comportarsi esattamente come pregherei non facesse.
Va bhe, pazienza, non si può dar di continuo contro ai mulini a vento, prendiamo la nostra stellina luccicante, appendiamola alla finestra e con lo sguardo sognante guardiamo fuori, sospirando: "E' Natale!" Auguri (in senso assoluto)!

lunedì 21 dicembre 2009

Reati dei giorni nostri

Interessante questa sentenza del Tribunale di Ancona, confermata poi dalla Corte di Cassazione (notizia di questi giorni), che ha valutato la "linguaccia" come una forma di reato. Chiaro che come è proprio dei mezzi di comunicazione, si prende la notizia, la si sbatte lì sul piatto, senza un minimo di approfondimento su cosa ci sia sotto o a lato, ma tant'è che la cosa è singolare. No, non è singolare per la notizia, ma perchè quando apro la televisione e vedo gente di tutte le età e condizioni (anziani che dovrebbero darmi un esempio comportamentale, giovani che non capisci come a vent'anni possono essere già lì a dire la loro, gente di "cultura", politici), parlare, sboccati, mandando a quel paese (non usando peraltro proprio il termine "..vai a quel paese", ma peggio) chiunque li contraddica, io sarei il primo a mandarli tutti a quel paese prima e in galera poi e invece mi ritrovo la sera, stremato, in pigiama, a subire qualsiasi cosa, impotente. Certo alla fine chiudo la televisione, prendo un libro, ma mi pare che quella, che è una mia scelta, in realtà sia quasi una costrizione, un aut aut. Ecco, dopo aver chiuso l'ordigno infernale per costrizione, mi sento sempre un pò meno libero, in galera appunto, e non ho fatto nenche la linguaccia a nessuno.

mercoledì 16 dicembre 2009

Specie autoctone

Utilizzo alcuni pensieri dell'Editore Franco Maria Ricci, ascoltati durante un'intervista per il programma televisivo ArteNEWS su Rai 3 il sabato mattino. Ricci si dice appassionato dei labirinti. Ne ha realizzato uno nella sua enorme proprietà nelle campagne vicino Parma. Per il labirinto ha utilizzato la canna di bambù. Dice che è perfetta perché cresce alta, definendo rapidamente i percorsi. Inoltre, dice Ricci, all'interno di un discorso ecologista più ampio, le canne assorbono tutta l'anidride carbonica che trovano attorno, garantendo una sorta di ossigenazione e purificazione del territorio. Crescono veloci, dice Ricci, e si espandono, invadendo il territorio. Gli piace questa idea, a Ricci, di espansione/invasione purificatrice da parte di una specie non autoctona. Sottolinea poi che questo paese, l'Italia, dalle tradizioni e dalla cultura, anche alimentare, precisata come mediterranea, sia piena di presenze alimentari non autoctone, proprio quelle da noi preferite e che qualificano la nostra cucina, appunto, come mediterranea: i pomodori, il granturco oltre alle patate. Forse autoctone erano in origine le sole ghiande, dice Ricci.
Ora, questo discorso mi porta alla testa il testo di una canzone degli Almamegretta, "Figli di Annibale", dove si sottolinea come la presenza prolungata dell'africano Annibale e della sua stirpe contaminata che da lui probabilmente derivò, dopo la sua discesa attraverso le Alpi, ci qualifica italiani doc, come la nostra cucina si qualifica mediterranea doc; ovvero ci potrebbe qualificare come di derivazione africana al pari di come la nostra cucina si potrebbe qualificare di derivazione prevalentemente non autoctona. Questa correlazione divertente di pensieri, nata così, il sabato mattina, senza verifiche di quanto vado dicendo e sostenendo, mi ha portato a guardare fuori dalla finestra e vedere i molti bengalesi e senegalesi che passeggiano per le strade della mia città con un senso di maggior condivisione culturale, non riuscendo idealmente infine più a rinunciare a loro come non so più rinunciare agli spaghetti al pomodoro. Che questa invasione umana non autoctona non si riveli alfine anch'essa purificatrice delle pochezze e bassezze culturali che spesso sono insite nelle nostre insistite velleità di isolamento provinciale?
(nella foto i muri di Belleville a Parigi)

giovedì 10 dicembre 2009

Incontri ravvicinati del primo tipo (il migliore) n.1

Una sera a Trieste, nel 2005 mi capitò di incontrare Giovanna Mezzogiorno. Lei fu affettuosa oltremodo e io non mandai più in lavanderia il mio giubbotto nero. La stimo molto.

mercoledì 2 dicembre 2009

Grandi o grossi?

Ho sentito per caso un'intervista a Pietrangelo Buttafuoco (già il nome è interessante vista la sua verve provocatoria e polemica), scrittore catanese, attualmente in libreria con il suo romanzo Fimmini uscito per Mondadori. Parlava del suo libro, delle donne, ma non ho ascoltato troppo. Mi ha interessato una sua risposta alla domanda: "Cosa non le piace di questa nostra Italia?". Bhe, mi aspettavo di tutto un pò e invece il siciliano se ne è uscito con: "Non siamo più in grado di produrre grandezza!"; e aggiunge (lo scrivo per come me lo ricordo): "L'ultimo in grado di esportare la nostra lingua all'estero, e di imporsi come portatore di un linguaggio inteso come espressione viva e fertile è stato Carmelo Bene".
Non so se Carmelo Bene sia stato l'ultimo o a che posto stia nella scala cronologica. Mi appare difficile fare classifiche in materia di "grandezza". Quello che dice Buttafuoco però è vero. Se guardiamo al passato anche recente e ricordiamo, che so: Italo Calvino, Federico Fellini, Enzo Ferrari, Hugo Pratt, Fabrizio De Andrè, Carlo Scarpa, Enrico Berlinguer piuttosto che Aldo Moro ecc. (queste sono eccellenze, ma anche calando il tono ne troviamo a pacchi), insomma coloro che hanno dato un segnale culturale e sociale forte a questa nostra nazione e li confrontiamo con i personaggi che ci circondano, anche quelli che in parte stimiamo o che anche solo crediamo meritevoli (lasciamo stare i nomi, stanno sui rotocalchi e in televisione, bontà loro), appare evidente la caduta. Il problema della mediocrità è insito nella nostra società attuale (non dico contemporanea che lascerebbe speranze, dilatando i tempi) ed è veramente un problema "di fatto", reale. Mi sono interrogato, temendo di dire queste cose minato da una nostalgia per le persone "che furono", invece no, la distanza mi appare evidente: una distanza culturale ed etica, credo, che poi è il perno imprescindibile di ogni "grandezza". Quindi di che cosa o di chi è la colpa? Della scuola, dell'università, dei genitori o forse della televisione, dell'attaccamento ai beni effimeri (i simboli moderni), dell'amore per il soldo e per il potere fine a se stesso? Insomma, non è che il problema stia nel fatto che si è troppo preoccupati a diventare "grossi" per preoccuparsi anche di diventare "grandi"?
Foto di una foto esposta alla Fondazione Fellini a Rimini (2006)