lunedì 29 ottobre 2012

Egemonia culturale o strategia commerciale



Ieri fuori faceva freddo. Era la prima giornata autunnale che mi portasse a pensare all'inverno. Mi sono costretto a stare in casa e a ripensare alle ultime settimane passate. Nel silenzio i pensieri vagavano. Uno di questi mi porta ora a scriverne. Tutto parte dal ricordo di un'intervista ad Alessandro Trocino letta credo non meno di quattro mesi fa (mi ero fatto degli appunti, che ora mi tornano utili) sulla rivista musicale il Mucchio Selvaggio. Trocino ha scritto un libro dal titolo Popstar della cultura (Fazi Editore) che presenta una disamina dell'ascesa mediatica di alcune figure "centrali" nel dibattito culturale italiano (lui cita Roberto Saviano, Andrea Camilleri, Mauro Corona, Giovanni Allevi e altri, ma sinceramente i nomi degli uni piuttosto che degli altri non hanno ruolo nel discorso che vado a fare). Mi interessava quel libro per aver l'autore apposto in copertina prima della parola "ascesa" di cui sopra, la parola "resistibile". Mi interessava quanto poi nell'intervista si facesse uso (nell'affrontare questi autori) del termine "retorica" e delle definizioni, usate però in senso negativo, "riferimenti culturali" e "guru". L'autore dice cose molto vere; condivido questa sua visione di un magma "intellettuale", "guida spirituale" del paese, che fa leva sul bisogno tutto italiano di "essere rassicurati, di avere il conforto di qualcuno che pensi per loro, che gli spieghi cos'è il giusto e cos'è il sbagliato", sostituendo "vecchie ideologie con  i nuovi dogmatismi". Infine centrale è il rimprovero di Trocino "a questa sinistra culturale" -poiché è innegabile che quello sia l'ambito culturale entro cui le figure valutate pescano il proprio pensiero- "di proporre certezze, non dubbi, sentenze, non ragionamenti. Gli intellettuali (...) dovrebbero mettere in discussione le strutture del potere, decostruirne i meccanismi".
Io credo che queste considerazioni siano calzanti per leggere la nostra struttura culturale. Ho avuto più volte modo tra queste pagine di sottolineare come consideri la cultura non il risultato, ma il percorso di ricerca in sè. Se è vero, credo che i rappresentanti della cosidetta cultura di sinistra odierna stiano negando all'utente finale ogni possibilità di ricerca (la ricerca, il dubbio vanno spesso controllati, poiché poi se uno ricerca magari vede altre cose, che non sono più quelle da me proposte). Io credo che gli intellettuali di oggi siano perlopiù garantiti dal processo di marketing che lo strumento televisivo ha loro offerto e dall'incapacità degli utenti (cioè noi) di accettare il rischio, di accettare l'anticonformismo verso "l'anticonformismo di maniera". Se oggi chiedessi ai vari attori dell'industria culturale italiana (Fabio Fazio in televisione, oppure i radiofonici Dose o Presta del Ruggito del Coniglio o Sabelli Fioretti e Lauro di Un giorno da pecora, gente preparata, notevoli comunicatori, ma non estranei ai processi di cui parlo) se la loro è cultura di sinistra, io credo mi risponderebbero di no, che è CULTURA (anzi, forse si schernirebbero con placida autoironia dicendo che è INTRATTENIMENTO, al che il discorso sarebbe chiuso e ognuno a casa sua, bontà loro). Se ricordate il pensiero di Furio Jesi nel suo fondamentale libro Cultura di destra, di cui già vi parlai in un post precedente, di certo servirebbero ben altri smarcamenti per non far ricadere la cultura di sinsitra (o meglio antagonista, realmente utile alla riflessione, non asservita al dato commerciale, se vogliamo) nel magma del tutto assorbente della cultura di destra (chi ha letto Jesi sa che destra e sinistra non sono accezioni solo politiche, appunto). Non è nemmeno un discorso di cultura omologata, bensì di cultura omologante. Cambiamo parametri, per comprende meglio (io parlo spesso per capirmi, quindi espongo qui dei concetti come semplice strumento di riflessione e non come "stato dei luoghi"), lasciamo la televisione e guardiamo ad altro. Frequentiamo i festival di letteratura, frequentiamo quelli di filosofia o un festival non-senso come "R-la Repubblica delle idee", il festival del quotidiano la Repubblica a Bologna svoltosi a giugno. Sono stato di recente ad ascoltare Adriano Celentano all'Arena di Verona; sentirlo cantare è un piacere enorme, con quella sua voce fantastica; poi parla e di certo dice molte cose retoriche (non sbagliate, retoriche; non inutili, retoriche e basta). A Verona ha parlato di "decrescita" ad esempio. Bene. Mi chiedo: aldilà dello spunto iniziale, di certo interessante, se avessi ascoltato Zygmunt Bauman con la sua "modernità liquida" o Serge Latouche appunto sulla "decrescita economica", mi avrebbero offerto veramente qualcosa di più? Meritava far la fila ai festival citati o al botteghino di Celentano? Il festival de la Repubblica poi mi ha stupito (non c'ero, ma l'ho seguito in parte via TV) per la necessità di affrontare idee viste sempre e solo da un punto di vista univoco, mentre la gente si assiepa, soffre in piedi, o seduta sotto il sole. Insomma, dalla televisione, regno dello spettacolo, agli altri luoghi degni dell'intellettualismo italiano, la storia non cambia. Le strategie economiche (di tasca, intendo), sono sempre superiori alla volontà culturale; alla volontà di offrire spunti interessanti e adeguati, al superamento di pensieri condizionati e purtroppo condizionanti. Ho letto ultimamente il libro di Emanuele Trevi, Qualcosa di scritto (Ponte alle Grazie editore), che riflette in forma di saggio-romanzo-autobiografia (molto interessante la struttura narrativa usata) sulla scrittura e i temi del Pasolini di Petrolio (citare Pasolini dopo quello che ho detto, mi fa cadere dentro l'omologazione più profonda, o prendo punti difronte ai molti? Bastasse un nome per affrontare un tema! E infatti non basta). Trevi scrive ad un certo punto: "In un mondo culturale così prevedibile e perbenista come è quello della sinistra ufficiale italiana, capace più che altro di produrre noia e desiderio di evasione (...) quella di P.P.P. è una presenza equivoca". Benedetti equivoci, mi verrebbe da pensare e dire! Poi credo sia meglio il silenzio.

domenica 21 ottobre 2012

Piccole scatole emozionali n.12

La luce che amplifica la grandezza dell'architettura. E se il monumento è il Pantheon a Roma l'architetto si inchina, mentre l'uomo si emoziona dinanzi all'evidenza che magari adesso siamo soltanto delle formiche con il capo basso di fronte ai problemi quotidiani, ma un tempo abbiamo anche ideato e realizzato in grande. E se il "monumentum" ammonisce, appunto, allora qualche speranza ci dovrà pur essere.
Nella convinzione che questa speranza non possa andare persa, assieme ad alcuni amici, professionisti anch'essi, si è raccolta la sfida del nostro tempo, si è fondato una nuova Associazione Culturale, denominata ETRA e si è cominciato a lavorare. Per saperne di più: www.culturaeticaetra.com