sabato 26 marzo 2016

Separo e connetto

Nel suo contributo ad uno dei cataloghi più interessanti di inzio anni Ottanta, Francesca Alinovi, curatrice incaricata dall'allora Amministrazione Comunale di Bologna (assieme ad altri quattro giovani critici) di una rassegna-mostra per la Galleria comunale d'arte moderna che avrebbe dovuto chiamarsi "Liberamente" e che poi con grande genio fu intitolata "Registrazione di frequenze" (anzi se rileggiamo il catalogo "Regstrzn freqnz"), scrive: "Le sue storie non sono mai a sequenza, ma piuttosto a coesistenza libera nel tempo e nello spazio, e la successione lineare del tempo di lettura è più una costrizione di carattere tipografico dovuta al medium usato che una scelta espressiva dell'artista". L'Alinovi parlava delle storie di Andrea Pazienza, in esposizione (le tavole) per l'occasione della rassegna con quelle di Corona, Carpinteri, Jori e Mattioli al fianco dei lavori artistici di Aldo Spoldi, Luigi Ontani e altri; e se poi guardiamo all'insieme della rassegna (alle scelte fatte dagli altri curatori), alle opere di molti autori importantissimi per l'arte "maxima" italiana precedente e degli anni a venire. L'Alinovi parlava allora di fine del tempo dell' "aut aut" e inizio di quello dell'"e...e". L'inizio del citazionismo, della contaminazione come strada a venire. Era il 20 marzo 1982. Francesca Alinovi, insegnante al DAMS, al tempo aveva 34 anni. Viene uccisa a 35 anni nel giugno 1983 per mano (questo il risultato giudiziario, messo poi più volte in discussione) del suo amante del tempo, già suo studente e artista tra l'altro della copertina del catalogo della rassegna bolognese del 1982 (una copertina che riporta i curatori e non le opere). Il nome non ci interessa. L'omicidio si rivelò di certo uno dei più morbosamente discussi dell'epoca e ancor oggi costituisce un piccolo giallo italiano, continuamente ripreso e indagato dai media.
Vorrei però concentrarmi su quanto scritto dall'allora vivente Alinovi, trovando di interesse la sua riflessione sul tempo e sullo spazio, importante anche per un esame dello stato delle arti oggi. Pochi giorni fa è uscita su la Lettura (n. 225), allegato della domenica de Il Corriere della Sera un'intervista a Christine Marcel (capo curatore per l'arte contemporanea e la creazione artistica del Centre Pompidou di Parigi) incaricata quale direttrice/curatrice per la Biennale d'Arte di Venezia del 2017. Il senso dell'incarico sta nel desiderio dell'istituzione Biennale di valorizzare il ruolo degli artisti "nella ricostruzione del mondo in cui viviamo" (come ha annunciato Paolo Baratta suo presidente). La Marcel (riporta Stefano Bucci per la Lettura) nel riprendere le parole di Baratta sottolinea "Vorrei che si stabilisse un dialogo costruttivo con i visitatori, che uscissero con qualche dubbio e con molte certezze. Il compito di un curatore è rendere comprensibili i significati nascosti dell'arte, anche utilizzando l'allestimento". Mi piacerebbe sapere la lettura che darebbe Francesca Alinovi di questi pensieri, che nell'invito alla serenità e al superamento di fratture "esterne ed interne", materiali e psicologiche, a me ricordano molto una dimostrazione di resa difronte alla più grande delle conquiste degli ultimi decenni del '900: il tentativo di non comprendere, ammettendo la complessità. "Coesistenza libera nel tempo e nello spazio" a superamento di una "successione lineare nel tempo di lettura", scriveva la critica bolognese nel 1982. Oggi forse l'arte stessa si è svuotata di significati interni, a favore di complessità solo superficiali, la contaminazione non è nella ricerca, ma nella coesistenza di forme, non co-abitate ma solo giustapposte. La Marcel, scive Bucci nel suo articolo per la Lettura, ama la danza, il Qi gong, il Tai Chi e la chitarra. Inevitabile la libertà di espressione, la sovrapposizione, poichè ormai il pubblico non condivide più il proprio silenzio, ha bisogno di essere "investito" dalle molteplici espressioni della cultura, soffocato e scosso nei sensi per evitare di dar spazio al pensiero. Mille sensazioni a frammentare l'unità del sentire. Di certo oggi siamo figli culturali di quel tempo dell'"e...e" di cui parlava l'Alinovi. Figli stanchi però e come suggerisce la Marcel vogliosi di molte certezze, per ridurre il dubbio.... L'arte contemporanea ricerca continuamente le proprie radici, ciò da cui è partita e che sta sotto, si alimenta di flussi che dalle profondità di ieri si estendono ai nuovi boccioli di oggi e quindi ai fiori di domani (nel semplificare il tutto con l'immagine di un albero fiorito). Ma poi tutto finisce così, nel fiore bello, che si specchia nel fiore vicino, nei complimenti reciproci che i due infine si faranno. E così si svolge ogni cosa, una dopo l'altra, rotolando perchè il terreno è in pendenza a scendere. E' singolare come la maggior parte di coloro che ho interrogato per curiosità durante le chiacchierate al bar o i piccoli eventi che vado organizzando per l'Associazione culturale ETRA di Monfalcone diano una interpretazione del "tempo" come di qualcosa di orizzontale, che si sviluppa cioè in direzione orizzontale. E' il senso del percorso che si traspone dall'esperienza quotidiana alla sua rappresentazione mentale. Le cose succedono correlandosi a dei momenti che scorrono uno dopo l'altro, uno avanti all'altro, a determinare una linearità per i più idealmente rappresentata come retta. Il tempo per me è sempre stato invece qualcosa di verticale. Una sedimentazione di successioni stratigrafiche. Un momento sopra l'altro, con le radici del primo ancora aggrappate a quello precedente. Non è un discorso retorico sull'importanza di ciò che c'era per lo sviluppo di ciò che sarà, ma più un discorso sul contesto, sullo spazio appunto. Sul fatto che il tempo forse non esiste senza lo spazio, che alimenta il primo nella sua esigenza sequenziale. E' forse un discorso sul tempo, dal latino tempus (atmosfera), ma anche tem-no, "divido" e quindi "sezione", "periodo", e quindi "temporaneo", che non può slegarsi dal contesto, dal latino contextus, "intrecciare", "connettere". Il tempo, insomma, separa, mentre il contesto, connette. L'arte come la società contemporanea non può uscire dalla retorica dell'auto-compiacimento, dell'auto-osservazione, se non ragiona sul contesto e dimentica il tempo. E' nell'odierno la strada da compiersi e non nel passato, nel calarsi nello spazio che quando sarà abitato potrà ergersi a "luogo". Rispetto la colonna verticale del tempo, in ogni istante dominiamo la valle, la cogliamo nel suo insieme (siamo il risultato di essa). Ma siamo noi più vicini al cielo e quindi coraggio, tocchiamolo, non teniamo le mani in tasca.