sabato 2 marzo 2019

Stranieri


Straniamento. In letteratura: serie di artifici linguistici con cui lo scrittore rivela aspetti inediti di una realtà nota. Se dico "rosso" quando tutti si aspettano che io dica "nero", riesco nel mio intento di produrre una sensazione di straniamento nel mio interlocutore. Riesco nel mio intento, non di sorprendere, ma di legare il lettore alla mia proposta, indipendentemente se sia valida o etica. Improvvisamente vi è un bisogno (e forse il dovere) di sentirsi stranieri nel proprio corpo, di estraniarsi dai propri pensieri e porsi dei diktat, da sé a sé, come se fossimo altro da noi stessi. Dovremmo vincere l'apatia intellettuale, innescando processi di straniamento volontario. Perché farlo?  Semplicemente per "non accettare". Non è un discorso di "resistenza" o di "resilienza", condizioni e concetti che fanno rima con "lenza", a cui a volte ci piace concederci di stare attaccati, semplicemente per non fare nulla, bensì una proposta di estraneità da questo mare magnum comunicativo, per permettere a noi stessi di chiederci: cosa ci interessa, davvero? Cosa ci piace, davvero? Qual è il nostro ruolo dinanzi alle cose che ci succedono attorno? E' come ridare un senso alla nostra fisicità (alla nostra pesantezza corporea) all'interno del flusso informativo. Io sono questo: mani, piedi, pesanti sulla terra, peli, sangue ecc. e non notizie, sovrapposizioni narrative da decodificare per stare al passo con l'esterno che ci sospinge, che ci modella, che ci immobilizza improduttivamente. Lo scontro tra società informatizzata e tecnologica (che però è fatta solo di sciocchezze, di sovrastrutture e sovra linguaggi e non di soluzioni e linee guida consapevoli) e nuovo umanismo (ovvero la riscoperta della centralità dell'uomo) appare evidente: un cavallo a cui tutti i "pensatori" cercano di salire in groppa per la paura, tutta di convenienza, di restare fuori da quello stesso flusso informativo, a rigetto del quale tale discussione viene posta. Straniamento è quello che si prova, per la consapevolezza del non detto e la pigra e a volte disarmante rinuncia all'alzare la mano e dare sfogo ad un pensiero controcorrente, offerto non per protagonismo (narcisismo) ma di sostegno reale ad una proposta critica, che prima di tutto è autocritica. Oggi, credo, che il dovere più grande in questo senso sia rifiutare alcuni vocaboli, privarcene volontariamente, perché sono fraintesi e veicoli di significati devianti. Tra questi: identità, nazione, noi, loro, massa, sostenibilità, degrado, pulito, sporco, destra, sinistra, ieri, meglio, peggio. Se provassimo ad immaginare anche soltanto una giornata intera, nell'anno 2019, senza l'uso di tali parole, potremmo venire travolti da un senso di incapacità comunicativa e quindi di frustrazione collettiva, che potrebbe condurre ad uno shock tale da farci riflettere su quanto siamo stati culturalmente manipolati in questi ultimi vent'anni. Provateci e provate a costruire un vostro personale non-vocabolario, che vi permetta di sentirvi estranei al contesto e al tempo stesso criticamente sufficienti per dare un giudizio personale su ciò che vi/ci circonda. Se lo farete, vi ringrazierò.
(nella foto: un particolare da un disegno di Guido Buzzelli per Labirinti)