domenica 15 settembre 2019

E per finire...

Questo post è un caso. E' un caso che mi sia accorto che cade esattamente dieci anni dopo il primo post pubblicato come "Continuavo a guardare fuori", il 14 settembre 2009. E' un caso che abbia deciso di chiudere la mia esperienza di blogger su questa pagina proprio a dieci anni di distanza dalla data di apertura. E' un caso che ieri fossi a Venezia (non era in programma, ma è piacevolmente successo), la mia città dell'anima. E' un caso che per un'intera estate mi sia passato davanti il nome di un artista a cui tengo molto e che indirettamente ha suggerito questo blog, ed è sempre un caso che per un motivo o l'altro non abbia mai potuto partecipare a nessuna delle occasioni a lui dedicate. Parlo di Emilio Isgrò, della cui grandezza artistica non ho dubbi, a differenza di molti suoi illustri colleghi, celebrati o compianti, che continuano a non smuovermi nulla, nè dentro, nè fuori. E' poi un caso che la visita veneziana si trasformi inconsapevolmente in un momento di ricerca artistica. Per caso, camminando per le calli o sostando in un baretto e l'altro, per un cicchetto, per un saluto, si visitano alcune delle esposizioni collaterali alla Biennale Arte 2019. Per caso, sembra che la fine gli anni '60 e un certo tipo di arte non sgravata del peso del contesto, un'arte politicamente utile, diremo, facciano da collante al tutto: si comincia con "AFRICOBRA. Nation Time" e l'arte di Chicago vicina al Black Power Movements di Sessanta e Settanta (Napoleon Jones-Henderson, Gerald Williams, Barbara Jones-Hogu su tutti); si passa per il Padiglione della Repubblica dello Zimbabwe, poi Pino Pascali, alla Fondazione a lui intitolata alle Zattere (Palazzo Cavanis).
Gerald Williams, "Angela Davis", 1971, a Venezia
Pino Pascali a Venezia
E' un caso che uscendo da Pascali, mi trovi davanti un poster che pubblicizza la mostra di Emilio Isgrò alla Fondazione Giorgio Cini. E' un caso che passi il vaporetto giusto mentre si è lì e che così in cinque minuti si possa sbarcare all'Isola di San Giorgio Maggiore, davanti al capolavoro progettato dal Palladio. E' un caso che la mostra sia pure ad ingresso gratuito e che non ci sia praticamente nessuno a frequentarla in quel momento. Ma il caso, espressosi all'ennesima potenza, vuole che mentre sono lì entra nelle sale Emilio Isgrò stesso, che quasi mi sento le gambe un pò molli, per raccontare la sua mostra ad alcuni amici. Ci sono state alcune chiacchiere regalate, profonde sul senso del "cancellare" (il centro della sua arte), sul superamento dell'ignoranza, sull'essere intellettuale, sul ruolo dei giovani. A Isgrò fa piacere che qualcuno più giovane gli si avvicini per chiedergli le cose. Finisco per chiedergli un autografo, uno di quelli che sento diverso da altri che mi è capitato di raccogliere, a volte per gioco, uno di quelli che desidero conservare: "Non un feticcio, ma un ricordo, maestro!". Mi viene risposto che aveva capito che il mio intento era sincero.
Emilio Isgrò a Venezia
Questo post nasce per caso, in questo giorno che, per caso, come detto, segna il decimo anni di riflessioni online. Potrei fare un piccolo resoconto su questo. Potrei chiamare queste pagine scritte "Diario della crisi!" (sia nel senso di crisi reale, economica e sociale, sia di "crisi", interpretazione, spoeculazione). Quando scrissi il primo post, mi pareva di dover dire delle cose che poi sono state dette e in alcuni casi mi sono sembrate, anche a distanza di anni, appropriate. Il rapporto conflittuale che ho con il web (odi et amo...), mi porta ad accettare come utile solo questa forma di "social", oramai forse superata da altre, sempre più immediate e sempre più vicine all'uso esclusivo dell'immagine a scapito della parola. Scrivere è stato, come sempre, uno strumento per capire meglio cosa pensavo di un argomento che mi pareva importante approfondire. Se guardo indietro mi rendo conto che in queste pagine sono passate tra le righe molte mie passioni. Potrei anche finire per riassumerle in qualche nome, ma sarebbe far torto alle passioni minori, che comunque mi hanno aiutato a crescere intellettualmente. Ecco, questo sì, se di una cosa sono fiero è di non aver mai voluto e saputo distinguere tra arti maggiori e arti minori, tra alto e basso...è sempre stata una questione di valore (personalmente attribuito) e non di contesto. 
Alla mostra di Isgrò ho trovato un'opera forse marginale, ma che l'autore non ha però voluto dimenticare. Si intitola Cancellatura, del 1965, tre anni prima della mia nascita. Il testo su cui Isgrò interviene si intitola Ideologia della sopravvivenza
In una sequenza parziale delle righe non cancellate possiamo leggere questa frase: "...Non ti resta, dunque, che mutare rotta: guardarti dentro e GUARDARE FUORI, fino a scoprire un segno, una foglia, una pista. E seguire quel segno, quella foglia, quella pista anche quando - Alla fine, tenta e ritenta, il mondo ti apparirà com'è: più vicino al vero, forse, di come potrebbero mostrartelo Marx e San Paolo...". Questo blog iniziò, quindi, con una citazione di Bruce Chatwin da In Patagonia, sul viaggio di ricerca, sull'irrequietezza, e termina ora con una citazione da un'opera di Emilio Isgrò, che del blog contiene il titolo e forse il significato più intrinseco. E' ancora il caso a determinare le cose, a regalare la parola ..."fine", che tutto spiega e tutto cela. Saluti.

domenica 21 luglio 2019

Si riparte e si finisce da qui

Scrivere in questo luogo di memorie e speculazioni varie dopo quasi tre mesi dall'ultima volta dovrebbe garantire una vastità di argomenti sufficienti per innumerevoli righe. Così sarà, anche se mi trovo a riflettere che mai come ora potrei anche risultare sintetico e coinciso. Quel fuori, che in queste pagine continuo a guardare, appare come fossilizzato, "stremato" oserei dire, dalle montagne di parole che ogni giorno ci confondono e ammutoliscono (almeno su di me questo è l'effetto). Argomenti su argomenti, sempre nuovi e rinnovati, testimonianze, opinioni, riflessioni, prese di posizioni, sdegnate o straripanti, recensioni su questo e quello, sul troppo. Cosa resta di tutto questo in sintesi? Una sensazione come di spaesamento, di stordimento, appunto. Il tema da affrontare è di certo quello della comunicazione, ma direi che alla pari prende piede quello della frammentazione. Un pensiero frammentato non è un pensiero complesso. Se il secondo garantisce spazio al confronto (il che è auspicabile), l'altro tende a imporre una piena amnesia intorno al fine ultimo che ha attivato la riflessione. Un pensiero tira l'altro, diremo, come le noccioline, ma a breve il contenitore si svuota e implode su se stesso. Ecco, alla fine la sensazione è questa, un mare magnum di parole a ribadire pensieri, svuotati nel senso e ancor più nel significato. E' forse il momento di ridefinire un obiettivo, ancor di più quello di qualificare un percorso. Non basta più "andare", ma forse varrebbe anche la pena riflettere sul "dove"! Non sono mancate in questi mesi le occiasioni di confronto intellettuale, grazie anche alle situazioni che, assieme a degli amici (vecchi e nuovi) si sono andate promuovendo. Ci si è pelopiù soffermati sul tema dei diritti, i più variegati, volutamente cercando di non cadere nella trappola di, appunto, operare con le cesoie, affrontando una componente e dimenticandone un'altra. Alcune sere fa, durante un incontro pubblico a Trieste, la scrittrice Michela Murgia parlava giustamente dell'opportunità di questi percorsi "intersezionali" (lei riprendeva nello specifico il concetto di femminismo intersezionale, aderendo alle proposte dell'attivista Kimberlé Crenshaw di fine anni Ottanta). In breve: una lotta dalla parte delle donne, per la parità di genere, risulta limitata se non estesa anche ai diritti delle donne in quanto parte della comunità LGBTQ+ o delle donne che affrontano problematiche inerenti la loro etnia, per il loro colore della pelle. Insomma, i diritti sono diritti a 360°, alla pari dei principi che li sorreggono, al di là dei "recinti" entro cui si discutono e affrontano. Sembra una banalità, ma, invece, intravvedo in questa visione limitata una delle questioni principali su cui riflettere, estendendo tale speculazione alle attività culturali. Prendo atto, infatti, di innumerevoli gruppi al lavoro da anni (oppure nuove costituzioni) sulle tematiche sociali e, appunto, culturali (con tutte le estensioni che la parola "cultura" sottende), impegnati a soffermarsi su specifici campi di interesse, sulla particolarità di una proposta e non sui principi oggettivi che a monte la sorregge. Credo sia una questione che va posta nel superamento di ogni fondamento ideologico e anche oltrepassando il "confine", peraltro mobile, delle chiacchiere e delle finalità dei singoli gruppi di appartenenza politica. E' semplicemente una questione di voler collocare su di una strada coerente, con decisione e benevolenza verso il pensiero altrui, le micro-storie del quotidiano e le piccole narrazioni dalla ragione spicciola. E' un discorso di comportamenti, di etica capace di guardare oltre i fatti minuti, per ragionare di percorsi, senza farsi distrarre dal contesto oppure senza proporre distrazioni per finalità immediate e risibili. Antonio Scurati mi raccontava, a margine della presentazione fatta in anteprima a Pordenone nel settembre 2018 del suo libro "M" (che giorni fa ha vinto il Premio Strega 2019), dell'opportunità di coltivare una cultura dell'antifascismo non come un fatto di militanza dietro una bandiera ideologica, dell'opportunità di portare avanti un discorso oltre le pregiudiziali ideologiche, appunto, e ragionare sulla democrazia, semplicemente attraverso i caratteri specifici di quella, all'interno del suo linguaggio. E qui, va detto, per onestà verso chi ci ha lavorato, che all'interno dei percorsi (chiamiamoli culturali per brevità) che abbiamo cercato di promuovere negli ultimi sette anni in Friuli Venezia Giulia con l'Associazione ETRA di Monfalcone, il tema del linguaggio è sempre stato centrale. Un percorso a sostegno dei diritti (e quindi basato sulla percezione dell'"altro" quale elemento fondativo) si sostiene anche di una coerenza verbale, affrontando con consapevolezza i fondamenti del linguaggio che si va utilizzando, senza distrazioni provenienti dal solito contesto; superando cioè le tentazioni di fare propri termini e significati che non ci appartengono, impoverendo così il proprio fine. Sarebbe bello che i confronti, che la mediaticità ci offre quotidianamente con le nuove derivazioni semantiche del linguaggio, potessero essere viste come un fattore di contaminazione positiva e propositiva, ma la sensazione è quella della mimesi, della perdita, dell'utilizzo della "parola" come strumento di omologazione, di sradicamento da un centro di riflessione.
Frammentazione è la percezione di essere già in troppi (troppe idee, troppi rappresentanti) e la tentazione di diventare ancora di più, di riscontrare non le somiglianze, creando avvicinamenti programmatici, ma sottolineare le distanze, le micro-differenze. Infatti, proprio la proposta di un "progetto", finisce, sempre di più, per essere luogo di contrasto e non di sovrapposizione. Nel fare le proposte, pare ci si guardi intorno, facendo finta di non vedere. Sarebbe utile tradurre il "dico la mia" con un "diciamo la nostra", dove il "noi" finisce per essere  un auspicato soggetto costituito da pluralità collettive. Non neghiamoci all'evidenza che, se si è giunti a tale frammentazione di pensiero e quindi di "identità culturale", molto lo si deve alle difficoltà intrinseche ad un sistema Paese (Regione, Comune...). Parlando del cosidetto terzo settore, all'interno del quale si muovono la maggior parte delle persone propense ad un ragionamento sull'"io plurale", la cecità del sistema ha portato ad una logica riduzionista, non certamente idealista: per dirla in parole povere, una logica del "facciamo cassa", del "copriamo  le spese", che non determina il clima giusto per un domani in prospettiva. Chi vorrebbe poter "mangiare" con la cultura o con il sociale, appare oggi come un essere anomalo, sopportato, più che aiutato: e questo in un Paese che gestisce un "totale contestuale" fisicamente costituito dalla cultura (le città, i monumenti, le qualità ambientali...).
Inevitabile che in questa pappa omologante, per non perdere mai di vista il pensiero dimenticato, ma significante, di Furio Jesi, l'impegno non può andare più verso "il" progetto, ma sul ripensamento del "fare progetto". Si ritorna, quindi,  da una parte a scuola, sui libri, per garantire strumenti al pensiero, e dall'altra parte in strada, per non perdere contatto con la realtà. Resta la possibilità di guardare indietro alle esperienze fatte, molte contraddittorie, sintomatiche di un periodo e proprio per questo non più sufficienti o convincenti, alcune forse deludenti, mai inutili. 
Insomma, si riparte e si finisce da qui, in quest'ordine, per non perdere continuità.

Per animare la mente segue un piccolo bazar delle cose di interesse (mi viene sempre rimproverato di non fare più le classifiche, ma non ne sento veramente il bisogno: però qualche consiglio per gli acquisti, per quello che vale, si può sempre dare agli amici che mi leggono).
Un libro sulla fotografia, per parlare del "vedere": Luigi Zoja, "Vedere il vero e il falso", Einaudi, 2018.
Un libro di pensiero: Bruna Peyrot, "La resistenza del silenzio. Per una proposta politica e democratica", Mimesis 2019.
Un libro di bisogno estetico (scrissi anni fa, nel 1997, un libro di "cultura estetica" e quindi lascio a quello spiegare i significati che attribuisco a questo termine, "estetica", intendo): Massimo Cacciari, "La mente inquieta. Saggio sull'Umanesimo", Einaudi, 2019.
Un libro sul fumetto (di parole e molte immagini, importanti per capire): Giovanni Giovannetti, Luisa Voltan (a cura di), "Come è bella l'avventura. Mino Milani. Biografia per immagini", Effigie, 2018. Questo libro mi ricorda molto quei volumi, bellissimi, pubblicati negli Oscar Mondadori, nella serie gli "Album", tra cui l'"Album Calvino", l'"Album Pasolini", l'"Album Buzzati", dove erano le immagini accompagnate dalle parole a creare delle narrazioni splendide sulla vita degli scrittori, ma anche su il loro Tempo. Ve li consiglio tutti!
Un fumetto: è uscito di recente un nuovo numero della serie "Hai mai notato la forma delle mele?", mi pare il n.5. Il lavoro di Mabel Morri mi piace molto, da sempre, e questa serie l'ho molto amata al tempo della sua uscita, tanto che ne facemmo una mostra nel 2006, con quelli di ARTeFUMETTO. Riscopritela, anche in raccolta per i tipi di Ren Books.
Un libro di finta narrativa (in cui mi ritroverei, se dovessi scrivere ancora dei racconti, ma non credo): Emanuele Trevi, "Sogni e favole", Ponte delle Grazie, 2018.
Un libro su quell'arte che chiamiamo contemporanea, ma che ormai mi pare già storicizzata nei fatti, mentre una diversa o rinnovata non la vedo ancora (che se poi consideriamo, a piacimento, contemporanei Courbet, Picabia, Picasso, Fontana, i "prezzemolini", e nello spirito dei tempi, futuristi e Yoko Ono, vorrei vedere non lo fosse questo qui): Elio Grazioli, Bianca Trevisan (a cura di), "Maurizio Cattelan", Quodlibet, 2019 (RIGA, peridoco semestrale).
Un film da vedere: esiste veramente qualcosa di meglio di "Avengers Endgame", se dobbiamo parlare di quello che il cinema deve fare in termini di intrattenimento?
Un disco da ascoltare, per accompagnare tutto questo: un pò di Sharon Van Etten (Remind Me Tomorrow), un pò di Coma_Cose (Hype Aura), un pò di Fontaines D.C. (Drogel) e un qualcosa a caso di Neil Young che non guasta mai (This Note's For You).
FINE.
(immagini in testa e in coda viste a Venezia girando tra le Gallerie d'Arte private)

giovedì 25 aprile 2019

Noi ci siamo e saremo...

da Misterius di Leo Ortolani, copyright dell'autore
Chi lo avrebbe detto, veramente, che il Novecento portasse con sé  tutti questi strascichi nei primi decenni di questo nuovo millennio? Chi avrebbe immaginato che le ideologie sarebbero alla fine risultate vincitrici sugli uomini, intesi come individui o come collettività? La sensazione è che anche le ideologie, in realtà, abbiano perso dinanzi all'avanzare stanco delle strategie di interesse e alle convinzioni personali di gruppo. Ciascuno definisce, quindi, il proprio recinto mentale in cui stare e da esso lancia proclami e strali verso coloro che la pensano diversamente dal proprio gruppo. E' l'atomizzazione della collettività ed è, alla fine, un percorso di ridefinizione dei Comuni di medioevale memoria. Tutti contro tutti in ricordo di un passato spesso riletto a piacimento, spesso rivisto sulla base di un interesse programmatico.
Nella sua espressione meno nobile, forse, anche questa giornata di riconoscimento nei principi della Liberazione ne esce svuotata, tra le polemiche di chi dice partecipo, chi non partecipo perché... o chi dice partecipo ma...ecc. E' la Storia che tenta di porre la sua mano pesante sulle coscienze e ristabilire la sterile lotta dell'ultima parola. Ma, quanti morti! Quanta sofferenza! E poi il riscatto per trovare di nuovo un senso alle proprie esistenze, malgrado tutto, andando spesso oltre la propria stessa umanità, accettando di precipitare e di fare poi fatica nel guardarsi ancora allo specchio per le mani bagnate di sangue. Sullo sfondo però non ci sono le ideologie da difendere (di quelle chi se ne frega!), sullo sfondo la vera battaglia è per i diritti, non gli stili, ma i principi. Questi diritti e questi principi, che qualcuno ci ha trasmesso oltre le ideologie, oltre gli interessi personali, oltre la politica del ci sono! e delle voci ingombranti e disturbanti, ecco quelli sono in fondo la sola cosa che conta. Ciascuno deve (dico "deve", non "può"...) portare un proprio contributo, perché di questi diritti e principi si parli e discuta, perché le chiacchiere da TV e da web vengano depotenziate a sottofondo e rimanga una voce alta e chiara su ciò che conta davvero.
Noi nelle prossime settimane faremo quanto sappiamo fare e quanto possiamo fare. Per questo venerdì 17 maggio alle ore 18.00 sarà nostro ospite alla libreria LOVAT di Trieste, a supporto del FVG Pride che si svolgerà proprio a Trieste l'8 giugno, Leo Ortolani e attraverso la presentazione del suo volume Cinzia, parleremo, assieme agli amici di Arcigay Arcobaleno di Trieste e Gorizia, di discriminazione sessuale e di genere, per rimarcare il diritto di tutti di essere e basta! Sabato 01 giugno, sarà nostro ospite a Udine (stiamo definiendo il luogo e l'ora), Matteo Scalera, per consegnare a lui il Premio Giacomo Pueroni 2019, per ricordare un amico scomparso, ma anche per rimarcare l'importanza di non dimenticare chi sta male di una malattia difficile come la SLA, che si è preso Giacomo in ancora giovane età e che lo stesso sta facendo con molte altre persone. Giovedì 13 giugno ancora alla Libreria Lovat di Trieste, alle ore 18.00, assieme a Silvia Ziche, Sara Colaone e Francesco Satta, parleremo di Storia e della faticosa strada dell' emancipazione femminile in Italia; poi venerdì 14 gugno, alle ore 18.30 a Ronchi dei  Legionari, ancora con Silvia Ziche e Sara Colaone, assieme a Carlo Gubitosa e Bruno Luverà di Billy, presenteremo dei volumi, ma tra le righe ci confronteremo su stereotipi, pregiudizi e discriminazione di genere.
E' vero, non è niente, ma è quello che potevamo fare. E lo abbiamo fatto.

sabato 2 marzo 2019

Stranieri


Straniamento. In letteratura: serie di artifici linguistici con cui lo scrittore rivela aspetti inediti di una realtà nota. Se dico "rosso" quando tutti si aspettano che io dica "nero", riesco nel mio intento di produrre una sensazione di straniamento nel mio interlocutore. Riesco nel mio intento, non di sorprendere, ma di legare il lettore alla mia proposta, indipendentemente se sia valida o etica. Improvvisamente vi è un bisogno (e forse il dovere) di sentirsi stranieri nel proprio corpo, di estraniarsi dai propri pensieri e porsi dei diktat, da sé a sé, come se fossimo altro da noi stessi. Dovremmo vincere l'apatia intellettuale, innescando processi di straniamento volontario. Perché farlo?  Semplicemente per "non accettare". Non è un discorso di "resistenza" o di "resilienza", condizioni e concetti che fanno rima con "lenza", a cui a volte ci piace concederci di stare attaccati, semplicemente per non fare nulla, bensì una proposta di estraneità da questo mare magnum comunicativo, per permettere a noi stessi di chiederci: cosa ci interessa, davvero? Cosa ci piace, davvero? Qual è il nostro ruolo dinanzi alle cose che ci succedono attorno? E' come ridare un senso alla nostra fisicità (alla nostra pesantezza corporea) all'interno del flusso informativo. Io sono questo: mani, piedi, pesanti sulla terra, peli, sangue ecc. e non notizie, sovrapposizioni narrative da decodificare per stare al passo con l'esterno che ci sospinge, che ci modella, che ci immobilizza improduttivamente. Lo scontro tra società informatizzata e tecnologica (che però è fatta solo di sciocchezze, di sovrastrutture e sovra linguaggi e non di soluzioni e linee guida consapevoli) e nuovo umanismo (ovvero la riscoperta della centralità dell'uomo) appare evidente: un cavallo a cui tutti i "pensatori" cercano di salire in groppa per la paura, tutta di convenienza, di restare fuori da quello stesso flusso informativo, a rigetto del quale tale discussione viene posta. Straniamento è quello che si prova, per la consapevolezza del non detto e la pigra e a volte disarmante rinuncia all'alzare la mano e dare sfogo ad un pensiero controcorrente, offerto non per protagonismo (narcisismo) ma di sostegno reale ad una proposta critica, che prima di tutto è autocritica. Oggi, credo, che il dovere più grande in questo senso sia rifiutare alcuni vocaboli, privarcene volontariamente, perché sono fraintesi e veicoli di significati devianti. Tra questi: identità, nazione, noi, loro, massa, sostenibilità, degrado, pulito, sporco, destra, sinistra, ieri, meglio, peggio. Se provassimo ad immaginare anche soltanto una giornata intera, nell'anno 2019, senza l'uso di tali parole, potremmo venire travolti da un senso di incapacità comunicativa e quindi di frustrazione collettiva, che potrebbe condurre ad uno shock tale da farci riflettere su quanto siamo stati culturalmente manipolati in questi ultimi vent'anni. Provateci e provate a costruire un vostro personale non-vocabolario, che vi permetta di sentirvi estranei al contesto e al tempo stesso criticamente sufficienti per dare un giudizio personale su ciò che vi/ci circonda. Se lo farete, vi ringrazierò.
(nella foto: un particolare da un disegno di Guido Buzzelli per Labirinti)

sabato 12 gennaio 2019

Come si deve venire?

In un contesto "culturale" di difficile interpretazione (Giovanni Lindo Ferretti avrebbe detto: "Fedeli alla linea, la linea non c'è"), mi viene voglia di contraddire completamente il mio pensiero, così disponibile ad accettare la complessità, il dubbio, come proposta di analisi. Mi rendo conto che forse mai come adesso vale la battuta del finto senatore Mario Dorazio, interpretato da Vittorio Gassman nel film La terrazza di Ettore Scola: "La verità si scrive in poche righe!". Affermazione, secondo me, da verificare accostandola con l'altra battuta affidata da Age & Scarpelli (e Scola) allo stesso personaggio: " A che ora è la rivoluzione, signora? Come si deve venire? Già mangiati?". Se penso che vivo in un contesto "culturale" in cui non sono nemmeno in grado di affermare qui con certezza in quante righe ho scritto questo post, poiché a seconda di dove uno lo legge (foglio stampato, pc, smartphone...) quelle cambiano, mi pare che ci sia un pochetto da riflettere. Nel dubbio io ho preparato un panino!
(foto: un particolare da Pupa e Bob Bob per la Zoppas, 1968)

lunedì 31 dicembre 2018

Fine anno che trovi e nuovo anno che lasci


Che l'ultimo giorno dell'anno sia un momento di riflessione nostalgica, di dura volontà di superamento e anche, certo, di rinnovata speranza è innegabile. C'è tra le righe anche un pò di timore, per come potrebbe evolvere tutto quello che abbiamo attorno nel prossimo anno che sarà. Rescriminazioni, scarsa disponibilità alla tolleranza, e quello che Loredana Lipperini, nel suo saggio per l'ottimo catalogo che accompagna la mostra dedicata dal Maxxi di Roma a Zerocalcare, definisce "il populismo del rancore quotidiano" (frase dello stesso Zerocalcare). Quell'"intrecciarsi schizofrenico fra l'emergere di una cultura integrata su scala planetaria, che chiederebbe un governo sovranazionale, mondiale dei processi - sempre la Lipperini - e lo scatenarsi anche sanguinoso dei particolarismi, dei localismi, dei tribalismi, con l'immancabile e triste codazzo delle xenofobie e delle infamie antisemite. In questo quadro si comprende che è la stessa nozione di 'futuro', una nozione chiave della modernità, sulla quale si basava in larghissima misura la fantascienza, a dissolversi". Ecco che giustamente Lipperini cita lo stesso Zerocalcare, da una sua storia, nel commentare lo slogan punk del 'No Future': "...Mi sono fidato quando ci hanno detto che ci avevano rubato il futuro. E invece il futuro è arrivato". Ecco, il futuro arriva sempre, ma che poi sia un bene non è detto, almeno sino all'ultimo. Guardo quindi un po' ai mesi passati e cito a caso, dal mucchio delle cose possibili, quelle che mi sono parse interessanti e meritevoli, sempre ovviamente con l'occhio rivolto alle mie passioni. Nel farlo va subito fatta una premessa: le "cose" sono sempre di più e spesso la qualità è molto alta sul piano tecnico e professionale, ma proprio per tale motivo sono questi ultimi gli aspetti che appaiono meno interessanti da affrontare. Meglio guardare ai temi dietro la superficie, ai contenuti che appaiono coerenti con una visione, che i tempi ci costringono a voler pretendere essere etici.
In queste pagine ho già ricordato con lode il Jonas Fink finale della trilogia di Vittorio Gardino, e anche il Romanzo esplicito di Fumettibrutti. Vorrei ora citare il lavoro di quella che considero la migliore illustratrice della nuova generazione, proveniente dalle pagine del collettivo Delebile e ormai fissa presenza sulle migliori testate mondiali, ovvero Bianca Bagnarelli. Con un  tratto molto colto, ripreso forse da Cris Ware (Building Stories), forse dal senso profondo del lavoro di Raymond Carver o Alice Munro. In questo fine anno il suo lavoro si può scorgere a commento delle pagine del volumetto Crooner di Kazuo Ishiguro, edito da Einaudi. Fondamentale, e per me miglior Graphic Novel dell'anno, arriva in questa fine 2018 anche Ariston di Sara Colaone e Luca de Santis, edito da Oblomov. "La Storia, un affare di donne", sottolinea Francesco Satta nella postfazione al volume, riprendendo anche una frase di Tina Anselmi: "Una donna che riesce, riesce per tutte le altre". Un splendido viaggio, quello degli autori, nell'importanza della 'scelta' e del "femminile", come auspicabile guida del destino del mondo. Ancora, dalla splendida cura editoriale di Bao Publishing, un bel volume di Elisa Macellari, Papaja Salad. Un'illustratrice si dedica al fumetto e regala un viaggio all'interno di culture e storie che conosciamo poco. Imperfetto, e per questo interessante. Dopo tre donne, un autore maschio, la cui esibita, discutibile e discussa misoginia (insistita e a volte una specie di firma autoriale), ci accompagna direttamente nella Storia del fumetto internazionale: Robert Crumb. Comicon Edizioni pubblica in un unico volume i tre numeri di Art & Beauty Magazine, dove i disegni troppo perfetti (tratti a volte da fotografie ricopiate, spesso rivisitate per deformare i corpi nella "tipica donna alla Crumb"), tracciati con l'evoluzione della tecnica scribble scribble, propria dell'autore, dimostrano la grandezza del padre dell'underground americano. Un volume magnifico, da restarci secchi nell'immaginare l'autore al tavolo da lavoro a tracciare maniacalmente i suoi segni. Vorrei citare ancora un autore, uno scrittore questa volta, che si è imbarcato in una vicenda editoriale complessa e enorme, quella di raccontare in tre romanzi la documentata vicenda storica e umana di Benito Mussolini. L'autore è Antonio Scurati e il volume M. Il figlio del secolo. Il libro non merita di essere letto, ma va obbligatoriamente letto, perché deve restare sempre chiaro nella testa di ciascuno, quale è il percorso culturale e il substrato sociale che produce certi "fenomeni" storici. A volte la democrazia, quando è minata dalla malafede o alimentata dall'ignoranza, produce il suo opposto. E vi è sempre qualcuno disposto ad approfittarne. Vorrei infine menzionare alcune canzoni, che mi accorgo coltivano bene il senso di questo post. Consiglierei l'ascolto attento di Post Concerto dei Coma_Cose. Li adoro quando recitano, quasi come in una sequenza fotografica fatta di concetti espressi a parole: "E i bicchieri abbandonati/ Sanno come ci si sente/ Ad essere come diamanti/ Invisibili alla gente". Oppure: "Ho ancora voglia di combattere/ Garibaldi aveva solo mille followers". E infine la grande Francesca Michelin, con la sua importante Bolivia "È l’umanità che fa la differenza/ Portami in Bolivia per cambiare testa/ Portami in Bolivia per cambiare tutto/ Spegnerò il telefono/ Sarò libera e indipendente/...Non ho bisogno di niente". E ancora: "Ma se vuoi puoi salvarmi dall’umidità della pioggia più insistente / Che entra nelle ossa della gente/ Che si lamenta sempre/ Che mangia male e crede a ciò che legge". Esatto. Uscite da questo blog, uscite da tutti i post ecc., parlate con le persone che avete vicino e con quelli che non conoscete. Capite le cose, capite la gente e non credete a ciò che leggete. Buon anno di indipendenza mediatica e culturale!
   

martedì 25 dicembre 2018

Molto, molto cordialmente

Mentre mi rigiro nei pensieri appannati del giorno di festa, mi arriva la notizia che è scomparsa, ieri 24 dicembre, Grazia Nidasio.
La cosa mi procura un fastidio enorme, perché ho stimato l'autrice, la disegnatrice, la persona. Con quest'ultima ci siamo anche scambiati alcune lettere nella prima metà degli anni 2000, perché con l'Associazione ARTeFUMETTO, che allora presiedevo, vi era la volontà di fare delle cose con l'autrice.
Quelle lettere (con gli indirizzi tagliati e incollati) parlavano il linguaggio dei suoi libri, quello di "ragazze" consapevoli e autorevoli. Non riuscimmo, poi, a portare a termine il progetto, perché altre cose si accavallarono, allora, Giardino, Cavazzano, poi Pazienza e poi Gipi. Mi restano ora, quelle lettere, dove l'autrice mi sottolineava che, comunque, mai avrebbe presenziato ai nostri eventi a lei dedicati, poiché, come scriveva "...ho pensato che, invecchiando, ciascuno si guadagni un certo diritto al ritorno della naturale timidezza". 
Resto qui, nel giorno di Natale 2018, a contemplare quelle parole, che potrebbero essere di monito per molti e forse di indirizzo.
La saluto, la signora Nidasio, come faceva lei "...molto, molto, cordialmente."