sabato 27 marzo 2010

Il passo del gambero

Esiste a Praga un bel monumento edificato nel 2002 ad opera della Città di Praga, del Distretto municipale di Praga e dalla Confederazione dei prigionieri politici. Si intitola "Il memoriale delle vittime del Comunismo" ed è dedicato in realtà non solo alle vittime, ma anche a tutti coloro che vivono in una condizione di dominio da parte di ogni generico despotismo totalitario. Il monumento presenta una figura umana che venendo dal fondo di un percorso inclinato, un ipotetico passato, sino a noi, che contempliamo l'opera, riconquista a poco a poco delle parti corporee e quindi un'ipotetica umanità un tempo privata. E' uno dei più bei monumenti pubblici che mi sia capitato di vedere.Leggevo in questi giorni alcune note critiche a proposito di un testo di Pier Vittorio Tondelli del 1990, Un weekend postmoderno. Filippo La Porta scriveva nel 1991: "...dell'attitudine dell'autore (Tondelli) a muoversi nel testo in un universo variopinto, ma "unidimensionale...in cui insomma il nuovo è sempe déjà vu".
Questo "nuovo che è sempre déjà vu" narrato da Tondelli e questo percorso faticoso di riconquista di una dignità umana che viene dal passato, sotteso dal monumento praghese, mi hanno scatenato un'emotività inconscia, una sensazione non razionale di disagio: una consapevolezza non dichiarata di rivivere, oggi, dentro errori appartenenti al passato. La nostra società sempre così propensa a compiere percorsi affrontati inconsciamente di sghembo, trasformando sconfitte in mezze conquiste e condivisibili pessimismi in repentini ottimismi.
P.S. Il passo del gambero (Im Krebsgang, 2002) è anche un libro di Gunter Grass (in Italia, Einaudi, 2003), che termina con la frase "Non finisce. Non finirà mai". E ciò non mi appariva ieri, nè tantomeno mi appare oggi troppo rassicurante.

martedì 23 marzo 2010

Simpatie

Ieri sera mi è capitato di guardare il concerto di Lucio Dalla e Francesco De Gregori trasmesso in prima serata da RAI2. Un concerto entusiasmante direi, visto che entrambi hanno deciso di presentare molti dei loro successi, in maniera non banale, con arrangiamenti indovinati, pescando da un paniere di titoli immenso di successi e anche capolavori. Non sono un fan dei due, ma conosco molte loro canzoni a memoria, soltanto per avermi quelle accompagnato prtaticamente durante tutta una vita. Credo che ieri sera la "Com'è profondo il mare" di Dalla, la "Santa Lucia" di De Gregori e anche una versione rock/blues di un canzone che non mi ha mai entusiasmato come "Buona notte Fiorellino", siano state tra le più riuscite. Alla fine una bella serata di musica.
Il fatto è, poi, che a me Lucio Dalla è sempre stato un sacco simpatico. Il suo eccletismo e la sua misurata stravaganza, questa sua stessa mania di nascondere da sempre la calvizie (un vezzo inutile, vista la sua grandezza artistica), mi hanno sempre indotto sentimenti positivi. Ho anche un ricordo su di lui.
Assieme ad Antonello ero andato il 09 ottobre del 2004 a Codroipo, in provincia di Udine, alla mostra di Marco Martellini, un caricaturista veramente bravo. I curatori dell'iniziativa, il gruppo degli Auagnamagnagna, nostri amici, avevano fatto stampare un librino con alcuni lavori del disegnatore, sul quale in copertina imperversava questo faccione sghembo di Lucio Dalla. Martellini fece per l'occasione una caricatura a tutti, poi caso volle che a Trieste, non proprio dietro l'angolo quindi, ci fosse in Piazza dell' Unità, in occasione della Barcolana di quell'anno, il concerto gratuito di Dalla stesso. Un caso. Martellini per scherzo disse: "Se andate a Trieste date il mio libretto a Lucio!". Fabio Varnerin e Marco Tonus degli Auagnamagnagna, per ribadire, sottolinearono che sarebbe stato un bel gesto verso il disegnatore, un pò ridendoci sopra. Antonello e io prendemmo la cosa come sfida. Era già tardi e partiti con il librino in tasca raggiungemmo Trieste a concerto ben iniziato. Davanti al palco c'era una folla notevole e la nostra iniziativa sembrava alquanto stramba. Così, con la calma serafica che ci è consona in tali frangenti, ci sedemmo su alcuni panettoni in cemento posti a delimitare l'area degli artisti dietro il palco. Antonello aveva questo libretto in mano e alcune guardie del corpo ci guardavano un pò con supponenza, un pò con ilarità. Ci rilassammo, ascoltando la musica proveniente dal palco. Ascoltammo la voce di Dalla che presentava sul palco la cantante Nicky Nicolai per un paio di pezzi da solista. Poi, ecco Dalla, che clarinetto alla mano, se ne esce nel retro palco, fa la scaletta che porta dal palco alla quota della piazza e si fa alcuni giretti di cazzeggio: mentre sul palco suonano, cantano, lui si gode la quiete. Vede noi seduti sui panettoni, con due guardie del corpo davanti, e vede Antonello che, senza troppa agitazione in verità, alza il libretto, agitandolo lentamente. Lucio Dalla incuriosito se ne viene da noi; le guardie del corpo sono un pò imbarazzate; noi gli spieghiamo del libretto, della caricatura, della mostra, di Martellini; accetta il libretto in regalo, dandolo in consegna ad un suo assistente, che lo aveva raggiunto; Lucio prende dalle nostre mani alcune cartoline con la stessa immagine della copertina del libretto, ne autografa una per me e poi su di un altra scrive: "Ti ringrazio. Lucio Dalla" e poco più in là "Con affetto". Ci saluta con un mezzo inchino e torna sul palco dove la Nicolai sta ultimando l'esibizione.
Noi ci mettiamo a ridere. Prendiamo il cellulare e scriviamo un messaggio a Varnerin, a Tonus e a Martellini, con scritto: "Ok! Missione compiuta".
Ho letto stamani che la serata su RAI2 con i due cantautori è stata subissata negli ascolti da "Amici" su Canale 5 e dalla fiction su RAI1. Bene, io vi dico, "oh pubblico televisivo", mi inchino ai vostri gusti, ma temo siate meritevoli di ciò che avete.

mercoledì 17 marzo 2010

Venezia e il caso

Stamani mi sono alzato presto, dovevo essere a Venezia per gli esami del corso di Restauro Architettonico allo IUAV a cui collaboro. Arrivo in stazione con un pò di ritardo e vengo travolto da una folla di ragazzine urlanti, che correndo andavano ad assieparsi sul piazzale fuori dalla stazione. Non capivo cosa stesse succedendo. Poi mi ricordo che stanno girando un film a Venezia con Angelina Jolie e Johnny Depp come protagonisti (The Tourist dovrebbe chiamarsi, con regista Henckel von Donnersmarck, già autore de Le Vite degli altri) e comincio a capire. Mi soffermo curioso, ho per caso in borsa anche la macchina fotografica digitale e scatto qualche foto al set. Al ritorno a casa, verso sera, arrivato in stazione mi trovo in mezzo ad una scena irreale, nessun studente, nessun turista solo uomini e donne vestiti in nero con trolley alla mano. Tutte comparse! E più in là sulla scalinata della stazione ancora fans deliranti. Stavolta, per caso, sono vicino alla riva, e riesco a scattare qualche foto più ravvicinata. La Jolie sembra anche dal vivo stampata su di un calendario (molto bella comunque).
Johnny Depp ha le guance un pò pienotte in verità...ma le ragazze gridano comunque a tutto spiano, zittite dalle guardie del corpo (un pò troppo in parte anche loro, a dire il vero).
Vi lascio due foto di questo incontro fortuito.

martedì 16 marzo 2010

Guccini

Francesco Guccini appare sul palco come solo un grande vecchio sa fare. Ha il dono della parola e la usa come pochi, per seguire un percorso linguistico e ancor prima personale di assoluto rilievo. Racconta fatti di ieri e di oggi, li commenta e la platea è attenta: ride, applaude, partecipa ad un rito che da anni si ripete sempre uguale. E' un rito a cui portare rispetto, perchè le parole (come dicevo) e la musica sono di valore. Lui si prolunga e a volte si perde tra i suoi aneddoti e una ragazza gli grida: "Canta!" Lo dice con affetto. Lui non lo capisce del tutto, ma argutamente risponde: "Il cantante non è un jukebox!". Ognuno ha una sua canzone, che ama maggiormente e vuole sentire. Si sente gridare: "L'Avvelenata"! "Il vecchio e il bambino"! Bologna!... Francesco si rivolge al suo pubblico e dopo aver spiegato che c'è una scaletta da seguire, ci sono vincoli SIAE e non ricordo cosa d'altro, dice una delle cose più belle che mi è capitato di ascoltare ad un concerto: "Su dai... lasciatevi servire!".
Il servizio è stato buono venerdì, 12 marzo a Trieste, nelle due ore e passa di concerto/dialogo del cantautore bolognese. E' un ricordo piacevole quello che resta alla fine. La mia canzone preferita "Quattro stracci" Francesco non l'ha cantata. Ne ha fatta però un'altra, che mi è sempre piaciuta molto, e che, come ha detto anche lui, racchiude un pò il senso della sua ricerca di scrittore, ovvero cantare "il tempo". La canzone è "Il tema" e dice tra l'altro:
E dirò di pietre consumate, di
città finite e morte sensazioni
racconterò le mie visioni spente
di fantasmi e gente lungo le
stagioni, canterò soltanto il
tempo...
Ho sempre considerato il passato come unico luogo mentale possibile da raccontare, essendo il presente troppo "qui e ora", per non subirne quel coinvolgimento emotivo che non consente la giusta distanza nel guardare le cose. Spero di avere la voglia e il tempo per continuare a scrivere in queste pagine anche domani e raccontare quindi questo nostro oggi, che cerco di analizzare, ma fatico a comprendere.

mercoledì 10 marzo 2010

Cose di tutti i giorni..

Domenica 7 marzo ero al Festival del Fumetto (BILBOLBUL 2010) di Bologna. Capatina veloce. Il Festival ci ha abituato a tanti incontri interessanti con gli autori e a mostre di rilievo. Personalmente la cosa più interessante l'ho vista a chiusura di giornata, quando ormai la saturazione stava per brindare con la stanchezza. Emilio dell'associazione Hamelin, che cura il Festival, ha messo a confronto sullo stesso palco due autori interessanti: il fumettista Paolo Bacilieri (Zeno Porno, Barokko, Napoleone, in ordine sparso e incompleto), veronese d'origine, classe '65, ma stanziale a Milano, e lo scrittore Nicola Lagioia, barese, classe '73. Emilio dice di aver trovato, leggendo le loro opere, varie analogie, tali da consentire un dialogo attorno ad un tema non ben definito, ma che alla fine è ben riassunto dal titolo di un libro di Bacilieri, La magnifica desolazione. E' un dialogo quello a cui si è assistito incentrato sul paese reale, l'Italia, sulle disillusioni che nascono da aspettative non sanate, sulla nostalgia generazionale, che diventa malinconia e quindi rabbia celata. Lagioia è abile oratore: non dice nulla a caso, propone cose su cui ha riflettuto a lungo e che dice probabilmente uguali a quanto proposto ad altri incontri; Bacilieri sembra più libero, divertito dalle parole del barese e nello stesso tempo favorevolmente colpito, che si possa finalmente partecipare ad un incontro sul fumetto che non risulti autoreferenziale, ma più funzionale al pubblico, per dare degli spunti di lettura a situazioni, quelle reali che ci circondano, sulle quali c'è poco da scherzare. Lagioia in particolare ha appena pubblicato un libro, Riportando tutto a casa, edito da Einaudi, ambientato nella seconda metà degli anni '80 e incentrato sul confronto che in quegli anni si impone tra "potere e spettacolo". Ascoltandoli mi è venuta la voglia di prendere qualche appunto e così ora posso riportare, senza precisione da cronista, qualche frase, qui parafrasata e sintetizzata per semplicità:
"L'Italia è un incubo interessantissimo da affrontare. Vista da fuori è come un quadro di Bosch con molti jingle in sottofondo (Lagioia)"; "Non siamo estranei e incolpevoli alle cose: come si chiedeva Gobbetti, 'il fascismo è la responsabilità di uno o due o tre o è l'autobiografia di una nazione?' (Lagioia)"; "Il mio paesaggio dell'infanzia, quello della campagna veneta, è un paesaggio in continua evoluzione. Nasce l'esigenza con il disegno di bloccarlo. E' l'unica maniera di vendicarsi sul fatto che lo stiamo irrimediabilmente cambiando. E' operazione da Settecento pittorico, tipo Bellotto con la camera ottica, ma al contempo è gesto emotivo, derivante dalla paura per la perdita (Bacilieri)"; "Il fatto di Vermicino (il piccolo Alfredo), ha imposto per la prima volta, grazie e a causa della TV una sovrapposizione tra paesaggio reale e realtà immateriale (Lagioia)"; "Oggi neghiamo ai nostri figli e a noi stessi la possibilità di un'esplorazione della città. Abbiamo rinunciato alla possibilità di perderci, scavalcati dagli impegni continui ed insistenti: la scuola e poi la piscina, il corso di inglese, ecc.. Ma il paesaggio va vissuto, non va ingabbiato. La poetica del paesaggio è la ricerca di uno spazio urbano che ancora consenta qualcosa, di emotivo forse (Lagioia)"; "Parlare il linguaggio dell'avversario ti trasforma già nell'avversario (Lagioia richiama gli anni' 80, l'esperienza del Drive-In televisivo, delle frasi fatte, ripetute e tradotte a slogan)"; Il rapporto con mio padre (le generazioni passate) è quello con il "padre-gigante", con l'italiano Homo Faber, con il quale non puoi competere, nè forse nemmeno confrontarti. Vi è una reale impossibilità del competere con la generazione precedente, anche dal punto di vista emotivo, anche nelle aspettative: consegnarci un mondo (un paese) migliore (Bacilieri)"; "Per avere lucidità oggi devi recidere i legami d'affetto. Orson Wellws, ne La Ricotta di Pasolini dice: 'L'Italia è la cornice più ignorante di tutta Europa'. E' la cultura di molta imprenditoria, che pensa solo al soldo, al produrre, e, per mancanza culturale, per eccesso di pragmatismo, non è capace nemmeno di godere di quanto produce (Lagioia)"; "L'edonismo reganiano degli anni '80 non è passato mai del tutto. Puoi rifiutarlo, ma infondo ne sei parte, in quanto generazione che l'ha vissuto. Ne sei infettato. Sei un mutato. Ne sei immerso, anche involontariamente e ciò è innegabile (Lagioia)"; "Il contagio, la mutazione, derivante dall'aver condiviso un qualcosa, ci porta a vedere le cose come da dentro un acquario, in maniera, cioè, non neutra o indisturbata. Le storie devono avere una ricchezza che sottolinei il distacco. (Bacilieri)"; "L'autobiografia non è la rappresentazione di qualcosa che mi/vi è successa, ma di qualcosa che si è meditato (Lagioia)".
Ecco questo è un resoconto, piccolo, superficiale ed incompleto. La cosa che più mi interessa sottolineare è che ero ad un Festival di Fumetti, ma non si è parlato nè di Topolino, nè della Pimpa. Oddio anche, ma non solo. E credo che per molti questa possa essere una sorpresa. Per il resto: quanto detto mi trova perlopiù in accordo, in particolare che per noi, che attraverso gli anni'80 ci siamo passati, vale quanto detto, ovvero che ne siamo restati travolti, "mutati". Oggi spesso li sento rimpiangere, specie da chi non li ha compresi a fondo. Sarebbe bene non confondere la nostalgia per una goventù passata con revisionismi azzardati.

venerdì 5 marzo 2010

Reduce e sorridente

Riprendo alcuni temi del post precedente, poiché credo non si possa sempre solo dire cosa non va, ma si debba anche essere propositivi e indicare delle strade. Io credo che ogni dittatura possa essere vinta, purché ci sia convinzione nelle idee (che non sono ideologie), perchè ogni dittatura propone a sua volta idee retoriche, che a lungo andare vengono a noia e, alfine, lasciano il passo. La dittatura dell'assenza va combattuta e non necesariamente con la presenza (nel senso di presenzialismo e di protagonismo), ma con la forza del fare, con piccole grida che sono come gocce che da sole inumidiscono e basta, ma una dopo l'altra bagnano. Per dirla con una massima da Bacio Perugina: "finchè c'è una passione c'è anche una ragione di vita". Io ho sempre creduto nella cultura, ma, attenzione, non nell'autoreferenzialità culturale e tantomeno nella cultura quale maschera di protagonismo. Mi piacciono le fabbriche di cultura, ovvero piccoli spazi della coscienza (che a volte diventano spazi di condivisione), allorché uno si mette a fare ricerca attorno qualcosa, ci mette l'anima e piano piano vede che le cose possono funzionare, hanno un senso. Il mio impegno è sempre stato nel senso dell'educazione. Imparare ad ascoltare e poi trasmettere: educare a guardare, educare all'appassionarsi alle cose. Mi è sempre sembrato che la dittatura dell'assenza possa essere combattuta con piccoli gesti che possano animare interessi sopiti, spesso sconosciuti.
Io credo che tutta l'attività che ARTeFUMETTO ha svolto in questi anni sia stata finalizzata a questo. Nessuna mostra o incontro organizzato ha portato una gratificazione fine a se stessa , ma un'occasione di poter trasferire una passione, nel nostro caso verso l'arte sequenziale, il fumetto. Per altri sarà qualcosa di diverso. In questo senso è stata una buona occasione , quella offertaci dal Consorzio Culturale del Monfalconese , che ha ospitato nella sede di Ronchi dei Legionari, dal 19 al 28 febbraio, una piccola (ma importante) mostra incentrata sull'ultimo lavoro a fumetti di Walter Chendi, ovvero La porta di Sion, edito da BD Edizioni di Milano. La storia, ambientata a Trieste nel 1938 al tempo della proclamazione delle leggi razziali da parte di Benito Mussolini e incentrata sul percorso iniziatico che un ragazzo triestino ebreo compie verso l'età adulta, ha consentito di trattare tematiche legate al linguaggio del fumetto, ma anche temi storici ed etici in genere. Il 19 febbraio ho potuto parlare di fumetto e storia difronte a molti ragazzi delle scuole medie di Ronchi dei Legionari (vedi la foto): alcuni erano interessati, altri meno, ma si è creato in loro un ricordo attorno ad una proposta nuova, culturale nel senso nobile del termine, e mi ha colpito che forse anche le professoresse hano valutato un modo nuovo di affrontare certe tematiche. Il giorno 26 febbraio, la sera, mentre fuori imperversava un bel temporale, molte persone hanno scelto di partecipare ad un incontro di presentazione de La porta di Sion, negli spazi della mostra: con il bravo Walter Chendi, con il noto autore di fumetti Vittorio Giardino, ma anche con Donato, Matteo e Stefano del gruppo teatrale Daidaloi, che hanno letto passi tratti da testi correlabili ai temi del libro e anche con Alessandra e Sergio che hanno suonato musiche klezmer e yiddish. In due ore intense si è parlato di fumetto, letto di storia e poesia, suonato e credo si sia dato sfogo ad una mia convinzione: che ogni cosa vada rappresentata dando adito alla complessità che la sottende. Questa per me è cultura. Se in qualcuno dei presenti (i ragazzi del 19 febbraio o gli adulti del 26 febbraio) si è creata una briciola di interesse verso qualcosa, qualsiasi cosa, ecco che allora la dittatura dell'assenza ha incassato un piccolo "colpetto" alle sue fondamenta.

mercoledì 3 marzo 2010

Ci sono anche altre possibilità!

E' notizia di questi giorni la sparizione dalle reti RAI dei tipici talk show serali, i vari Ballarò, A porta a porta , Annozero ecc., ecc., in relazione alla vicinanza delle elezioni regionali. Decisione governativa, credo. Io ricordo quando da piccolo si facevano queste lunghissime sedute davanti Tribuna politica. Esiste ancora Tribuna politica? E nessuno si preoccupava di par condicio, che un nome apparisse più di un altro, ecc.. Il problema era che la televisone sembrava allora avere un ruolo diverso, ovvero quello di fare informazione, e quindi anche se qualcuno pagava un pò di più o un pò di meno e qualcun'altro conosceva il direttore RAI e un'altro no, infondo risultava difficile percepire la cosa come un soppruso di qualcuno a scapito del diritto di qualcun'altro, emergendo sempre la parvenza che questa gente fosse lì per raccontarci delle cose con onestà morale e buonsenso. Naturalmente era fiction, ma eravamo meno condizionati da quei pensieri dietroloigici che (purtroppo a ragione) oggi ci animano in ogni occasione. Oggi no, la televisione non informa più , produce show, sempre e comunque, i quali perlopiù non servono a niente. Si chiacchiera insomma, si ironizza, ci sia manda a quel paese, si fanno gli interessi dell'uno e dell'altro. Ma della gente in fondo non importa niente a nessuno. Che tristezza.
Insomma, ieri sera a casa di amici, si pratica lo zapping (ed è tutto dire sul bel modo di passare le serate): su Rai Tre è sparito Ballarò e con non poca ironia e con molta consapevolezza, credo, mandano in onda in sostituzione Dittatura, documentario storico della serie La Grande Storia, con i filmati dell'Istituto Luce, incentrato sull'ascesa del fascismo, sino alla sua caduta. Aldilà dell'interessante proposta, che da un punto di vista culturale è apparsa migliore delle solite stupidate che ci propinano (vedi le fiction e gli spettacoli quali reality e simili), mi è venuto in mente come in Italia (ma credo non sia meglio all'estero), siamo arrivati al punto dove chiunque abbia un ruolo pubblico (in tal caso la televisione, in un altro i politici, ecc.) sembra se ne stia veramente sbattendo delle persone. Sui giornali, nei TG, dominano i ricorsi, la Polverini e le sue liste, Formigoni e le sue liste, gli scontri all'interno del partito di maggioranza, le frasi "illuminate" dei parlamentari di maggioranza, pronti alla cieca autoreferenzialità, l'"intelligenza" del partito di opposizione che invece che cercare uno scontro politico democratico autentico gode del fatto che in Italia ci siano dei politici buzzurri come quelli che le liste non le hanno presentate. Dittatura dell'assenza. Dittatura del vuoto: chissà se tra cinquant'anni qualcuno si siederà in poltrona e, conformemente alla tecnologia diponibile nel futuro, potrà godersi un documentario storico su questi anni fatti di nulla. La frustrazione sta nel non potere fare nulla, perchè la televisone stessa ci ha cambiati e resi inutili, apatici, tristemente soli con i nostri piccoli problemi. E' la condizone nostra e dei nostri stessi politici. E intorno a noi, tutti stanno male, tutti vivono peggio, la peggior vita possibile, quella di chi aspetta, non fa nulla e aspetta, invidia e aspetta, invidia delle perfette nullità e aspetta: una vita buttata via, nella convinzione che dall'altra parte ci sia realmente qualcuno a cui possa veramente importare qualcosa di venirti a salvare.
E sono pure ottimista!
(nella foto: resti archeologici ad Aquileia)