venerdì 25 aprile 2014

Parlo, quindi sono!

Un periodo di assenza da queste pagine mi porta ora ad avere molti argomenti di discussione da approfondire. Ho affrontato tra febbraio e aprile una lunga esperienza di confronto e incontro con i bambini e i ragazzi di alcune classi della scuola primaria e secondaria inferiore (elementari e medie, in parole povere). E' stata questa molto utile per mettere a punto alcune convinzioni, che hanno trovato riscontro anche nel confronto con gli adulti, durante le iniziative promosse negli ultimi mesi grazie all'Associazione culturale ETRA di Monfalcone (www.culturaeticaetra.com). Parto dal consigliare un testo, pubblicato da poco in Italia da Bollati Boringhieri, L'istinto di narrare di Jonathan Gottshall. E' il suo un ragionamento approfondito sul significato che la narrazione ha per l'uomo, sia adulto che bambino. Per l'adulto è una 'buona pratica', che permette di garantire a ciascuno un equilibrio nel presente: attraverso la finzione si esorcizza la realtà. Per i bambini è uno studio sul reale attraverso il filtro della costruzione immaginata. Le esperienze vissute nelle scuole confermano questi punti di vista e confermano l'assoluto bisogno dei ragazzi (indipendentemente dalla loro età) di ricevere occasioni per raccontare un loro punto di vista. Questo è il punto di partenza della mia riflessione: il bisogno dell'affermare la propria presenza, fisica, creativa, verbale. Non è solo l'evoluzione dei 15 minuti di celebrità alla Andy Warhol, ma anche un'esigenza di protagonismo attivo in ogni situazione, anche quella educativa. Confermo in tal senso l'assoluta ragionevolezza di Michel Serres, quando nel suo libriccino Non è un mondo per vecchi. Perchè i ragazzi rivoluzionano il sapere,  pubblicato anch'esso da Bollati Boringhieri nel 2013, affronta il tema del perché i ragazzi a scuola non riescano più a stare in silenzio. Dice Serres, parlando dell'odierno: "L'intelligenza inventiva si misura rispetto alla distanza dal sapere (...) la nuova autonomia dell'intelletto, a cui corrispondono movimenti corporei senza vincoli e un brusio di voci". E in effetti, ve lo assicuro per esperienza diretta, non passa un secondo in un'aula senza che qualcuno alzi la voce, scambi gesti, pacche sulle spalle, risolini, oppure alzi la mano, per chiedere qualcosa o per avanzare l'esigenza di uscire al bagno o a bere. Serres evidenzia come un ragazzo con un PC davanti e un mouse alla portata di mano, oppure mentre digita sulla tastiera del proprio cellulare o sul video dello smartphone, continui ad esercitare un ruolo attivo, di presenza sulla scena, di guida delle proprie scelte o anche solo delle proprie superflue esigenze. Quando il professore o il maestro si pone in cattedra, ecco quindi che nessuno è più in grado di accettare l'atteggiamento passivo che si richiede allo studente. Passivo fisicamente, e non intellettualmente, ovvio, ma tanto basta perchè quella barriera del silenzio, della partecipazione inattiva venga infranta continuamente. E gli universitari, gli utenti adulti in genere? Uguale. Tu sei lì che parli a loro, sei lì che affronti delle questioni ex cathedra (o al tavolo da lavoro), e loro aspettano di già il momento buono per prendere la parola, l'occasione per un dibattito, oppure aprono lo smartphone o il tablet e digitano qua e là, ascoltando tra le righe. Ascoltare e basta...non basta più! E' uno degli aspetti più interessanti allorché ci si domanda come gli strumenti digitali, telefonici, televisivi abbiamo inciso sulla nostra educazione e sulla nostra società. La televisione ci chiede di essere protagonisti, assumendo ad ideologia il pensiero anni Ottanta di Warhol. E' il lato più subdolo della società dell'apparire. Internet ci propone storie continue, vicende narrative che vanno sovrapponendosi senza sedimentare mai. E, come suggerisce anche Gottshall, infine sono le narrazioni altre (non quelle proprie) a prendere il controllo totale della nostra vicenda umana. La ricerca si trasforma in pettegolezzo, e l'esperienza vissuta in visibilità indiretta. Ecco, ad esempio, il dominio dei selfie, del "me", prima che del "noi". Non narcisismo, ma attivismo impotente. Sono queste considerazioni utili sufficienti a spiegare perché abbia voglia di parlarne quest'oggi? In questa giornata si rammentano i sacrifici di molti per garantire la libertà dai fascismi, anche a beneficio di coloro che forse, anche a ragione, non la desideravano per come poi è avvenuta, oppure, in alcuni casi estremi, non la percepivano come importante per convinzione o tornaconto. La libertà come diritto, che per alcuni si è trasformata in una libertà "problematica". Infatti non mancano mai a contorno di questa giornata, il 25 aprile, i punti di vista che portano a recriminazioni molteplici, specie in questa mia terra, la Venezia Giulia, che ha vissuto vicende storiche difficili da razionalizzare, che hanno condotto ad un secondo dopoguerra infinito, che prosegue ancora oggi.
L'ideologia e l'affronto (parzialmente vissuto) non faticano a trovare posto, purtroppo, dietro ogni affermazione di un diritto, e un uomo con un fucile in mano resta pur sempre uno sbaglio, indipendentemente da come lo si voglia guardare. Ma ogni vicenda va storicizzata, non riletta solo alla luce delle consapevolezze dell'oggi, e vissuta quindi con giusta distanza. Nessuno, credo, possa negare il ruolo che per questa nazione ha avuto in un determinato momento storico l'impegno partigiano, e non dovrebbe essere più un problema cantare Bella Ciao, anche per coloro che da quella vicenda storica sanno cogliere oggi solo alcune recriminazioni. Sarebbe forse un bene, per noi Giuliani tutti, ammettere che, nonostante relegati qui, nell'estremo est italiano, la nostra Storia è una storia italiana. Ma, detto questo, è il tema a trovare spunto nella giornata e non viceversa. E il ragionamento si chiude in brevità, con una affermazione banale e che i più giudicheranno forse scema, ma che come tale mi appartiene comunque: non sia la scatola televisiva e nemmeno quella informatica (computer, smartphone) un'occasione di disimpegno del cervello a favore dell'impegno delle mani. Così che il fucile resti nell'armadio e il pensiero continui a garantire il diritto.
  
(sopra, un banco nelle aule dell'Università IUAV di Venezia; in centro, un volantino del Fronte POPORARE del 1949, visto alla mostra Lelioswing a Trieste, dedicata a Lelio Luttazzi)