martedì 19 giugno 2012

Rifiuti

Non è mai piacevole ricevere un rifiuto. Dello stesso parere sono le strade della mia cittadina. Ogni giorno ricevono chili di rifiuti, molte volte opportunamente differenziati, spesso disseminati a caso. Da quando la giusta raccolta differenziata ci ha portato a dover porre attenzione a quanto abitualmente scartiamo, sono maggiormente portato a "verificare" le cose gettate. Vorrei essere più parco, essere meno "produttivo", fare più ferie nella pratica dello scarto. Invece è un diluvio, un flusso continuo di cose gettate; a volte mi guardo da fuori mentre scelgo, seziono, divido, confeziono, getto, compatto e mi  sembro un pazzo per il lavoro mostruoso che l'operazione mi impone. Quando d'inverno, dopo cena, mi tocca vestirmi, scarpe, berretto e giaccone, e scendere nel vento più assurdo, che la vicinanza triestina ci lascia in eredità, per depositare il sacco della plastica, nel momento stesso in cui lo poso e lo vedo quindi fare dieci metri buoni ,trasportato dal un refolo improvviso, mi interrogo sul ruolo dell'uomo in generale, sul senso delle cose e se anche quel lavoro inutile della raccolta dello scarto venga considerato come atto nobilitante per l'essere terreno. Quante sensazioni si affiancano alla prassi quotidiana del "rifiuto". Prima di tutto mi pare emerga il senso della perdita e per ovvio contrario dell'accumulo. Se effettivamente faccio una disamina della mia vita trascorsa, il legame con la "roba" è indiscutibile: l'accumulo delle cose. Ogni tanto mi guardo attorno e mi scopro sovrastato. Vorrei, in quei momenti, gettare tutto dalla finestra, liberarmene; sento il bisogno del vuoto, della pulizia attorno a me! Dura pochissimo, riscopro subito il senso della perdita che proverei nel non avere più le mie cose, quelle inutili specialmente; ogni cosa un ricordo, magari poco piacevole, quindi monito. Ma ogni piccolo oggetto è una coperta calda, e quindi magari lo sposto di poco, lo ordino secondo sequenze soggettive e difficilmente comunicabili. Mi crogiolo nella pienezza. E subito dopo l'ansia si accentua di nuovo, finché, in momenti precisi, che definirei cambi radicali nell'esistenza, mi rendo conto che certe cose non mi appartengono più, che senza è realmente meglio. Riempio allora buste su buste e me ne libero. La maggior parte di questi rifiuti, per inclinazione, sono cartacei: appunti, locandine, pieghevoli pubblicitari per qualche manifestazione, poster, riviste importantissime e ora inutili, costose e ora ingiustificate. Insomma pacchi e pacchi improvvisi di scarti dei miei ricordi di cui mi libero, per acquistare ancora un piccolo spazio nel cervello, per accumulare nuove sorprese e emozioni che le vicende future sapranno regalarmi. Tengo e accumulo, getto e perdo, faccio spazio! Non credo che sia così per tutti. Per i più il rifiuto è qualcosa da lasciare in giro, per strada spesso, buttarlo proprio lì nell'aiuola o nel vaso da fiori del mio condominio; sotto casa ho trovato in questi ultimi anni: materassi, assi da stiro, bottiglie di birra, messe in fila o a formare corone, valigie, batterie d'auto, taniche di benzina (vuote, accidenti!), scarti degli imballi di gelati, sacchetti di ogni tipo e misura, mozziconi a pacchi (ieri ho visto il gestore di un bar del centro, uscire dal locale con dei posacenere in mano, accostarsi alla strada tarfficata e versarne il contenuto sull'asfalto, con il cestino a due passi. Che coglione!). Sì, la gente è anche incivile, ironica a volte (vedi la foto di testa), e non ama lo spazio che vive, o forse lo ama troppo, ma male, e sinceramente non capisco il perchè. La gente trasferisce spesso in un gesto un grande vuoto interno; ruota un posacenere, così come svuota quello che porta di se stessa dentro il proprio animo. Non sa trattenere niente, nell'inutilità che prova nel cogliere la percezione del vuoto che ha al suo interno. 
Stamani sopra i bidoni del vetro ho trovato una tigre, una grande tigre di peluche, con il capo riverso sul fianco; triste, amareggiata, che quasi mi è venuta voglia di prenderla. Non sarei stato perdonato per questo, ma ora rifletto su come si possa liberarsi di un oggetto così.
Chi ha dovuto farlo credo ne stia già sentendo la mancanza, perché l'ironia non è sufficiente a spiegare quell'istante in cui l'essere umano non ha avuto la forza per prendere l'oggetto e affossarlo nel buio di un cassonetto. Calvin ha perso il suo Hobbes. Un ragazzino è diventato suo malgrado adulto. Speriamo ciò sia un bene!

   copyright Bill Watterson

mercoledì 13 giugno 2012

Bruce in Triesteland

11 giugno 2012, ore 21.20 circa, Bruce Springsteen è a Trieste con un concerto imperfetto. Ma se questo è un concerto imperfetto (l'audio non è certo buono, non sempre almeno, e Bruce è visibilmente stanco per il concerto di Firenze della sera precedente) è ancora più utile per capire cos'è Springsteen per i suoi fans. Perché i fans lo seguono, lo stimano, perché? Perché li rispetta per la loro passione e quando può (nei concerti specialmente) li ricambia. A Trieste è stato tutto molto bello, ma le mie emozioni sono saltate su Downbound train (su tutte), The River e Thunder Road. Perché? E che ne so! Il resto era bello uguale. Insomma, un concerto iniziato con Mandi Trieste!, un modo inconsapevole per cancellare con due parole annosi campanilismi da Bar Sport, e finito con le persone uscite dallo stadio che parlavano tra loro dei concerti di Milano, di Firenze, di quello appena visto, e pareva, Trieste, una città alquanto diversa, finalmente nuovamente invasa, e questa volta, per la prima volta nella sua storia, utilmente.
Non vi piace Bruce Springsteen? Pazienza.

giovedì 7 giugno 2012

Strade

Esce in questi giorni in libreria un volume dedicato a Bruce Springsteen. Lo ha scritto Daniele Benvenuti di Monfalcone, la mia città. Il volume si intitola "All the way home - Bruce Springsteen in the Italian Land 1985-2012", Luglio Editore, Trieste. Il libro racconta di fatto una passione. Il sottoscritto è molto attratto dalle passioni forti, non come ragione di vita, ma come filo conduttore per ricerche molteplici. Il libro racconta tutti i concerti di Springsteen in Italia dal primo del 1985 (il famoso concerto di Milano durante il tour di "Born in the USA") ad oggi, e li racconta con la capacità di chi fa il giornalista, spesso anche musicale, di mestiere,  ovvero con il piglio del fan-collezionista (in questo caso di dischi, memorabilia e concerti springsteeniani: il nostro ne ha visti 120 o forse più, in giro per l'Europa e anche in America) e la professionalità di chi segue il mondo musicale anche per mestiere. Vari gli spunti, oltre la disamina dei concerti, e  molteplici i punti di vista con cui il mondo di Springsteen viene verificato, tecnicamente e sociologicamente. Ne viene fuori, infine, uno dei volumi più singolari e più interessanti scritti sul cantautore americano.
Io e Daniele abbiamo cominciato ad ascoltare musica insieme. Abbiamo passato 5 anni seduti uno affianco all'altro al Liceo Scientifico di Monfalcone. Lui, grazie anche, credo, all'influenza di qualche suo cugino più grande, iniziò a frequentare da prima i dischi della P.F.M. (tutti i pezzi di "Suonare suonare" divennero una specie di mantra continuo da cantare a ricreazione o ovunque ci si trovasse), mentre covava la sua passione altra, per la U.S. Triestina Calcio, a quei tempi trascinata da Totò de Falco, Costantini, Ascagni; poi virò sul rock di matrice americana, e io indirettamente con lui. Fu lui a farmi ascoltare per la prima volta "Born to Run", con quella "Jungleland" che adoravo; fu lui ancora a regalarmi "Running on Empty "di Jackson Browne, amore per me immenso, partenza per tutta la musica anni '70 americana. Poi uscì "Born in the U.S.A." e Springsteen non fu più lo stesso Springsteen. Lui andò al concerto dell'85, io no. Ascoltavo quel giorno, il 21 giugno 1985, i telegiornale e i radiogiornale parlarne per quell'evento che è stato, consapevole di aver perduto qualcosa. Nel 1986 si partì invece insieme, come inviati di Radio Città Futura, storica emittente monfalconese, per rendicontare del concerto di Van Morrison (quello di "Gloria", G.L.O.R.I.A.) al Rolling Stone di Milano. Fu entusiasmante anche se per me il G.L.O.R.I.A. cantato dall'irlandese era un semplice Na, na, na....., ma fu un inizio. Ci si schierava infine, chi sceglieva il rossetto maldato e il nero di Robert Smith di The Cure e il dark in genere, chi i jeans sporchi di olio di motore della copertina sprinsteeniana, chi il cantautorato di Fabrizio De André, di Gaber, di Guccini. Scelsi il secondo e infine il terzo (grazie a Luca, a Oscar). Con Daniele si ascoltò per la prima volta The Clash a casa di amici, la Tommy Gun di "Give 'Em Enough Rope". Non la si capì allora sino in fondo. Poi il Liceo finì, lui e altri seguirono la strada del giornalismo, da prima locale, ma in fondo non ci si è mai persi di vista. Ultimamente si è parlato varie volte di questo volume mentre andava scrivendosi, finalmente esce. Lunedì 04 giugno ero a Trieste a Palazzo Gopcevich a godermi la presentazione del volume, con tanto di sindaco di Trieste springsteeniano anch'egli, seduto lì accanto. In sala non c'ero solo io, ma moltissimi appassionati, anche Luca, anche altri amici di quei anni '80 perduti. Mi sono un pò anche commosso e al contempo entusiasmato. Un percorso si chiudeva idealmente, non per Daniele, la cui strada è ampia, ma per me, per la mia giovinezza in fondo sì. Ho visto passioni che si sono trasformate, sono cresciute, hanno vinto, alla lunga. Ho visto vite trasformarsi, cambiare, amicizie perdersi e ritrovarsi e cambiare. Ho compreso che certe cose si trasformano di continuo, divenendo tutto quello che vogliono essere, in autonomia apparentemente, anche se la strada, lunga, si chiama sacrificio. Per festeggiare, lunedì 11 giugno, Bruce Springsteen sarà a Trieste per il suo nuovo tour, a Trieste, non a Milano, Roma, Londra, ecc. ecc., ma a Trieste, anche questo segnale dei tempi che cambiano, probabilmente del mercato del disco che cambia, della necessità del tour promozionale per ogni artista. Ma lunedì si andrà a Trieste, si costruirà un altro ricordo, consapevoli che lo stadio, invisibili tra la gente, conterrà tutti gli amici ricordati e molti di nuovi e di insospettati. Lo vedo come un brindisi, questo concerto, un brindisi a noi e alla nostra piccola storia. Una storiella, se volete. Come volevasi dimostrare: "All the way home", "Tutte le strade portano a casa".