domenica 26 gennaio 2014

Nascosti dietro le pagine

Parlare dell'odierno è a volte imbarazzante. E' mia profonda convinzione che ogni nostra consapevolezza non possa che trovare fondamento nella propria storia, nel prorpio "ieri". Ma è bene stare attenti a non fare confusione tra le cose. Vi sono percorsi positivi e propositivi, che a partire dalle esperienze conferiscono significato ad ogni gesto; all'opposto vi è una certa immaturità nell'evocare sempre il passato come strumento alternatvo alla progettualità del nuovo. Se fate attenzione, non vi è programma televisivo trasmesso dalle reti in chiaro che non si strutturi su di un approccio nostalgico alla realtà. Si pone dinanzi al telespettatore sempre e inesorabilmente una concatenazione di occasioni per ripensare al passato. Oggi che gli anni Sessanta, Settanta e perché no anche Ottanta e Novanta appaiono sufficientemente "lontani" da poter essere valutati con giusta distanza storica, ecco che ciascuno è messo in grado di ripercorrere con immagini e parole la propria storia attraverso continue riletture di ciò che è stato. Un bagno continuo di nostalgia, offerto dalla TV pubblica e privata, fatto di documentari, selezioni di archivio, ecc.. Anche la pubblicità "di una volta" era migliore! E lo stesso tono accompagna le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali, le trasmissioni radiofoniche, anche nelle selezioni musicali. Veniamo sepolti di biografie, revisionismi, dove ogni frase già detta assume ruolo dinanzi alla pochezza dell'odierno. Eppure, oggi, gli strumenti per fare dei ragionamenti consapevoli sono molti. La rete virtuale, internet, l'informazione onnipresente, la facilità nei contatti dovrebbero garantire accessi plurimi, anche se non troppo qualificati, possibilità per approcci critici evoluti. Sorprendentemente il bombardamento informativo continuo ci limita invece che stimolare. Il rifugio nel passato, quando l'odierno non è come vorremmo, è un bagno caldo rilassante. E' un nascondiglio mentale. L'estasi contemplativa del come eravamo bravi e belli (e di come le menti pensanti scomparse sapessero risultare in altri contesti determinanti nella scrittura dei tempi che furono) non diventi una scusa per nascondere le mani. E i pensieri. Domani è il 27 gennaio, il Giorno della Memoria. Che non diventi dunque questa occasione, nel suo opportuno ripetersi, una scusa rispetto il doveroso perpetuarsi dell'azione etica; e che nell'analisi infinita, e il ricordo, non si stemperino tutte le energie di una società purtroppo inaspettatamente immatura. 

mercoledì 1 gennaio 2014

Cartine di tornasole

Mi sono volutamente tenuto da parte per questo inizio 2014, il richiamo ad un libro complesso, e tremendo, e ad un film che fa il paio con quello. 
Il film (comincio da questo) è La vita di Adele diretto da Abdellatif Kechiche e ispirato, ma pensa un pò, al fumetto di Julie Maroh, Il blu è un colore caldo, edito da Rizzoli Lizard. Ho conosciuto Julie Maroh a Lucca e le ho anche scattato alcune foto (vedi sotto), prima di scambiarci poi alcuni commenti al libro grazie alla traduzione di un amico. Le ho detto che il fumetto non mi era piaciuto molto, ma che era perfetto quale soggetto per il film. Lei ne è rimasta sorpresa, ma mi ha ringraziato per la franchezza, per poi rispondermi che a lei non era piaciuto molto il film.
Il film è invece a mio parere straordinario, tanto più dove si discosta dal fumetto (il film perde di spontaneità proprio dove il regista sceglie di voler seguire troppo certe scelte narrative del volume); la protagonista Adele Exarchapoulos è bravissima, tanto che il regista alla fine non può che dedicarle il titolo del film (nel fumetto Adele si chiama Clémentine). La ripresa insistita per primi o primissimi piani non fa perdere nessuna delle mille espressioni che la protagonista sa trasmettere allo spettatore: alla fine la sensazione è di conoscere veramente Adele e Emma e di aver provato (anche noi stremati dalla corsa narrativa) tutta la loro escalation emotiva. La cosa più utile del film, alle cronache per la tematica omosessuale, è però l'antagonismo tra la semplice quotidianità della maestra d'asilo (Adele) e la supremazia intellettuale rivendicata dall'artista e dal suo mondo (Emma). 
Il libro invece è Il Nao di Brown di Glyn Dillon (Bao Publishing, 2013). Dentro duecento pagine a fumetti sta nascosto un mondo intero. Troppe le cose da dire, tra queste la centralità nella trama di una malattia psichiatrica, il disturbo ossessivo compulsivo, e della pratica e del pensiero buddista. Disegni interessanti, ben colorati, a mano e in digitale, una narrazione disturbante per trama e per scelte linguistiche. Ad uno dei personaggi principali, Gregory, l'autore mette in bocca una frase di Hermann Hesse, a commento della difficoltà della protagonista di raccontare la trama di un anime giapponese: "Le parole non colgono il significato segreto, tutto appare un pò diverso quando lo si esprime, un pò falsato, un pò sciocco...che ciò che è tesoro e saggezza d'un uomo suoni sempre un pò sciocco alle orecchie degli altri". E' tratta da Siddharta, ma a me ora piaceva veramente iniziare il 2014 con questa consapevolezza, che evidenzia l'opportunità di una certa umiltà della Retorica e della necessità di una ulteriore umiltà dell'ascolto.