martedì 29 maggio 2012

Essere o non essere

Il dilemma dell'Amleto shakespeariano non è a volte solo una argomentazione intellettuale, una tortura interiore che spinge a valutazioni anche estreme. No! A volte essere o non essere è semplicemente un dato di fatto. Indipedentemente da noi. Chi in questi giorni sta vivendo l'angoscia esistenziale del tutto esteriore del terremoto in Emilia, vive questo dilemma come un'affermazione di dubbio e non una domanda interrogativa. Il D.M. 14 gennaio 2008, che ha esteso a tutto il territorio nazionale l'obbligo di considerazioni costruttive antisismiche, impone alla luce di questi giorni di scosse, paura, sfollati e morti, una riflessione su come i dati storici che hanno prodotto le mappe sismiche nazionali in uso a volte possano risultare carenti e di come l'attenzione preventiva antisismica non sia solo una esagerazione del legislatore, ma un dato da verificare puntualmente. Lo Stato, che paga economicamente in solido (leggi nuovo debito pubblico) situazioni come quelle di queste ore, deve investire continuamente (creando lavoro attorno a questi investimenti), affinché queste situazioni possano essere non previste (cosa impossibile), ma prevenute. Lo Stato Italiano non ama la parola prevenzione, e ciò è un dato di fatto, testimoniato dalla Nostra Storia. Non vi è nessun accenno polemico in ciò, è una semplice constatazione di metodo, perché in questi frangenti affrangono più le vittime, umane in primis, storico culturali in senso generico. Da professionista attento al patrimonio storico culturale italiano mi sento di dire che quanto in questi giorni si è andato perdendo mette a disagio. Ciò che si è perso si è perso. Si potrà ricostruire, "ripristinare", praticare il "dov'era e com'era", ma saranno altre cose. Ciò che si è perso si è perso. L'uomo prima di tutto, ma per seconda la comunità, la storia collettiva su cui quella si fonda, i segni, le testimonianze che garantiscano il senso di collettività come tale. Resta infine il solito disagio per il mondo mediatico che accompagna come fossero telecronache sportive questi eventi: le dirette, le inchieste, il "processo al terremoto". I media mi fanno veramente schifo. Tutti. Perché sono incapaci di fare informazione pubblica, utile e concreta. Le parole più significative sono state quelle di un intervistato che dinanzi alle macerie delle proprie stalle dice (vado a memoria senza pretesa di fedeltà puntuale): "Si resta atterriti da questi fatti! Quando succede agli altri, si guardano le cose per televisione, poi la si spegne e si torna alle proprie vicende di tutti i giorni. Ma, quando succede a te, non puoi spegnere niente, il dramma è perenne!". In bocca al lupo a voi tutti emiliani terremotati! Non capisco nemmeno un briciolo del vostro dramma, guardando le vostre lacrime nello schermo televisivo. Non capisco nulla, scusate! Scusate se le mie sono lacrime di coccodrillo!

sabato 19 maggio 2012

Sul pezzo

"Non sai che fuori ci sarà tra pochi minuti il sole. E' tutto ovattato nella tua stanza. Sei sveglia come si può essere svegli con aperto un occhio soltanto, ed è colpa del rumore delle tazzine che si scontrano in cucina, mentre qualcuno, che poi è sempre quel qualcuno, sta preparando la colazione. Ancora un pò di torpore, di questo piacevole assaporare la coperta, che in queste giornate che non sanno ancora d'estate fa piacere sentire calda sulla pelle fresca. Del mondo vedi solamente il chiarore che penetra dalla fessura della porta, che poi improvvisa quasi a richiamo si apre. Stringi le palpebre con forza, perché, dopo tanto buio, la luce di maggio ti appare invadente. La voce amica che ti aspettavi di sentire ti sollecita ad alzarti. Tu ti costringi a letto ancora un pò, quasi per abitudine, avendo in realtà il desiderio di saltare fuori dalle lenzuola e iniziare una nuova giornata. Pochi secondi e poi assecondi l'istinto. Sei rapida e i gesti meccanici, studiati alla perfezione perchè ogni spostamento sia ridotto al minimo: pantofole, bagno, pipì, rubinetto, acqua fresca, troppo fresca, ascelle, asciugamano, corse, vestiti, già pronti, già studiati, li indossi, perfetta. Ancora bagno, ti pettini, solo dopo la colazione, ti trucchi, ecco ora la colazione. Il caffelatte è tiepido, giusto giusto come ti piace; ci butti dentro dei biscotti, e poi apri lo yogurt; prima i biscotti con il cucchiaio, poi il liquido, e quindi lo yogurt, ai cereali. Blearch! Era meglio la fragola. E' tardi, dice la voce. Ancora bagno, ancora pettine, ancora trucco, poco poco sulle ciglia. Lo zaino già pronto al volo sulle spalle, mentre la voce dice, e allora! ci sei ?. Sì ci sono. Stai già correndo fuori, mentre senti la carezza delle labbra da cui veniva quella voce sulla nuca. Non ho tempo, mamma, vado. E sei fuori. La corriera è già lì, non ti aspetta, ma sai che non partirà prima di qualche minuto. Hai messo le lancette dell'orologino rosa che porti al polso di qualche minuto avanti proprio per questo. Sali, c'è ancora posto, che fortuna. La corriera parte e raccoglie per strada figure che conosci, con alcune di queste parli anche, del tempo, del mare che ti aspetterà tra qualche settimana, del messaggino di lui che ieri sera voleva farti sapere di esserci. Sono così belli quei trenta minuti in corriera quando non hai un'interrogazione o un tema ad aspettarti, e oggi è un giorno di questi. Sono un attimo quei trenta minuti e, ma tu non lo sai ancora, anche importanti, i migliori che potrai mai avere. La fermata ti viene incontro, le porte si aprono e la tua giovinezza travolge assieme a quella della compagna che tieni per mano l'intero marciapiede. Sorrisi, risolini, vedi laggiù la scuola, l'ingresso ormai vicino. Hai fretta di raggiungerlo e lo dici alla tua amica, perchè speri ci sia lì, oltre il cancello, anche lui ad aspettarti, a guardarti e chiedersi perché a quel messaggino non hai risposto, Il marciapiede dinanzi alla scuola non è ancora pieno, lo sarà tra poco; forse lui non ci sarà ancora e forse sarebbe meglio andare ai servizi e controllare ancora il trucco, e forse potrei anche accendermi una sigaretta, che qui ormai lo sanno in molti che lo sai fare, e forse la maglietta ti pare potrebbe stare meglio fuori dai jeans...e poi è un dolore strano, improvviso. Il sole non è poi così chiaro come credevi e l'ingresso non sta più davanti, ma alla tua destra, là in alto, e ora senti anche un sacco freddo e un ronzio forte e poi ancora più forte alle orecchie. Che scema, pensi, credevo di essere a scuola e invece non mi sono ancora alzata dal letto, altrimenti perché tanto buio; e questa è l'ultima cosa su cui rifletti. Poi non sai nemmeno tu. Quando arriva la voce a chiamarmi? A dirmi, su dai Melissa mia, alzati!"

Non so chi possa aver messo un corpo esplodente, oggi, a Brindisi, fuori da una scuola poco prima delle otto del mattino, quando le speranze e le aspettative sono così tante, che non riesci nemmeno a supporre che quel mattino potrebbe non conoscere la sua sera. Non so chi, ma di certo i suoi sogni, da oggi, si chiameranno incubi, perchè non posso neanche immaginare che quel qualcuno possa aver voluto realmente quella morte, quelle ferite. Nel caso la risposta risultiasse poi affermativa, mi chiedo: ma quanto stronzo può essere un essere umano!

Mi atterrisce il fatto grave, socialmente e civilmente preoccupante, e le ripercussioni sulla vita di noi tutti che esso potrà avere; ma il pensiero di quella ragazzina, di quei suoi minuti prima, del durante e del subito dopo, mi fa stare veramente troppo male.

giovedì 10 maggio 2012

Tenacia e incapacità

Devo essere sincero. Di queste settimane, come poche altre volte, mi pare ci sia poco da scrivere. In realtà da commentare ce ne sarebbe: succede di tutto. I risultati delle elezioni, la crisi e i suicidi continui, quasi ci fosse nell'aria improvviso qualche virus che li determini, a catena; la disoccupazione, le questioni sindacali, l'antipolitica (che poi questo termine mi pare realmente improprio, in quanto attorno alla politica forse non c'è mai stato tanto interesse come adesso, al sentimento politico intendo, alla riscoperta di esso; diremo quindi forse "antipartitica"), l'Egitto, la Russia, la Francia e la Germania, la Siria e così via. E così via. Ma questi temi non sono e non stanno in questo blog. Resta l'idea che quasi tutto stia deflagrando nel calderone del qualunquismo. Ogni cosa appiattisce una seconda e a finire il secchio resta sempre vuoto. Mi pare stia tutto nell'uso delle parole, nell'incapacità di chiamare le cose con i termini giusti: indifferenza è indifferenza e questi tempi sono tempi, non acritici, non poveri, non insignificanti, ecc.; sono invece tempi dove regna l'indifferenza. Tutto ha valore, tutto ha un valore e al contempo ogni cosa ne risulta ormai privo. Siamo un popolo stanco, annoiato per troppe possibilità, aspettative e consapevolezza. E la colpa primaria sta forse nell'abuso della parola. Un continuo commento al commento, che commenta il commento. Si parte da A e non si arriva mai. Nel percorso tutto si annulla, ogni significato, ogni qualità...è l'onda di Palomar nel racconto di Italo Calvino...è l'onda che non puoi distinguere dal complesso che la definisce come tale...un'onda intangilbie, non separabile se non attraverso strategie e scelte... e come Palomar si finisce in questa ricerca per perdere la pazienza e, "coi nervi tesi", come si è arrivati alla spiaggia ci si allontana rapidamente da essa, infine più insicuri di tutto. Da questa insicurezza, che nasce da una strategia ben precisa messa in atto dalla stessa società che abbiamo contribuito a dequalificare e che pochi hanno interesse a sostenere per rendere spenti i più, trova spazio l'indifferenza: non si è mai sciocchi, lo si diventa, e spesso involontariamente, chi per troppa ricerca e chi per il gusto di alzare le spalle.
Italo Calvino ha scritto, genialmente, Palomar per Einaudi nel 1983, mentre io oggi, umilmente, di questo mio oggi, non riesco a scrivere compiutamente.