martedì 24 maggio 2011

Bob Dylan

Il 24 maggio 1941 nasceva a Duluth, Minnesota, Robert Allen Zimmerman, per tutti semplicemente Bob Dylan. Oggi Dylan compie 70 anni e io, che ho imparato ad apprezzarlo negli anni, sino a divenirne un fan, mentre anche i miei di anni, assieme ai suoi, incrementavano prima a 20, poi a 30, e quindi a 40, volevo oggi ricordarlo in queste pagine con una strofa di quella sua canzone che adoro, Ballad Of A Thin Man, scritta nel 1965 e ispirata non si sa bene a chi. Molti hanno individuato tra quelle righe un giornalista e quindi uso strumentalmente questi versi per ricordare, in questi giorni mediaticamente assurdi, alcuni dei giornalisti di oggi, dell'inutilità di quelli, allorché sono asserviti al potere, allorché si beano del parlare di cose in cui spesso non credono, senza uno spessore critico vero, senza alcun valore etico.

Because something is happening here
But you don’t know what it is
Do you, Mister Jones?

lunedì 23 maggio 2011

Dario Fo

Domenica 22 maggio ho avuto la fortuna di assistere all'incontro teatrale (non troverei termine migliore) che Dario Fo ha tenuto a Gorizia a chiusura del programma di e'Storia (Festival Internazionale della Storia). E' stato un incontro magnifico, per la grandezza dell'attore e dell'uomo. L'uomo Fo ha trasmesso, a fronte di posizioni che inevitabilmente possono apparire come estremiste ad alcuni, ma che tradotte nel linguaggio dell'allegoria del quotidiano riescono a farsi accettare con benevolenza, un messaggio etico e di speranza, che mi ha veramente commosso. Mi ha colpito come ha parlato dei giovani, del loro compito, della loro esigenza di comunicare, di trovare forme di espressione. Massimo Cirri, noto conduttore radiofonico, ha perso di fronte a Fo il suo ruolo di moderatore. Fo ha fatto tutto da solo: dopo un intervento bellissimo sul significato di "pace" espresso da Chiara Frugoni, ha rappresentato due sue messinscene, la prima sulla predominanza dell'uomo di cultura rispetto quella dell'eroe, raffrontando Atene e Sparta, l'una restata nella memoria della storia per il suo lascito artistico, l'altra persa nell'oblio del tempo nella sua costante ricerca dello scontro; la seconda nel racconto de "Il tumulto di Bologna" (dal "Fabulazzo osceno"). Poi ha chiamato i giovani sul palco e ha portato la sua riflessione che vi dicevo; infine ha chiesto a tutti di riflettere su quanto era stato sino a quell'istante espresso e quindi terminare lì. Quella conclusione, così poco scontata, così inadatta al momento, mi è sembrato un lascito da portar caro, che ha testimoniato la levatura di un premio Nobel. Nè gli organizzatori, nè Cirri hanno voluto proferire parola ulteriore. Il pubblico è esploso in una vera ovazione. Prima dell'inizio dell'incontro, Dario Fo, nell'aspettare che un altro ospite del festival completasse il proprio spazio, gironzola, con le sue gambe ormai fatte deboli dall'età (85 anni) nel giardino che ospita la rassegna goriziana. Seguito da lontano dalla gente che lo aspetta e lo riconosce, avvicinato da alcuni, si siede infine su di una panchina. E' su quella panchina che riesco a scambiare alcune battute con l'attore, sulle elezioni di questi giorni a Milano, a chiedergli un autografo. Lui è gentile a voler concedersi per una foto comune. Non avevo ancora assitito in quel momento all'incontro che seguirà, l'attore non mi aveva ancora divertito e l'uomo non mi aveva ancora fatto pensare. Nel rivedere a posteriori la foto che mi ritrae con lui, comprendo che resterà, a fronte di quanto ho visto e ascoltato, un ricordo importante. Mi sembra di capire meglio quella frase di Jorge Luis Borges quando nel riconoscere all'"individuo" una priorità tra le cose tangibili e intelleggibili, ricorda: "Sì, un individuo è più o meno reale, benché tutto questo sia ancora da verificare, ma in ogni caso è più reale delle generazioni, più reale delle nazioni, più reale di tutti gli "ismi"". E' per me questa una lezione etica superiore, con la quale filtrare il presente, le sue intolleranze e le sue idiosincrasie.

domenica 15 maggio 2011

Carte di identità

Giornata elettorale. Credo di voler votare e voterò per colui/colei a cui non ho sentito o non sentirò pronunciare nei propri "annunci" elettorali la parola "identità". Il "mantra" a cui sono stato costretto (e temo che lo sarò ancora per un pò, considerati i possibili ballottaggi) dice, più o meno: "Bisogna ritrovare l'identità perduta", oppure "Il cittadino è consapevole di aver perduto la propria identità". Non trovo molti documenti di identità sparsi nelle strade delle città che vado visitando o frequentando abitualmente. Riscontro situazioni edificanti, altre difficili da interpretare (diciamo ancora una volta "complesse", non nel senso di "problematiche", ma di sedimentate, ricche di giustapposizioni o sovrapposizioni), ma casi espliciti di carenza di identità, no! Anzi, al contrario, direi. Riscontro degli eccessi di radicamento, invece.

Ho sentito dire a qualcuno che l'affiancamento ad un marciapiede di una pista ciclabile può determinare una perdita di identità urbana; la perdita di una riconoscibilità morfologica della città e quindi di un conseguente senso di appartenenza. Mi sono chiesto, nel sentire ciò, immediatamente l'età dell'oratore. Supponiamo che l'identità di un candidato sindaco medio possa andare dai 30 ai 70 anni. Consideriamo poi che un'identità perduta implichi che la stessa ci sia un tempo stata e che un soggetto pensante l'abbia quindi verificata e riconosciuta; riflettiamo, infine, sul fatto che una persona possa maturare una propria coscienza civile (non un'educazione aprioristica, intendo, ma una presa di coscienza) e conseguentemente anche un senso di identità attorno ai 10-15 anni (sono approssimativamente ottimista) e che quindi esso sia andato sedimentandosi tra il 1955 e il 1995. Ovvio, che un sindaco che oggi ha 30 anni faccia riferimento ad una cultura civile e ad una riconoscibilità urbana diversa rispetto a chi ne ha 70. Ci si chiede, quindi: Quali sono i fattori che determinano l'identità in senso oggettivo? Quale identità è andata perduta? Ne esiste una migliore all'altra? Bho! E poi è possibile definire tutto ciò in maniera analitica? Bho!

Io credo che ciascun candidato abbia il dovere di esprimere una propria visione della città, di creare egli per primo degli indirizzi di processualità urbana ("sviluppo" è una parola che mi sta stretta, esattamente come "progresso") e quindi "civile", "sociale". Io credo che ognuno, desiderandolo, possa radicare dei sentimenti in un luogo, determinando un'identità nuova, o accrescendo il senso di una identità già presente dentro di sé, o dentro una collettività che potrebbe quindi ben rappresentare. E poi ci sono i valori, soggettivi, oggettivi, in cui ognuno crede o che insegnare o alimentare è necessariamente un dovere. Sono i valori etici, culturali, ecc.. E' un'identità nuova in cui un ragazzo potrebbe, crescendo, riconoscersi e che finirà per fare forse propria. La terrà come un dono, voltandosi un giorno, da adulto, e dicendo: "Dov'è andata?" E allora, forse, con maggiore consapevolezza di quanta ne abbiamo noi, dirà tra sé, alzando le spalle: "Bhé, avanti il prossimo! Sul marciapiede c'è ancora posto!" Potrebbe essere una strada meno animata da individualismi (anche quando nuove false "crociate" saranno annunciate in nome della collettività) e più propensa alla tolleranza.

E' una visione ottimistica, lo so, che alcuni non si sentiranno forse di condividere. E' però la solita storia del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Un signore, all'università, mi ha suggerito: Diffida della storia del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno! In natura il bicchiere esiste sempre e soltanto vuoto: quando ci vedi dentro qualcosa, allora vuol dire che è, oggettivamente, mezzo pieno!

Buon voto a tutti.