lunedì 31 dicembre 2018

Fine anno che trovi e nuovo anno che lasci


Che l'ultimo giorno dell'anno sia un momento di riflessione nostalgica, di dura volontà di superamento e anche, certo, di rinnovata speranza è innegabile. C'è tra le righe anche un pò di timore, per come potrebbe evolvere tutto quello che abbiamo attorno nel prossimo anno che sarà. Rescriminazioni, scarsa disponibilità alla tolleranza, e quello che Loredana Lipperini, nel suo saggio per l'ottimo catalogo che accompagna la mostra dedicata dal Maxxi di Roma a Zerocalcare, definisce "il populismo del rancore quotidiano" (frase dello stesso Zerocalcare). Quell'"intrecciarsi schizofrenico fra l'emergere di una cultura integrata su scala planetaria, che chiederebbe un governo sovranazionale, mondiale dei processi - sempre la Lipperini - e lo scatenarsi anche sanguinoso dei particolarismi, dei localismi, dei tribalismi, con l'immancabile e triste codazzo delle xenofobie e delle infamie antisemite. In questo quadro si comprende che è la stessa nozione di 'futuro', una nozione chiave della modernità, sulla quale si basava in larghissima misura la fantascienza, a dissolversi". Ecco che giustamente Lipperini cita lo stesso Zerocalcare, da una sua storia, nel commentare lo slogan punk del 'No Future': "...Mi sono fidato quando ci hanno detto che ci avevano rubato il futuro. E invece il futuro è arrivato". Ecco, il futuro arriva sempre, ma che poi sia un bene non è detto, almeno sino all'ultimo. Guardo quindi un po' ai mesi passati e cito a caso, dal mucchio delle cose possibili, quelle che mi sono parse interessanti e meritevoli, sempre ovviamente con l'occhio rivolto alle mie passioni. Nel farlo va subito fatta una premessa: le "cose" sono sempre di più e spesso la qualità è molto alta sul piano tecnico e professionale, ma proprio per tale motivo sono questi ultimi gli aspetti che appaiono meno interessanti da affrontare. Meglio guardare ai temi dietro la superficie, ai contenuti che appaiono coerenti con una visione, che i tempi ci costringono a voler pretendere essere etici.
In queste pagine ho già ricordato con lode il Jonas Fink finale della trilogia di Vittorio Gardino, e anche il Romanzo esplicito di Fumettibrutti. Vorrei ora citare il lavoro di quella che considero la migliore illustratrice della nuova generazione, proveniente dalle pagine del collettivo Delebile e ormai fissa presenza sulle migliori testate mondiali, ovvero Bianca Bagnarelli. Con un  tratto molto colto, ripreso forse da Cris Ware (Building Stories), forse dal senso profondo del lavoro di Raymond Carver o Alice Munro. In questo fine anno il suo lavoro si può scorgere a commento delle pagine del volumetto Crooner di Kazuo Ishiguro, edito da Einaudi. Fondamentale, e per me miglior Graphic Novel dell'anno, arriva in questa fine 2018 anche Ariston di Sara Colaone e Luca de Santis, edito da Oblomov. "La Storia, un affare di donne", sottolinea Francesco Satta nella postfazione al volume, riprendendo anche una frase di Tina Anselmi: "Una donna che riesce, riesce per tutte le altre". Un splendido viaggio, quello degli autori, nell'importanza della 'scelta' e del "femminile", come auspicabile guida del destino del mondo. Ancora, dalla splendida cura editoriale di Bao Publishing, un bel volume di Elisa Macellari, Papaja Salad. Un'illustratrice si dedica al fumetto e regala un viaggio all'interno di culture e storie che conosciamo poco. Imperfetto, e per questo interessante. Dopo tre donne, un autore maschio, la cui esibita, discutibile e discussa misoginia (insistita e a volte una specie di firma autoriale), ci accompagna direttamente nella Storia del fumetto internazionale: Robert Crumb. Comicon Edizioni pubblica in un unico volume i tre numeri di Art & Beauty Magazine, dove i disegni troppo perfetti (tratti a volte da fotografie ricopiate, spesso rivisitate per deformare i corpi nella "tipica donna alla Crumb"), tracciati con l'evoluzione della tecnica scribble scribble, propria dell'autore, dimostrano la grandezza del padre dell'underground americano. Un volume magnifico, da restarci secchi nell'immaginare l'autore al tavolo da lavoro a tracciare maniacalmente i suoi segni. Vorrei citare ancora un autore, uno scrittore questa volta, che si è imbarcato in una vicenda editoriale complessa e enorme, quella di raccontare in tre romanzi la documentata vicenda storica e umana di Benito Mussolini. L'autore è Antonio Scurati e il volume M. Il figlio del secolo. Il libro non merita di essere letto, ma va obbligatoriamente letto, perché deve restare sempre chiaro nella testa di ciascuno, quale è il percorso culturale e il substrato sociale che produce certi "fenomeni" storici. A volte la democrazia, quando è minata dalla malafede o alimentata dall'ignoranza, produce il suo opposto. E vi è sempre qualcuno disposto ad approfittarne. Vorrei infine menzionare alcune canzoni, che mi accorgo coltivano bene il senso di questo post. Consiglierei l'ascolto attento di Post Concerto dei Coma_Cose. Li adoro quando recitano, quasi come in una sequenza fotografica fatta di concetti espressi a parole: "E i bicchieri abbandonati/ Sanno come ci si sente/ Ad essere come diamanti/ Invisibili alla gente". Oppure: "Ho ancora voglia di combattere/ Garibaldi aveva solo mille followers". E infine la grande Francesca Michelin, con la sua importante Bolivia "È l’umanità che fa la differenza/ Portami in Bolivia per cambiare testa/ Portami in Bolivia per cambiare tutto/ Spegnerò il telefono/ Sarò libera e indipendente/...Non ho bisogno di niente". E ancora: "Ma se vuoi puoi salvarmi dall’umidità della pioggia più insistente / Che entra nelle ossa della gente/ Che si lamenta sempre/ Che mangia male e crede a ciò che legge". Esatto. Uscite da questo blog, uscite da tutti i post ecc., parlate con le persone che avete vicino e con quelli che non conoscete. Capite le cose, capite la gente e non credete a ciò che leggete. Buon anno di indipendenza mediatica e culturale!
   

martedì 25 dicembre 2018

Molto, molto cordialmente

Mentre mi rigiro nei pensieri appannati del giorno di festa, mi arriva la notizia che è scomparsa, ieri 24 dicembre, Grazia Nidasio.
La cosa mi procura un fastidio enorme, perché ho stimato l'autrice, la disegnatrice, la persona. Con quest'ultima ci siamo anche scambiati alcune lettere nella prima metà degli anni 2000, perché con l'Associazione ARTeFUMETTO, che allora presiedevo, vi era la volontà di fare delle cose con l'autrice.
Quelle lettere (con gli indirizzi tagliati e incollati) parlavano il linguaggio dei suoi libri, quello di "ragazze" consapevoli e autorevoli. Non riuscimmo, poi, a portare a termine il progetto, perché altre cose si accavallarono, allora, Giardino, Cavazzano, poi Pazienza e poi Gipi. Mi restano ora, quelle lettere, dove l'autrice mi sottolineava che, comunque, mai avrebbe presenziato ai nostri eventi a lei dedicati, poiché, come scriveva "...ho pensato che, invecchiando, ciascuno si guadagni un certo diritto al ritorno della naturale timidezza". 
Resto qui, nel giorno di Natale 2018, a contemplare quelle parole, che potrebbero essere di monito per molti e forse di indirizzo.
La saluto, la signora Nidasio, come faceva lei "...molto, molto, cordialmente."


domenica 23 dicembre 2018

Ragioni che non vorrei avere

Alcuni anni fa pubblicai assieme all'amico Walter Chendi un volume di racconti. Si chiamava "SessantaQuaranta". Il libro conteneva dei testi di Walter e miei, mescolati con il solo criterio di parlare un linguaggio comune, quello della memoria, non autobiografica, ma collettiva. I miei racconti furono definiti allora "il lato oscuro del volume", ovvero la quota parte più propensa a scavare nel "buio" dell'animo umano. Uno dei temi principali affrontati tra le righe era quello della dipendenza, psicologica in alcuni casi e reale in altri, con riferimento esplicito all'uso della droga. Il libro usciva nel gennaio 2012 e, durante le presentazioni pubbliche, mi fu molto spesso sottolineato che stavo affrontando un aspetto della società forse superato dagli eventi, ormai sotto controllo e di certo non affrontabile per come andavo proponendolo. Mi ricordo ancora oggi che qualcuno storse il naso di fronte all'argomento "sgradevole", mentre io asserivo che la crisi economica che stavamo affrontando in quel momento (non superata nemmeno oggi, ma di certo la situazione non è quella tragica di quei giorni) rappresentava un terreno fertile per ridefinire un ruolo centrale all'argomento dipendenza.
Oggi, circa sette anni dopo, la cronaca e le statistiche rilvelano che la questione droga rappresenta uno dei problemi centrali della nostra società, in particolare tra le giovani generazioni. Lo dicono i sindaci nei loro discorsi di fine anno, gli esperti, la società civile. Nel confronto a scuola, dove a volte collaboro per dei laboratori, emerge molto chiaramente una certa preoccupazione tra i ragazzi che vedono nei loro coetanei farsi largo, incontrollata, la dipendenza dagli stupefacenti e dall'alcool (si badi bene, ragazzi preoccupati per altri ragazzi di fronte alla questione droga e alcool e non della questione "stranieri" e "migranti", sempre presente, invece, in prima pagina sui quotidiani). 
Vorrei qui, però, riprendere le parole di Riccardo Gatti, direttore del dipartimento Dipendenze dell'ASL di Milano, che in un articolo pubblicato di recente su Rolling Stone italiano ricorda: "Oggi le auto vanno a 200 all'ora e i telefonini hanno giga illimitati, lo stesso vale per la droga. Oltretutto gli acquirenti sono gli stessi, visto che ormai il consumo è uscito dal ristretto ambito della devianza"; e aggiunge: "Siamo di fronte a un vuoto culturale simile a quello del passaggio dalla società contadina a quella industriale. Allora Pasolini preconizzava il trionfo dell'eroina, e così fu. Sta capitando di nuovo, ma siccome oggi il mondo è variegato ci sono più sostanze a prometterci di colmare l'abisso".
Insomma ecco qui, la droga come cartina di tornasole di una condizione di malessere, dell'incapacità di esaminare e trovare la quadra in una società complessa e non semplice rappresentazione di un fenomeno a sè. Era così nel 2012, anche se non si voleva ammetterlo, ed è così tanto più oggi. Ce lo dice quello che abbiamo attorno da più di un mese oramai, mentre scateniamo le nostre povertà più recondite sul Natale.
(nella foto: un albero di Natale in stazione a Milano, acompagnato da un cartello pubblicitario dove Pasolini si rivolta nella tomba, sovrastato dall'evoluzione dei tempi)