domenica 23 dicembre 2018

Ragioni che non vorrei avere

Alcuni anni fa pubblicai assieme all'amico Walter Chendi un volume di racconti. Si chiamava "SessantaQuaranta". Il libro conteneva dei testi di Walter e miei, mescolati con il solo criterio di parlare un linguaggio comune, quello della memoria, non autobiografica, ma collettiva. I miei racconti furono definiti allora "il lato oscuro del volume", ovvero la quota parte più propensa a scavare nel "buio" dell'animo umano. Uno dei temi principali affrontati tra le righe era quello della dipendenza, psicologica in alcuni casi e reale in altri, con riferimento esplicito all'uso della droga. Il libro usciva nel gennaio 2012 e, durante le presentazioni pubbliche, mi fu molto spesso sottolineato che stavo affrontando un aspetto della società forse superato dagli eventi, ormai sotto controllo e di certo non affrontabile per come andavo proponendolo. Mi ricordo ancora oggi che qualcuno storse il naso di fronte all'argomento "sgradevole", mentre io asserivo che la crisi economica che stavamo affrontando in quel momento (non superata nemmeno oggi, ma di certo la situazione non è quella tragica di quei giorni) rappresentava un terreno fertile per ridefinire un ruolo centrale all'argomento dipendenza.
Oggi, circa sette anni dopo, la cronaca e le statistiche rilvelano che la questione droga rappresenta uno dei problemi centrali della nostra società, in particolare tra le giovani generazioni. Lo dicono i sindaci nei loro discorsi di fine anno, gli esperti, la società civile. Nel confronto a scuola, dove a volte collaboro per dei laboratori, emerge molto chiaramente una certa preoccupazione tra i ragazzi che vedono nei loro coetanei farsi largo, incontrollata, la dipendenza dagli stupefacenti e dall'alcool (si badi bene, ragazzi preoccupati per altri ragazzi di fronte alla questione droga e alcool e non della questione "stranieri" e "migranti", sempre presente, invece, in prima pagina sui quotidiani). 
Vorrei qui, però, riprendere le parole di Riccardo Gatti, direttore del dipartimento Dipendenze dell'ASL di Milano, che in un articolo pubblicato di recente su Rolling Stone italiano ricorda: "Oggi le auto vanno a 200 all'ora e i telefonini hanno giga illimitati, lo stesso vale per la droga. Oltretutto gli acquirenti sono gli stessi, visto che ormai il consumo è uscito dal ristretto ambito della devianza"; e aggiunge: "Siamo di fronte a un vuoto culturale simile a quello del passaggio dalla società contadina a quella industriale. Allora Pasolini preconizzava il trionfo dell'eroina, e così fu. Sta capitando di nuovo, ma siccome oggi il mondo è variegato ci sono più sostanze a prometterci di colmare l'abisso".
Insomma ecco qui, la droga come cartina di tornasole di una condizione di malessere, dell'incapacità di esaminare e trovare la quadra in una società complessa e non semplice rappresentazione di un fenomeno a sè. Era così nel 2012, anche se non si voleva ammetterlo, ed è così tanto più oggi. Ce lo dice quello che abbiamo attorno da più di un mese oramai, mentre scateniamo le nostre povertà più recondite sul Natale.
(nella foto: un albero di Natale in stazione a Milano, acompagnato da un cartello pubblicitario dove Pasolini si rivolta nella tomba, sovrastato dall'evoluzione dei tempi)