domenica 3 giugno 2018

Inciampando sulle radici

Se passassimo il nostro tempo a riflettere su quanto gli altri vogliono proporci come importante, finiremmo per perdere la capacità di ragionare sul fuori e sul dentro noi. Andrebbe persa quella capacità di meditazione sul sè, che mi pare invece possa servire ad affrontare con dignità la mediocrità dell'offerta del contesto. Non è una presa di consapevolezza in assenza di modestia, ma un bisogno di porre una distanza con le dinamiche ripetitive che la "questione socio-politica" attuale ci propone. Nei giorni in cui la suddetta questione andava prendendo una piega definitiva, tra richiami contrastanti di difesa e di interpretazione della Costituzione italiana, con salite sugli scudi e attacchi incerti all'operato del Presidente della Repubblica e infine con la nascita di un nuovo governo (tutto da verificare a posteriori nel suo operato e dal cui giudizio è opportuno sottrarsi, benché certe affermazioni, certi comportamenti mediatici mi lascino perplesso, in materia di diritti civili più che nelle scelte programmatiche, direi), io ho fatto un piccolo percorso di ricerca delle mie radici, più per confermarle che per scoprirne di nuove.
Così il 25 maggio ero a Ravenna, con Alessia e Gioia, a sondare la base culturale che ha portato alla costituzione dell'Associazione culturale ETRA, che tra qualche giorno inaugurerà il settimo anno di attività. In questo caso le radici da sodare erano in realtà ancora più profonde, perchè richiamavano proprio alla mia formazione di architetto-conservatore, grazie agli insegnamenti di Nullo (e in forma mediata alla collaborazione con Adriano), nonché al percorso professionale ormai pluriventennale. 
A Ravenna ho incontrato il pensiero e il lavoro di José Ignacio Linazasoro, che con le sue parole ha in realtà confermato una mia attitudine al ripensamento della materia della Storia: quella dell'architettura e quella fisica. Liliana Grassi, Sverre Fehn, Leon Battista Alberti e ovviamente altri. Il non metodo, la cultura della storia, l'intimo intreccio con i materiali della fabbrica quale superamento di una risposta esclusivamente tecnica. Niente di nuovo nel pensiero di Linazasoro, niente di originale, ma una riflessione spesso citazionista di confronto continuo tra cultura umanista e dato fisico.

Il 26 maggio ero a Bologna di passaggio e quindi poi a Roma (sembra un viatico scritto). Le radici qui stanno nelle rovine e nelle fabbriche antiche. Il dato materiale e compositivo del Teatro di Marcello, il suo essere "rovina", nel senso di qualcosa di non finito, continuato e da continuare nella contemporaneità delle epoche successive (castello fortificato, poi palazzo). Il travertino del Teatro di Marcello riutilizzato nella costruzione di Palazzo Venezia (edificio civile, residenza papale, sede istituzionale mussoliniana, oggi polo museale), dove alla sedimentazione dei materiali si sostituisce quella funzionale, evocativa di esperienze e lasciti. La luce che invade la volta del Pantheon, che ispirò inevitabilmente anche il vestibolo a lacunari di Palazzo Venezia (uno dei primi esempi di utilizzo del calcestruzzo seppure all'antica). All'Accademia Nazionale di San Luca (coincidenza quasi disturbante) incontro una piccola mostra dedicata all'esperienza triestina del Centro Arte Viva. La mostra, intitolata al lavoro di Gigetta Tamaro, raccoglie anche opere di Luciano Semerani, Enzo Cogno, Carlo de Incontrera, Aldo Rossi, Guido Cannella. E naturalmente di Miela Reina. Qui la radice si fa più forte, specialmente quando tra le opere incontro un suo quadro del 1968, "Prefigurazione di un avvenimento", che ho avuto per qualche settimana in casa, quando, con gli amici di ARTeFUMETTO, facemmo nel 2004 a Monfalcone una mostra collettiva, dedicata indirettamente anche a Miela. Le radici di un'esperienza. 
Accademia San Luca Roma 2018
Galleria d'Arte Contemporanea Monfalcone 2004
Poi girando per Roma, in via del Gesù, alla CArt Gallery, riscopro il lavoro di Will Eisner. Le sue tavole di Spirit sono appese alle pareti, assieme ad alcune opere inedite, favolose. Lo stimolo è forte e mi fa capire che non potrò in questo viaggio dimenticare di omaggiare il fumetto.
Il 27 maggio ero a Testaccio, all'ex Mattatoio. Qui si svolgeva una manifestazione importante sul fumetto, la quarta edizione di "ARF!". Molti autori, molte amicizie fatte durante il corso degli anni e qui ritrovate per un abbraccio o un saluto. Ritrovo Gipi (a Monfalcone nel 2003 e nel 2007 per ARTeFUMETTO, qui impegnato a liberarsi dell'onnipresente Bruno Luverà, pieno di libri e disegni omaggio offerti dagli editori, per "favorire" un passaggio su "Billy", la rubrica domenicale su RAI1), Barbucci (comprai a fine anni '90 una delle prime copie in edizione non ancora definitiva di Sky Doll, poi fu il diluvio, ma ci riconosciamo ancora), Zerocalcare (e gli amici di BAO Publishing) ,Zezelj (da Moreno, a Topolò, in molte occasioni con le sue performance). Incontro Bernet (finalmente un incontro sereno, senza collezionisti, senza code o simili, ma solo chiacchiere e qualche sketch omaggio), Valerio Schiti (disegnatore marvelliano lanciatissimo, che regala ad Ale un magnifico Rocket Raccoon). 
Durante un incontro, in diretta streaming (l'età non è stata molto buona con lui) Vincenzo Mollica racconta la sua esperienza in RAI: "Mi sono battuto tutta la vita per far assumere una dignità a questo medium, quello della letteratura disegnata...". E infatti è così, Vincenzo ha sicuramente aperto una strada, peraltro ancora tutta da ampliare, ma senza di lui ci sarebbe stato il nulla. Nel sentire la sua voce mi rendo conto che è ora di affrontare il vero motivo per cui sono passato ad ARF!. Volevo ancora una volta perdermi nei segni di Paz. Da qualche giorno si è inaugurata la mostra "Andrea Pazienza. Trent'anni senza". Andrea muore il 16 giugno 1988. Il suo lavoro dopo trent'anni fa ancora impressione. In mostra ci sono soprattutto tavole di fumetto, non le locandine o i quadri giovanili o altro, ma proprio i fumetti. Capisci tutto il suo lavoro guardando quelle tavole. Le sue riflessioni prima del segno, il ritocco. Col cavolo che buttava le cose lì di getto e basta! Sono lavori intramontabili. 
La voce di Mollica nel video che accompagna l'allestimento (garbato), racconta un percorso umano interessante, aneddoti conosciuti, ma anche aspetti utili per capire. Scelgo di scattare qualche foto, di non comprare nessun gadget, poster, volume o altro. Scelgo di ripensare a quanto questo lavoro faccia parte delle mie radici, per averlo approfondito tra il 2003 e il 2005 nell'occasione della mostra allestita a Monfalcone per ARTeFUMETTO, per riconoscere un percorso umano generazionale, che tra le righe è anche il mio.
Il 27 maggio, come detto, ero a Roma e scopro che è l'ultimo giorno per visitare la mostra "The Pink Floyd Exhibition. Their mortal remains". Evento epocale per chi ama la musica e non visitarlo sembrava un vero delitto. La mostra valeva realmente la pena per farsi un'idea su di un percorso umano e generazionale (dopo gli Ottanta e i Settanta di Pazienza, ecco i Sessanta: come frequentare all'incontrario tutta un'esistenza), oltre che musicale. Lettere, locandine, strumenti, allestimenti dai concerti (i maiali e le pecore gonfiabili, le invenzioni di The Wall), e naturalmente la musica, le parole, e i progetti. 
Ebbene sì, la mostra è soprattutto l'omaggio ad un pensiero prefigurativo, ad una visione progettuale (Roger Waters e Nick Mason iniziano studiando architettura), condotta con razionalità e capacità organizzativa. Ogni schizzo per i palchi, per le scene, per le copertine dei dischi, sviluppati con i progettisti loro collaboratori (architetti, ingegneri, designer) parlano il linguaggio della consapevolezza. Lo stesso MACRO di Roma, che ospita l'allestimento è un tempio dell'architettura contemporanea, progettato da Odile Deq. E' la sua un'architettura dell'effimero, della forma e delle geometrie, dove materia e funzione sembrano andare per binari diversi (non sai mai dove vai e perché ci vai). Non è la "bellezza utile" che Malacarne aveva ricordato parlando di Linazasoro solo due giorni prima. Vedere il MACRO dopo aver visitato il lavoro di Linazasoro ti permette di capire la differenza.
Il viaggio finiva qui, dopo la mostra dei Pink Floyd, e le radici sembravano raccordarsi. Tornando a casa, stanchissimo, rileggendo l'opuscoletto della mostra in ricordo di Gigetta Tamaro, scopro un piccolo scritto/memoria di Aldo Rossi del 1980, dove l'architetto ricordava la sua frequentazione di Arte Viva a Trieste: "Tutto questo è durato poco tempo ed è finito prima che si compisse; come la giovinezza anche se i veri giovani, come Miela (e Paz, potrei aggiungere), hanno la singolare virtù di morire prima. Non so cosa significhi prima; forse solo prima di essere stanchi". Le radici a volte rompono un pò le scatole.