sabato 23 aprile 2011

E' sempre la storia dell'orecchio assoluto

E' sempre la storia dell'orecchio assoluto: vi sono persone che percepiscono l'altezza, la frequenza, il colore di una nota, che la individuano con certezza e al primo ascolto e che costituiscono quindi una potenzialità nel mondo dell'accordatura degli strumenti e similari. Ci sono altre persone che dicono di averlo (o magari lo credono): tanto poi chi va a controllare! E' come la storia dell'odontoiatra che si spaccia dentista, come quello che si mette impropriamente il titolo di dottore davanti al nome o il rinomato h.c. (honoris causa) comprato chissà come.

La sera del 22 aprile, ieri sera, ci eravamo organizzati per andare ad ascoltare il concerto di Elisa (la cantante di Monfalcone, la mia città) al Teatro Rossetti di Trieste. Un amico ci aveva messo da parte alcuni biglietti omaggio. Siamo pronti per partire e uno salta fuori che la sera stessa ci sarebbe stato il concerto di Cristina Donà al Deposito Giordani di Pordenone. Ma porca miseria, sempre sto casino delle sovrapposizioni, della gente che organizza le cose all'interno del piccolo orticello di casa. E' il leitmotiv della nostra Regione. Bene, meglio "aggratis" o meglio Cristina? Meglio Cristina. Arriviamo a Pordenone verso le 20.45. Il concerto deve iniziare alle nove. Non c'è nessuno. Alla cassa ci dicono che tra poco avrebbero aperto le porte, ma che difficilmente il concerto sarebbe iniziato prima delle dieci. Succede quasi sempre al Deposito e non facciamo una piega al sentire la cosa. Compriamo il biglietto, poi butto lì un'idea: facciamoci un giro in centro a Pordenone. Ci spostiamo in auto verso il centro con l'idea di andare a curiosare al CinemaZero, tempio del cinema pordenonese e nazionale: siamo al cazzeggio e quindi una cosa vale l'altra. Fuori dal cinema c'è un assembramento; pubblico delle grandi occasioni; gente che esce dalla sala e una fila semi-ordinata per entrarvi. Buttiamo la macchina in un angolo, tanto non abbiamo molto tempo, e ci avviciniamo. Stanno entrando per la proiezione di Habemus Papam, il nuovo film di Nanni Moretti, che ha fatto un pò parlare per questa sua visione molto umana di un pontefice in crisi di identità, o meglio di responsabilità. Il film l'ho già visto la scorsa settimana. Mi è piaciuto. E' un film minore? Forse anche no! Mi pare un film riuscito. Devo dire, prima di scrivere il resto, che io sono un grande appassionato del cinema di Moretti. Conosco bene la sua filmografia, ho rivisto molte volte il suo lavoro. Anche la persona Moretti mi incuriosisce. In alcuni crea un senso di disagio e distanza, ma a me incuriosisce. E' una di quelle serate del tour di presentazione a cui ormai anche i registi più noti si devono sottoporre per garantire che i loro film restino in programmazione un pò più del solito (ovvero, nel caso di film italiani, salvo poche eccezioni di cassetta, più di un fine settimana). Moretti incontra il pubblico prima della proiezione, una manciata di minuti, ma sufficiente a garantire il pienone in sala. Mentre la fila finisce di entrare (e la fila è lunga e ci si mette un bel pò a smaltirla) senti dalla sala il fragoroso applauso che fa capire come l'incontro sia ormai al termine. Alcuni sono ancora sulle scale, mentre Moretti sta probabilmente rispondendo a qualche veloce domanda finale. Noi ci mettiamo comodamente seduti sul muretto che sta appena fuori dell'ingresso al cinema. Con noi ci sono due o tre gruppetti di persone. Saremo restati una decina di persone in tutto. Tra queste alcuni critici o pseudo-intellettuali che stanno discutendo sul taglio registico del film, sul significato di alcune battute. E' il mondo morettiano che parla di se stesso. Passano cinque minuti (sono le 21 e 20) e Moretti esce allegro e trionfante dall'ingresso principale. Lo trovo un pò ingrassato, un pò invecchiato: lo siamo anche noi. Si muove, riempiendo l'aria con parole e gesti, è un grande narcisista e si aspetta che qualcosa continui a succedere anche lì all'uscita. Lo accontento; è stato uno dei miei miti giovanili e quindi qualcosa gli devo. "Ciao Nanni! Ottimo film!"; "Grazie." Ci oltrepassa come fosse atteso da qualche altra parte. Poi si accorge che, oltrepassati noi, non ci sta pressoché nessuno. Gli corro in aiuto. "Posso farti una domanda?" Lui guarda altrove come se avesse delle cose da fare, poi si appende al mio amo, semivoltandosi. "Come?"; "Posso farti una domanda?"; "Eh, sì però...!" Si avvicina e io faccio lo stesso. Avevamo parlato poco prima tra di noi di questa lunga parte del film dove i cardinali in attesa del Papa, scomparso nella sua fuga di libertà e riflessione dal Vaticano, accettano di partecipare ad un torneo di pallavolo intercontinentale nel chiostro del Vaticano. Ognuno gioca come può. I campi sono preparati con maestria, ordinati come piccoli giardini all'italiana di stampo rinascimentale. I più scarsi nel gioco sono la componente dell'Oceania, la cui rappresentanza è di soli tre cardinali. Faranno un punto solo, suscitando una grande sorpresa e ovazione generale. Noi ci chiedevamo il significato di quella parte, se vi fosse un'allusione a qualcosa. Chiedo: "Senti Nanni, ma questa lunga scena delle partite a pallavolo, come si colloca nel contesto del film? Ha un significato "altro"?". Risponde più o meno (ne riprendo il senso): "Il film, non è un cruciverba! Sono scene che danno dimensione alle altre, senza un senso nascosto. Sono un respiro per il film.". Lo incalzo: "E quell'unico punto degli "Oceanici"? Nicchia con quel suo solito sorriso di chi sa la risposta: "Esiste una scena tagliata, dove uno dice (si riferisce alla povertà di mezzi della squadra dell'Oceania, e quindi alla sorpresa di quella segnatura), "..è la prova dell'esistenza di Dio!". Lo ringrazio, gli stringo la mano che intanto aveva tolto una penna dalla tasca, mentre il dito faceva schioccare nervosamente "l'aperto-chiuso" della stessa. Io però non gli chiederò l'autografo, come lui si aspetta. Lui si volta allora come per darsi alla folla restante, che consiste nell'occasione di tre signore sulla cinquantina, attempate nel fisico alquanto prosperoso, ma finto-giovani nell'abbigliamento. Una ha questi capelli colorati di rosso. E' quella che appella Moretti dicendogli "bravo di qui", bravo di là". Poi lancia una frase che ci stende tutti: "Sei stato il leitmotiv della nostra vita!". Moretti, che le ha già abbandonate con lo sguardo (ha questi occhi con queste pupille quasi scavate, profondissime, quasi da cieco, strane), fissa ora, con una smorfia riflessiva, lo spazio interplanetario e vuoto che sta tra noi e il gruppo delle fans-matrone. Cogli che dentro di sè sta ripensando a queste parole, che le sta immagazzinando per quello che sono, che lo spaventano, che significano tanto e forse anche troppo. Cogli una voragine in quell'istante. Lo salva una voce alle sue spalle, un amico-collaboratore che lo appella flebilmente, ma abbastanza perché lui approfitti della cosa. Si scusa con noi che ormai tutti stavamo pensando ad altro, dicendo: "Scusate, scusate! Devo andare a cena!" Si scusa con il vuoto, mentre ormai la poca gente presente vive altrove. E va! Sono le 21 e 35. Anche noi andiamo, commentando quanto si era vissuto. Arriviamo al Deposito Giordani alle 21 e 55. Vi è ancora pochissima gente per Cristina. Gli organizzatori guardano ogni tanto fuori dall'ingresso, cercando di capire se sta arrivando ancora qualcuno. La cosa porta ad una ulteriore attesa, nella speranza che il pubblico aumenti, che si crei l'atmosfera del pre-concerto. Si fanno le 22 e 30. Chi c'è ormai è sotto il palco e, nonostante i pochi, Cristina esce. Sarà un concerto bellissimo. Le canzoni sono splendide e lei dal vivo è unica: teatrale, perfetta, con questo sguardo magnetico, con questa voce potentissima nel salire improvvisa. Il gruppo di sei musicisti è ottimo. Regala due ore di concerto con una versione di Stelle buone splendida. E' una delle mie autrici preferite e chi è lì, tra i pochi, la conosce bene, conosce le parole, conosce il rito. E' una messa diversa, cantata.

Che c'entra tutto questo con l'orecchio assoluto? Chi lo possiede veramente, e non lo millanta, probabilmente lo ha già percepito.

(nella foto Nanni Moretti a Pordenone nel 2002)

mercoledì 13 aprile 2011

Dodici comandamenti

Questo è il 100° post di questo blog. Un piccolo traguardo.
Lo festeggio con un elenco di libri di narrativa (più o meno), che mi hanno "accompagnato" e anche formato linguisticamente. Li ho scelti perché sono quelli che considero importanti, imprescindibili in alcuni casi, e perché sono gli unici libri che ho riletto almeno una volta: e vista la montagna di pubblicazioni che quotidianamente ereditiamo dalla storia letteraria italiana e internazionale, credo che ciò possa significare qualcosa.


Dunque.

Thomas Bernhard, Perturbamento;

Raymond Carver, Cattedrale;

Georges Simenon, L'uomo che guardava passare i treni;

Pier Vittorio Tondelli, Altri libertini;

Italo Calvino, Marcovaldo;

Henry Miller, Tropico del Cancro;

Achille Campanile, Manuale di Conversazione;

Jorge Luis Borges, Finzioni;

Albert Camus, Lo straniero;

Bruce Chatwin, In Patagonia;

Daniel Pennac, La Fata Carabina;


E soprattutto:

J.D. Salinger, Nove racconti.


E poi ci sono tutti gli altri, che un'onda del mare si è nella mia memoria portato temporaneamente via.

sabato 9 aprile 2011

I discorsi degli italiani n.1


Alla stazione. Due sessantenni.

Il primo.

"Stanno lesinando l'informazione. Ti ricordi. Una volta c'erano quei cartelloni enormi, che ti elencavano tutte le fermate, persino degli interregionali, come si chiamavano vecchiamente".

Il secondo.

"Quando leggevo Venezia S.L., Credevo sempre intendessero Stazione lagunare. Poi dall'autoparlante mi dissero Santa Lucia, e allora pensai: AAAAHH...Meno male!"

(nella foto, due disegnatori underground, come si diceva "vecchiamente". Li riconoscete?)