lunedì 12 settembre 2016

Pit stop

La storia di questo blog è iniziata pressoché 7 anni fa (il 14 settembre 2009). Durante questo lungo periodo è cambiato un pò tutto a livello di social e comunicazione web. Sono stati anche sette anni difficili sul piano economico internazionale e queste pagine hanno cercato più volte di registrare gli umori che si andavano diffondendo tra le persone. Il primo post parlava di viaggi e di irrequietezza. Per rendere più completa la celebrazione di questo non breve percorso di riflessioni ho scelto di riprendere quel tema elaborandone ulteriori possibili declinazioni. Ho approfittato in realtà dello stimolo proveniente da alcuni scritti del filosofo francese Pierre Zaoui, tra cui quello apparso su La Lettura n.250 del 11 settembre 2016, che approfondisce il tema della fuga. Zaoui si interroga sul ruolo che la fuga può avere nella nostra società; società che Adriano Favole sullo stesso numero de La Lettura definisce ormai non più liquida, ma viscosa. Chi segue queste pagine ha già più volte incontrato questa definizione, "società viscosa", suggeritami durante un incontro di alcuni anni fa da Gianni Vattimo. Niente di nuovo insomma, ma il tema della viscosità relazionale mi pare importante. La condizione di turbamento emotivo che subisce una persona in un contesto, chiamiamolo relazionale, viscoso, porta quest'ultimo a stati di frustrazione (depressione?), ma in alcuni casi anche ad uno scatto in avanti che si traduce nella fuga, sia essa un viaggio temporaneo, oppure un vero mollare tutto e partire. Favole parla di condizione contemporanea di ampia connessione, ma priva di relazioni concrete, che determina la tensione necessaria allo strappo. Zaoui produce una riflessione ancora più interessante, introducendo il tema a lui caro della discrezione. Disceto è colui che distingue, sceglie e separa (discernere). Prima di tutto determina una separazione per scelta critica, tra sè e qualcosa o qualcuno. Lo fa per costrizione, perchè non potrebbe farne a meno, perchè intende ritrovare un percorso di "silenzio" nella società viscosa suddetta. Quel silenzio può anche tradursi in un viaggio, ma di certo può leggersi anche come un momento di fuga. Non la fuga di chi ha ottenuto il proprio e quindi per opportunità si ritira, ma quella di chi si distoglie, per rideterminare le forze, concentrarsi nella comprensione del proprio ruolo rispetto l'esterno (l'esteriorità, o meglio superficialità, anche e soprattutto comunicativa). La condizione dell'atto "discreto" non è però un raggiungimento definitivo (qui è realmente interessante l'opinione espressa da Zaoui), poiché si determinano successivamente situazioni plurime per alzare la propria voce, far sentire la propria opinione e riprendere solo dopo nuovamente il silenzio. Non è fuga, ma autoprotezione, tutela del proprio pensiero, aggiungerei. Nel 2009 citavo Chatwin, la sua riconosciuta irrequietezza (Anatomia dell'irrequietezza) e scopro che dopo sette anni di scritti quella stessa condizione mi stimola ancora. Però lo scrivere quale forma di autoconoscenza ("parlo per comprendere ciò che penso") ha aiutato a migliorare la consapevolezza di uno status. Sarà che il passare degli anni impone anche situazioni più "comode", ma prediligo di certo oggi la "discrezione" all'"irequietezza" quale manifestazione di fuga. Mai saprei (oggi di certo più di ieri) mollare tutto e "andare" In Patagonia, ma so (dopo questo pluriennale viatico intellettuale) riconoscere alla fuga un valore più alto, fatto di consapevolezza e non di abbandono. Continuo a sperare nella possibilità di conoscere oltre l'abbandono! Ah nao ser eu toda a gente e toda a parte ("ah, se potessi essere tutte le persone di tutti i posti"), riprende il muro cinematograficamente scritto da Wim Wenders in Lisbon Story (citando forse o probabilmente Pessoa): e potessimo farlo in silenzio e cogliendo il meglio da ciascuno (persona e posto) senza dover immergerci nella viscosità, a cui invece continuamente risultiamo costretti. Ma non si vive fuori dal proprio tempo, anche se nessuno ci obbliga a presentarci dinanzi al "peggio" a braccia distese e volto rassicurante. Scrivere aiuta ad armarci e a maturare, nella speranza che il mondo reale non si trasformi completamente in un inutile videogioco comunicativo e vi possa essere ancora spazio per i "risultati del silenzio".