martedì 28 febbraio 2012

Piccole scatole emozionali n. 10

Dalla scrivania sommersa della mia infanzia, una foto di Stefania Rotolo. Sono più gli anni passati dalla sua scomparsa rispetto quelli che lei aveva quando morì, nel 1981, dopo che oramai da oltre un'anno non appariva quasi più in TV.
Emotivamente mi resta il ricordo della felicità che mi dava vederla ballare allora; razionalmente l'amara constatazione della totale sparizione di una televisione con una qualsivoglia idea estetica e funzionale ad un intrattenimento vero. E senza parole, parole, parole... dette da una moltitudine di figure inutili.
Per rivederla:
http://www.youtube.com/watch?v=1l314HliGaU&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=_4ZTEoDNCkk&feature=related

domenica 26 febbraio 2012

Parole e contesti

Piccola digressione sulle parole o riflessioni che mi sono arrivate all'orecchio e che mi sembrano interessanti per uno spunto critico o viceversa emblematiche di un atteggiamento o di un periodo da sondare.
"L'uomo discende dagli animali. Era quidi necessario che imparasse ad essere umano: ad esempio che comprendesse di non poter uccidere altri esseri, umani, come faceva invece per istinto con gli animali";
"Il linguaggio è motivo di chiusura; nel passaggio tra la bocca e l'orecchio si definisce un percorso che stravolge dei significati. Ecco perché la parola divide";
"La manipolazione della parola";
"Radici fanno paura, poiché determinano dei confini";
"Tradizione e cultura non sono termini intercambiabili?";
"Oggi il mondo è comunicativo; tutto gira attorno ad un unico filtro, che determina cosa ci raggiunge, ed esso è il profitto";
"Siamo buoni in forma naturale? Se lo siamo, abbiamo bisogno di autorità morali?;
"Mi piacciono i musei, poiché qui nessuno cerca di venderti qualcosa!";
"Risemantizzazione";
"Liberalizzazione e semplificazione: sono sinonimi?";
"Farfalla"
"Inadeguatezza di un'educazione";
"Le storie sono tutto quello che abbiamo";
"Progettare è prefigurare";
"- Hai ricordi imprecisi. -Come puoi dirlo, se sono i miei!";
"Sostegno finanziario";
"A costo zero";
" Filologia, "amicizia per la parola".
Sono tutte queste frasi e parole il riassunto della mia ricerca di questi primi due mesi dell'anno. I restanti dieci li passerò a verificarne il ruolo sul piano pratico.

martedì 21 febbraio 2012

Ciao

"Ma come te rivi? Come te rivi?"
"
Eh, rivo... rivo, perchè la xe bassa!"

Ciao, ciao... Romana... un abbraccio.

sabato 4 febbraio 2012

Sulla morte, con misura

Riprendo nel titolo di questo post quello di una poesia di Wislawa Szymborska. La poetessa polacca è morta a Cracovia la notte del 1 febbraio. L'ho saputo oggi, altrimenti ne avrei scritto prima, come omaggio intendo, perché è stato il suo lavoro, negli ultimi anni, per me una continua scoperta. La sua opera poetica è frutto di una sintesi, dalla prima pubblicazione ufficiale del 1952 all'ultima nel 2005, espressa in quattordici piccoli volumi (dodici?), nell'uso di un linguaggio non intellettuale, pur nella ricerca intellettuale che ne sottende l'uso. Mi piace ricordarla come poetessa "postmoderna", per il suo rifiuto delle grandi narrazioni e dei grandi racconti, senza però cadere mai nel minimalismo. Ironica a volte, accattivante, ma con grazia, dedita al paradosso, al dubbio come contraddizione e ricerca. Donna e autrice impegnata politicamente nelle vicende storiche che portarono al 1989 polacco e anche premio Nobel per la letteratura nel 1996. E' stato il vivere quotidiano il suo soggetto principale, là dove il "minuto", prima che il minimale, diventava ogni volta una sorpresa, un miracolo appunto. Con ironica lucidità seppe affrontare il tema della morte e a quella ha saputo dedicare vari componimenti più o meno indirettamente, tra cui quello del titolo. E' merito involontario di Alessandra, nel suo avermi indicato la pubblicazione Elogio dei sogni, allegato di una collana di poesia del Corriere della Sera, l'avermi anche concesso di correlare nuovamente un nome impronunciabile ad alcune opere che erano state per me motivo inconsapevole di intenso interesse; dal 2005 direi, quando, sul numero 200 del mensile Poesia scopersi, tra le molte scelte proposte, quel componimento che dà il titolo a questo scritto: Sulla morte, con misura, appunto. Non sapevo del suo premio Nobel allora, nè della sua esistenza in quanto poetessa; da questa poesia è nata invece una passione recondita che poche settimane fa, in dicembre e ora, con la sua morte e tutto quanto se ne è detto sui gornali, ha trovato anche una sua collocazione letteraria e umana più precisa. Coincidenze. Voglio omaggiare qui la Szymborska riportando uno stralcio che reputo saliente di quella lunga poesia letta nel 2005; è un fatto personale, senza grandi costruzioni dietro, senza eccessi, ma con grazia, spero, come forse, ora che ne so di più di lei anche come persona, all'autrice sarebbe piaciuto. Forse. Comunque "con contraddizione".
Non capisce gli scherzi, non sa nulla/ di stelle, di ponti, di miniere, è incapace di tessere, di coltivare i campi, di costruire navi, di cuocere dolci.// Nel nostro conversare di progetti futuri/ infila la sua ultima parola/fuori tema.// Non sa neppure compiere/ ciò che direttamente riguarda la sua arte:/ non sa scavare tombe,/ né inchiodare una bara,/ né rimettere in ordine quando sgombera.// Occupata ad uccidere/ lo fa maldestramente,/ senza metodo e pratica./ Come se con ognuno di noi/ stesse imparando a fare il suo mestiere.// I trionfi sono certo trionfi,/ ma sconfitte quante,/ colpi falliti,/ prove ripetute!// (...) Chi afferma che la morte è onnipotente/ è la vivente smentita/ al proprio credo.// Non c'è una sola vita/ la quale per un attimo non sia stata immortale.// La morte/ arriva sempre tardi su quell'attimo.// Invano tormenta le maniglie/ di invisibili porte./ Quanto fu conquistato/ non può più riprendersi.

giovedì 2 febbraio 2012

Venezia

Oggi a Venezia c'erano meno cinque gradi. Oggi dovevo essere a Venezia, invece per una serie di imprevisti non ci sono andato. Per tutta la giornata ho ripensato alla città lagunare. Ho affrontato così spesso il tema del ricordo in questi ultimi tempi, che Venezia "mi sovviene di continuo". Non ho bisogni di suggestioni visive o sensoriali in genere, la città mi vive dentro, oramai, e io con il pensiero sto dentro di lei, tra le pieghe del suo presente, che è poi futuro di un solenne passato.
Pur dedicandomi a volte a raccontare (e al proposito colgo l'occasione per rimandarvi ad un'intervista pubblicata in questi giorni su http://www.fucinemute.it/2012/01/sessantaquaranta-due-generazioni-e-il-loro-sguardo-sul-proprio-passato/ , dove assieme a Walter Chendi mi sono trovato ad affrontare alcune domande sui temi del nostro volume SessantaQuaranta, in queste settimane in libreria), non ho mai scritto di Venezia, non direttamente almeno. Ci penso solo ora e mi pare una cosa strana, considerato quanto vissuto ho lasciato tra quelle sue fondamenta e pietre.Cosa posso dire di nuovo su questa città? Di non detto, o che qualcun'altro non ha ancora riflettuto? Ogni dettaglio che scorgo è già stato visto e descritto, fotografato o narrato. Che cosa posso allora raccontarvi di personale, ma al contempo di non retorico su essa? Posso ritrovare forse alcune immagini, come si ricorda nel sonno, riportando alla luce piccoli brandelli dalle ombre del dormiveglia.
Le calli invase al mattino presto dai gabbiani. Appiedati, se si può dire, e non volatili. Bestie enormi e dalle penne biancastre, che rompono con il becco i sacchi neri della spazzatura lasciati per strada. I resti si spargono così ovunque, mentre i predatori aprono le ali e scompaiono in cielo con un avanzo che penzola controluce.
Ancora le calli, ma lastricate di masegni, bloccati dalle malta sgretolata, che traspare dalle fughe. Sono conci concavi, che raccolgono l'acqua piovana durante e dopo un acquazzone. Ognuno porta il proprio stagno; là dove la scarpa incosciente si inzuppa, mentre tu maledici Venezia e le sue Fondamenta bagnate.
La signora con il cappuccio del giaccone contornato dal pelo finto. Tu passi oltre mentre lei se ne sta schiacciata contro il muro stonacato dal gelo. Tiene gli occhi socchiusi a godersi un raggio di sole e un improbabile riposo. E infatti soddisfatta sorride.
Il Campo dove scoprivi la casa che un animo folle, ma sensibile, aveva voluto addobbare con i colori di decine di girandole, lasciandole per sempre a ruotare nel vento. Gli eredi le hanno tolte quasi tutte, ne restano ora solo tre o quattro, come una vestigia o un monumento al gioco, o alla noia.
Il conducente del motoscafo-taxi CANALE 2, mentre suona il clacson e si appresta ad abbassare la testa per passare sotto la volta di un ponte e quindi svoltare a 90 gradi subito dopo. Il suono ti fa sobbalzare, perché improvviso o perché sei assorto dai pensieri conciliati dai passi ripetuti e svelti. Ti guardi intorno e gli altri passanti guardano intorno e verso di te e scopri in loro la stessa sorpresa.
Ancora le facce di altri passanti, che, quasi correndo o rincorrendo i propri impegni, lanciano sguardi diritti nel centro dei tuoi occhi, senza un sorriso, rivelando solo una muta perplessità per uno sconosciuto che scorge un suo simile e prova ad accennare un muto segnale di soccorso, trovando invece un muro altissimo, fuori e dentro quell'animo estraneo.
La luce di ottobre, di sera, poco prima del tramonto, con i suoi rossi, i suoi viola, dei lilla, qualche tono di blu e tanta voglia di nero, infine. E come sempre la natura l'accontenta.
Venezia.