giovedì 2 febbraio 2012

Venezia

Oggi a Venezia c'erano meno cinque gradi. Oggi dovevo essere a Venezia, invece per una serie di imprevisti non ci sono andato. Per tutta la giornata ho ripensato alla città lagunare. Ho affrontato così spesso il tema del ricordo in questi ultimi tempi, che Venezia "mi sovviene di continuo". Non ho bisogni di suggestioni visive o sensoriali in genere, la città mi vive dentro, oramai, e io con il pensiero sto dentro di lei, tra le pieghe del suo presente, che è poi futuro di un solenne passato.
Pur dedicandomi a volte a raccontare (e al proposito colgo l'occasione per rimandarvi ad un'intervista pubblicata in questi giorni su http://www.fucinemute.it/2012/01/sessantaquaranta-due-generazioni-e-il-loro-sguardo-sul-proprio-passato/ , dove assieme a Walter Chendi mi sono trovato ad affrontare alcune domande sui temi del nostro volume SessantaQuaranta, in queste settimane in libreria), non ho mai scritto di Venezia, non direttamente almeno. Ci penso solo ora e mi pare una cosa strana, considerato quanto vissuto ho lasciato tra quelle sue fondamenta e pietre.Cosa posso dire di nuovo su questa città? Di non detto, o che qualcun'altro non ha ancora riflettuto? Ogni dettaglio che scorgo è già stato visto e descritto, fotografato o narrato. Che cosa posso allora raccontarvi di personale, ma al contempo di non retorico su essa? Posso ritrovare forse alcune immagini, come si ricorda nel sonno, riportando alla luce piccoli brandelli dalle ombre del dormiveglia.
Le calli invase al mattino presto dai gabbiani. Appiedati, se si può dire, e non volatili. Bestie enormi e dalle penne biancastre, che rompono con il becco i sacchi neri della spazzatura lasciati per strada. I resti si spargono così ovunque, mentre i predatori aprono le ali e scompaiono in cielo con un avanzo che penzola controluce.
Ancora le calli, ma lastricate di masegni, bloccati dalle malta sgretolata, che traspare dalle fughe. Sono conci concavi, che raccolgono l'acqua piovana durante e dopo un acquazzone. Ognuno porta il proprio stagno; là dove la scarpa incosciente si inzuppa, mentre tu maledici Venezia e le sue Fondamenta bagnate.
La signora con il cappuccio del giaccone contornato dal pelo finto. Tu passi oltre mentre lei se ne sta schiacciata contro il muro stonacato dal gelo. Tiene gli occhi socchiusi a godersi un raggio di sole e un improbabile riposo. E infatti soddisfatta sorride.
Il Campo dove scoprivi la casa che un animo folle, ma sensibile, aveva voluto addobbare con i colori di decine di girandole, lasciandole per sempre a ruotare nel vento. Gli eredi le hanno tolte quasi tutte, ne restano ora solo tre o quattro, come una vestigia o un monumento al gioco, o alla noia.
Il conducente del motoscafo-taxi CANALE 2, mentre suona il clacson e si appresta ad abbassare la testa per passare sotto la volta di un ponte e quindi svoltare a 90 gradi subito dopo. Il suono ti fa sobbalzare, perché improvviso o perché sei assorto dai pensieri conciliati dai passi ripetuti e svelti. Ti guardi intorno e gli altri passanti guardano intorno e verso di te e scopri in loro la stessa sorpresa.
Ancora le facce di altri passanti, che, quasi correndo o rincorrendo i propri impegni, lanciano sguardi diritti nel centro dei tuoi occhi, senza un sorriso, rivelando solo una muta perplessità per uno sconosciuto che scorge un suo simile e prova ad accennare un muto segnale di soccorso, trovando invece un muro altissimo, fuori e dentro quell'animo estraneo.
La luce di ottobre, di sera, poco prima del tramonto, con i suoi rossi, i suoi viola, dei lilla, qualche tono di blu e tanta voglia di nero, infine. E come sempre la natura l'accontenta.
Venezia.