mercoledì 27 marzo 2013

Parole non chiacchiere!

C'è stato un tempo in cui tutti desideravano parlare di politica. A volte desideravano anche "farla", la politica. Erano anni di ideologie e anche di idee, in alcuni casi portate all'estremo in contesti difficili da comprendere già allora. Anche il termine "parlare" appariva allora ai più con un significato diverso rispetto quello che oggi siamo abituati ad usare. "Parlare" non è "chiacchierare". Viviamo un mondo fluido (non liquido, lasciamo in pace Bauman, che altrimenti ne approfitta subito per alimentare il chiacchiericcio), in evoluzione. Tale è il livello del dinamismo, che ciascuno, anche i più preparati, faticano a seguire coscientemente le trasformazioni in atto. Non è nemmeno più un problema di omologazione postmoderna (ancora Bauman), bensì di tentare di elevarsi dal fluido, per respirare, direi. Questo impone continui scostamenti dal pensiero che ciascuno definisce su di sè, e produce continuo disorienatamento nella ricerca di un proprio ruolo e spazio, sociale o anche solo fisico. Le persone vivono oggi condizioni di crisi, ma per l'incapacità, del tutto comprensibile e umana, di sostenere il peso dell'oggi. Lo sfogo, che ci permette di sostenere la difficoltà specifica, si risolve non nella semplice alzata di spalle che i fatti perlopiù meriterebbero, ma in un atteggiamento voyeuristico, risolto nella chiacchiera. La chiacchiera non ha peso, si dissolve come l'acqua che filtra tra le mani. Ecco perchè oggi nessuno desidera "parlare" di politica, imporrebbe infatti concentrazione infinita. E il dinamismo delle cose è tale, che gli stessi politici faticano a ricondurre la chiacchiera alle parole. Infine risultiamo tutti vittime dei media, che ci offrono argomenti continui, disimpegni continui alla possibilità di raggiungere il centro dei singoli problemi. Non è la nostra una società del disimpegno, ma dell'annullamento nell'impegno, a seguire attoniti l'evoluzione dell'effimero. Ecco, quindi, che  l'esperienza più proficua per coniugare disillusione e autoconvincimento di poter possedere un ruolo significante nel proprio tempo, è dato dalla critica. Cosa fa la "critica"? Bhe, critica!! Il critico è etimologicamente (dal greco) colui che "è esperto nel giudicare", ma anche colui che separa (sceglie appunto), che mette in crisi. Ma in un flusso in continuo divenire, come potrebbe maturare un'esperienza critica? Come potrebbe evolvere una consapevolezza? Ecco che anche il critico si adegua, si plasma all'oggetto del suo interesse. Il risultato è la totale assenza di metodo; la completa perdita di un ruolo. Oggi critico è chiunque; perchè la critica, perlopiù, come ricordava in un suo aforisma Oscar Wilde, "tanto nella sua più alta, che nella sua più bassa espressione, non è che una forma di autobiografia". Insomma, ciò che ci resta è parlarci addosso. Alzare una voce, per sentirsi bene, per avvolgersi in una calda coperta di Linus (la filosofia di Schulz!). Vi era un tempo in cui tutti desideravano parlare di politica. Oggi un pò tutti vorrebbero farla, per ragioni spesso economiche, ma non riuscendoci, allora preferiscono parlare d'altro: d'arte (e Picasso di qui, e Cattelan di là...), di fumetti (e il graphic novel di su e di giù), di musica (questa canzone ricorda quella di quell'altro e questa quest'altra ancora), di libri (il nuovo Calvino! il nuovo Borges!... ma per piacere!). Diceva Elvis Costello in una sua intervista (l'ho letto come citazione all'interno di un libro su Bruce Sprinsteen di non ricordo neppure chi) che "scrivere di musica è come suonare di architettura".  Parole sante! E infine il chiacchiericcio aumenta e nessuno più "fa". Tutti parlano (scrivono), e nessuno fa! Tra i suoi significati il termine "fare" ha anche quello di "adattarsi". Fare potrebbe essere quindi anche utile, in questi tempi di crisi conclamata! Sarebbe bello che il mondo online, specialmente, questo mare magnum delle chiacchiere, a cui ora sto contribuendo, dimostrando di essere parte lesa di questi nostri tempi fluidi, potesse essere anche un mondo del fare. Oh certo, molti eccepiranno che online si muovono mondi, opinioni, si producono denari, si definiscono contatti e relazioni, ma spero che qualcuno possa andare oltre le proprie convinzioni, e provi a comprendere comunque quanto intenda dire.   

domenica 17 marzo 2013

Del troppo che resta...

"Certe volte ho paura sai, di non cambiare più..." lo scriveva Luca Carboni in una sua canzone di ormai troppi anni fa. L'album era Persone silenziose. E' questa anche la mia paura principale oggi. Non la paura di non cambiare in quanto umano esposto alla naturale e personale evoluzione/involuzione psicologica determinata dalla crescita, ma la paura che ciò che quotidianamente si definisce nel mondo esterno non possa più avere una seconda possibilità di riflessione sulle scelte fatte e da fare. La velocità e il dinamismo con cui la Storia si definisce, un minuto dopo l'altro, mi atterrisce alquanto. La Storia non riflette su se stessa, non si crea o determina criticamente. Le cose succedono, anche quanto potrebbero succedere meglio o con maggiore qualità. Si crea così non un nucleo indistinto di accadimenti, infine solo una raccolta di nozioni scarsamente approfondite; si crea un'enciclopedia, di quelle grandi e inutili che arredano i soggiorni o gli studi delle nostre case (delle nostre case di un tempo, più che di oggi). Non è un caso che oggi sia internet il luogo privilegiato della cultura di massa. Niente assomiglia di più della rete ad una enciclopedia; e non è un caso che wikipedia rappresenti la scatola dei desideri per ogni nostra fame di conoscenza. E' quello un mondo ampio, che perlopiù ci potrebbe anche bastare; è un universo autoreferenziale che esprime ogni cosa assecondando l'aspirazione alla non-fatica. Basta un clic! Un doppio clic! Strumenti perfetti per un processo di decadenza nella sinusoidale non linearità della crescita temporale della Storia umana. Mi ha fatto sorridere venire a sapere oggi che il titolo della 55° Mostra Internazionale d'Arte alla Biennale di Venezia in apertura nel giugno a venire sarà Il Palazzo Enciclopedico, dal sogno utopistico di Marino Auriti, targato 1955 (i curatori d'arte sono geniali nella conoscenza di sogni e utopie, enciclopedici appunto) di una torre di 700 metri di altezza dove racchiudere tutto lo scibile umano (se Auriti fosse nato più tardi, avrebbe di certo auspicato qualche metro in più!). Perfetta la scelta del curatore Massimiliano Gioni (39 anni, e già bendisposto alle enciclopedie), perfetta per cogliere il nostro tempo, dove ogni cosa si accavalla, si giustappone, senza regole e prevalenze: quale miglior occasione per la critica per evitare per l'ennesima volta un'assunzione di responsabilità! Quale migliore occasione per poter giustificare ogni scelta con l'intenzionalità della "non scelta". Tutto va bene, tutto funziona, tutto può essere spiegato, basta non spiegare! E' l'apatia del nostro tempo, è l'enciclopedia del soggiorno: ogni anno ti arriva un nuovo volume, lo metti in fondo agli altri e ti senti un uomo adeguato ai tempi. E' però una fortuna, oggi, che la Storia abbia scelto di far funzionare così le cose: non ci sono così problemi a far star dentro quanto ci circonda. Le parole con la "S", "S" come "Stupidità"; oppure i temini con la "I", "I" come "Indolenza"; e anche quelli con la "C", "C" come "Cavoli propri", quelli che ognuno di noi si fa in barba all'interesse comune. Tutto torna, insomma, linguaggi perfetti, personaggi pubblici perfetti, mostre perfette, senso di responsabilità perfetto, e il tutto raccolto nel brodo enciclopedico perfetto in cui puoi nuotare "a stile libero", oppure "a dorso", o "a rana", senza paura alcuna, tanto è vischioso (leggi, corruttibile o corrotto) e impalpabile (leggi, privo di spessore) il tutto.