domenica 15 settembre 2019

E per finire...

Questo post è un caso. E' un caso che mi sia accorto che cade esattamente dieci anni dopo il primo post pubblicato come "Continuavo a guardare fuori", il 14 settembre 2009. E' un caso che abbia deciso di chiudere la mia esperienza di blogger su questa pagina proprio a dieci anni di distanza dalla data di apertura. E' un caso che ieri fossi a Venezia (non era in programma, ma è piacevolmente successo), la mia città dell'anima. E' un caso che per un'intera estate mi sia passato davanti il nome di un artista a cui tengo molto e che indirettamente ha suggerito questo blog, ed è sempre un caso che per un motivo o l'altro non abbia mai potuto partecipare a nessuna delle occasioni a lui dedicate. Parlo di Emilio Isgrò, della cui grandezza artistica non ho dubbi, a differenza di molti suoi illustri colleghi, celebrati o compianti, che continuano a non smuovermi nulla, nè dentro, nè fuori. E' poi un caso che la visita veneziana si trasformi inconsapevolmente in un momento di ricerca artistica. Per caso, camminando per le calli o sostando in un baretto e l'altro, per un cicchetto, per un saluto, si visitano alcune delle esposizioni collaterali alla Biennale Arte 2019. Per caso, sembra che la fine gli anni '60 e un certo tipo di arte non sgravata del peso del contesto, un'arte politicamente utile, diremo, facciano da collante al tutto: si comincia con "AFRICOBRA. Nation Time" e l'arte di Chicago vicina al Black Power Movements di Sessanta e Settanta (Napoleon Jones-Henderson, Gerald Williams, Barbara Jones-Hogu su tutti); si passa per il Padiglione della Repubblica dello Zimbabwe, poi Pino Pascali, alla Fondazione a lui intitolata alle Zattere (Palazzo Cavanis).
Gerald Williams, "Angela Davis", 1971, a Venezia
Pino Pascali a Venezia
E' un caso che uscendo da Pascali, mi trovi davanti un poster che pubblicizza la mostra di Emilio Isgrò alla Fondazione Giorgio Cini. E' un caso che passi il vaporetto giusto mentre si è lì e che così in cinque minuti si possa sbarcare all'Isola di San Giorgio Maggiore, davanti al capolavoro progettato dal Palladio. E' un caso che la mostra sia pure ad ingresso gratuito e che non ci sia praticamente nessuno a frequentarla in quel momento. Ma il caso, espressosi all'ennesima potenza, vuole che mentre sono lì entra nelle sale Emilio Isgrò stesso, che quasi mi sento le gambe un pò molli, per raccontare la sua mostra ad alcuni amici. Ci sono state alcune chiacchiere regalate, profonde sul senso del "cancellare" (il centro della sua arte), sul superamento dell'ignoranza, sull'essere intellettuale, sul ruolo dei giovani. A Isgrò fa piacere che qualcuno più giovane gli si avvicini per chiedergli le cose. Finisco per chiedergli un autografo, uno di quelli che sento diverso da altri che mi è capitato di raccogliere, a volte per gioco, uno di quelli che desidero conservare: "Non un feticcio, ma un ricordo, maestro!". Mi viene risposto che aveva capito che il mio intento era sincero.
Emilio Isgrò a Venezia
Questo post nasce per caso, in questo giorno che, per caso, come detto, segna il decimo anni di riflessioni online. Potrei fare un piccolo resoconto su questo. Potrei chiamare queste pagine scritte "Diario della crisi!" (sia nel senso di crisi reale, economica e sociale, sia di "crisi", interpretazione, spoeculazione). Quando scrissi il primo post, mi pareva di dover dire delle cose che poi sono state dette e in alcuni casi mi sono sembrate, anche a distanza di anni, appropriate. Il rapporto conflittuale che ho con il web (odi et amo...), mi porta ad accettare come utile solo questa forma di "social", oramai forse superata da altre, sempre più immediate e sempre più vicine all'uso esclusivo dell'immagine a scapito della parola. Scrivere è stato, come sempre, uno strumento per capire meglio cosa pensavo di un argomento che mi pareva importante approfondire. Se guardo indietro mi rendo conto che in queste pagine sono passate tra le righe molte mie passioni. Potrei anche finire per riassumerle in qualche nome, ma sarebbe far torto alle passioni minori, che comunque mi hanno aiutato a crescere intellettualmente. Ecco, questo sì, se di una cosa sono fiero è di non aver mai voluto e saputo distinguere tra arti maggiori e arti minori, tra alto e basso...è sempre stata una questione di valore (personalmente attribuito) e non di contesto. 
Alla mostra di Isgrò ho trovato un'opera forse marginale, ma che l'autore non ha però voluto dimenticare. Si intitola Cancellatura, del 1965, tre anni prima della mia nascita. Il testo su cui Isgrò interviene si intitola Ideologia della sopravvivenza
In una sequenza parziale delle righe non cancellate possiamo leggere questa frase: "...Non ti resta, dunque, che mutare rotta: guardarti dentro e GUARDARE FUORI, fino a scoprire un segno, una foglia, una pista. E seguire quel segno, quella foglia, quella pista anche quando - Alla fine, tenta e ritenta, il mondo ti apparirà com'è: più vicino al vero, forse, di come potrebbero mostrartelo Marx e San Paolo...". Questo blog iniziò, quindi, con una citazione di Bruce Chatwin da In Patagonia, sul viaggio di ricerca, sull'irrequietezza, e termina ora con una citazione da un'opera di Emilio Isgrò, che del blog contiene il titolo e forse il significato più intrinseco. E' ancora il caso a determinare le cose, a regalare la parola ..."fine", che tutto spiega e tutto cela. Saluti.