martedì 14 settembre 2010

Corsi e rincorse

Oggi questo blog compie il suo primo compleanno.
La cosa più allarmante sta nel fatto che è già passato un anno.

Sono contento di non aver lasciato queste pagine a se stesse. Spero che qualcuno leggendomi si sia interessato, non a me (sarebbe un scarso risultato), ma agli argomenti che mi hanno stimolato apparendomi importanti, tanto da volerne (doverne) parlare.

A chi mi ha letto, grazie. A chi non mi ha letto, grazie.

Per festeggiare riporto una frase che ho scovato in didascalia ad una foto di Henri Cartier Bresson, in mostra a Palazzo Morpurgo a Udine in questi giorni.
Il commento è di Alain Jouffroy: "...non si fotografano che fantasmi. La Storia è un incubo da cui bisogna risvegliarsi, per inventarne un altro."

venerdì 10 settembre 2010

Umanesimo

Ho visitato a Trieste una piccola mostra di pittura (alla Sala Comunale d'Arte di piazza dell'Unità d'Italia). Il pittore è una persona che conosco, per essermi confrontato con lui durante il mio lavoro come architetto. Il pittore è un architetto. Si chiama Ruggero de Calò, nato a Trieste, classe 1954. La mostra è molto interessante. E' sicuramente una delle più significative esposizioni di lavori pittorici, nati da un architetto contemporaneo, mi sia capitato di vedere. Sono i suoi dei paesaggi. Nelle didascalie alle opere l'autore unisce spesso la nota Architectural a quella di Landscape. Architectural 2 landscape e Architectural-Iceberg (se non ricordo male) sono le due opere che mi hanno colpito maggiormente. Quando vedi degli architetti dipingere, l'"oggetto" viene sempre definito tramite rimandi diretti alla rappresentazione o alla composizione: la realtà urbana o l'immaginato progettuale (surrealista a volte, come per Massimo Scolari o Cantafora, lo stesso Aldo Rossi) vengono sempre ricondotti ad un piano descrittivo. Nei quadri di de Calò esiste una libertà completa nella rappresentazione del contesto paesaggistico, dove l'"architettura" diviene solo richiamo, per appartenere contemporaneamente al mondo dell'esistenza e della creazione: è una rappresentazione emotiva che coglie il momento della fusione delle cose, dove l'architettura non è ancora tale; sussiste come nota in un paesaggio, che però al contempo è già violato. E' una scelta pittorica resa all'interno di una cultura dell'informale e a volte espressionista, che dimostra di aver digerito parte della ricerca di un altro triestino, quel Nino Perizi scomparso nel 1994, la cui opera pittorica è sparsa negli edifici pubblici e privati di Trieste.
De Calò ha lavorato molto come architetto sul paesaggio e su restauro architettonico e urbano e la fusione a cui mi riferivo rende bene questa sua ricerca a far sì che il costruito, la sua fisicità, possa integrarsi, coesistendo, in perfetta simbiosi evolutiva con il contesto, spesso naturale.
Ciò che mi premeva qui sottolineare è però una nota contenuta nella presentazione della mostra che Marianna Accerboni regala all'autore nel volantino di comunicazione dell'esposizione. Dice: "...incarna (l'architetto-pittore) le qualità dell'architetto umanista, la cui professione contribuisce ad ampliare i suoi interessi verso molteplici aspetti creativi e culturali."
E' questa la condizione di architetto che apprezzo, a cui aspiro: la condizione di persona coinvolta e non estranea, viva e fremente e non frenata. Impegnata perché affascinata e di conseguenza capace di vedere e descrivere.
Credo che questi tempi abbiano bisogno di "umanesimo", naturalmente oltre ad una non ipocrita "umanità".

sabato 4 settembre 2010

Giochi e salvagenti

Il 1 settembre sono a Venezia perché ho un appuntamento in Università. Devo seguire una tesi di laurea, parlare con delle persone. E' una giornata strana dove sin dal mattino mi scontro con piccoli contrattempi, ritardi, ecc.. Mi rilasso solo quando sono in aula. Lascio però l'Università presto, già verso le tre di pomeriggio, perché in serata ho un appuntamento di lavoro. Sono in prossimità del ponte di Calatrava a Piazzale Roma, e quindi alla stazione per riprendere il treno, quando dallo studio mi chiamano per dirmi che l'appuntamento è saltato. Mi incazzo un pò per le corse che ho dovuto fare, per non essermi potuto godere meglio la giornata universitaria. Poi mi spunta in testa un'idea, che in realtà credo fosse una remota speranza, considerato la prontezza con cui ho aderito alla possibilità soppravvenuta. Collego rapidamente: 1 settembre - Venezia - Lido - inaugurazione mostra del cinema -vado! La macchina fotografica è sempre con me! Sono già in Piazzale Roma, monto sul traghetto e verso le 16.30 sono già al Lido in prossimità dell'area del Festival. Non sono molto organizzato visto l'improvvisata, non so che film vedere, che cosa fare. E' la prima giornata e i biglietti per i film principali sono praticamente esauriti e cari. Decido per il cazzeggio, per godermi l'atmosfera: giro tra gli stand, vado fino all'Hotel Excelsior, faccio un giretto per il lungomare, mangio qualcosa, mi informo con qualche giornalista e fotografo su chi ci sarà in passerella, compro di conseguenza alcune foto, alcune riproduzioni di locandine cinematografiche. Poi verso le 18.00 mi sistemo tra una piccola folla di fotografi e giapponesi urlanti, essendo ormai prossima la passerella principale. Arriva di tutto sul gran tappeto rosso: i vip. Sembrano dei mostri in realtà. I tacchi esagerati, i vestiti bellissimi e improbabili. Certe donne sembrano delle fate, altre delle streghe. La gente urla. Io mi sposto un pò, mi metto dietro un vecchietto. E' alto la metà di me, e mi assicurerà ottima visione della passerella per tutta la serata: ogni tanto porta alla bocca una caramella, suda tantissimo; temo gli venga un infarto da un momento all'altro. Non dirà una parola per tutto il tempo: sereno spettatore. Mi sistemo lì, facendo quindi amicizia con due operatori di Fashion TV, mi pare di aver capito. La confusione è parecchia. Gli operatori, uno con la cinepresa su treppiede e una con il gelato/microfono in mano, vogliono intervistare direttamente i "divi" durante la passerella: sono curioso.
Passa il mondo trash della TV, passa il mondo trash della bell'Italia nobile e politica. Fashion TV in parte funziona, non ci avrei mai scommesso; ogni tanto qualcuno si ferma e scambia alcune parole: passa Manuela Arcuri, quel mostro inguardabile di stucco e boriosità di Gabriel Garko, passa Lino Banfi (un comico vero, come si rivela, con quel giusto cocktail di estro e malinconia), passa Carlo Verdone (un impiegato delle poste, praticamente). Poi Carla Fracci (una mummia in carne e soprattutto ossa); Isabella Ragonese è straordinaria, fa la falsa vamp, atteggiandosi con humor davanti ai fotografi, ha il miglior sorriso che mi sia capitato di vedere in una persona. Passa Violante Placido: sembra una Madonna di Filippo Lippi, tanto è languida e solare al tempo stesso. Poi Margareth Madè, molto bella vista da vicino. Passa e si ferma quella balena di Simona Ventura, troppo rifatta in volto per ogni commento. Poi improvviso parte un coro da stadio: "Quentin! Quentin! Quentin!...". Sta passando Quentin Tarantino e la gente lo adora, non solo i ragazzi. Il regista è sorpreso dall'acclamazione e si getta a pesce verso gli spettatori, cioè noi. Fashion TV funziona. Tarantino si ferma, scambia alcune frasi con loro e con me, che non capisco niente di americano, (con tutti insomma, tranne che con il silente vecchietto): fa il gigione, l'estroso. Mi faccio autografare una foto della locandina di Pulp Fiction (poco prima ci avevo visto giusto comprandola!). Poi succede il casino: arrivano Natalie Portman e Vincent Cassel. La gente esplode. Io a quel punto mi ero dato una missione da compiere: far autografare una locandina di Ocean Twelve con l'immagine di Vincent Cassel. So che Alessia adora l'attore francese e quindi ci provo. Fashion TV non funziona. In compenso stavolta mi appoggio al vecchio, gli infilo un gomito in bocca (lui non dice nulla, sembra capire), mi estendo come un atleta di salto in alto, stile Fosbury, arrivando sino alla mano dell'attore, che prende la foto, la firma e me la restituisce. Incredibile ce l'avevo fatta! Scopro che mi sto divertento molto, con una buona dose di consapevole masochismo e di autoironia.
La passerella sta scemando e riesco a guardarmi intorno meglio. Vedo le ragazzine, per le quali gli autografi sono una conquista della quale a loro importa in realtà molto poco, un gioco insomma. Vedo alcune persone che con ironia scherzano su quella situazione naif che è la caccia all'autografo; vedo anche delle persone sofferte e sofferenti, che si disperano veramente per non essere riusciti ad averlo quel sgorbietto sulla carta. Vedo persone che vivono la cosa veramente male. Vedo la gente nella sua diversità: la gente che si diverte con distacco, quella che per un attimo ha la sensazione di aver condiviso una parte della celebrità, della fama, del successo di coloro che gli sono passati davanti. Provo una certa malinconia nel pensare a come questo protagonismo sia innato in noi, come sia un modo privato per vivere le difficoltà di tutti i giorni, per trovare da esso una parziale via di fuga dal quotidiano. Riconsidero la cosa e capisco le ragioni di ognuno. Sono contento di essere lì con tutti loro, di condividere quella festa, quella messa sociale, quel palliativo per i giorni anche tristi che spesso ci si presentano: quel ricordo che sarà poi un piccolo raggio di sole nella memoria a fronte di momenti anche bui. Vi racconterò un'altra volta, forse, della passerella degli attori giapponesi, del putiferio dei loro fan. Vi basti sapere che poi ho preso il battello, quando ormai faceva buio. Mi sono messo a poppa, all'aperto e mi sono goduto il mare scuro e l'aria fresca della laguna di notte.