sabato 15 ottobre 2016

Tequila o melassa?

Ci sono state volte in cui mi è parso che il mondo si restringesse e che la vita permettesse occasioni realmente straordinarie. 
E' successo ad esempio incontrando qualche personaggio del mondo della cultura, della musica o dello spettacolo che da sempre avevo stimato e di cui avevo seguito con passione il percorso artistico. Ad esempio a me è parso che questo si realizzasse nel scattarmi una foto assieme a Dario Fo, scambiando poi alcune parole con lui, mentre tirava fuori una moneta dalla tasca e la dava al senegalese che voleva venderci dei libri; oppure quando a pochi metri dal palco ho seguito un concerto di Bob Dylan. In quest'ultima occasione la cosa pareva poi sinceramente irreale, tanto era la statura artistica e l'importanza culturale di colui che stavo guardando direttamente negli occhi a fessura e di cui sentivo in diretta la voce graffiante.
Questi ultimi giorni sono stati dedicati anche a quei ricordi, mentre si andavano preparando i funerali milanesi dell'attore scomparso e mentre l'Accademia di Svezia premiava la carriera artistica del cantautore americano con il premio Nobel per la letteratura. Il ricordo personale di Fo (di cui parlai anni fa tra queste pagine) genera sensazioni contrastanti. Il confronto con l'uomo Fo produceva stati d'animo molteplici, di incanto, ma anche pungenti, che determinavano cioè fastidi profondi. Lo stesso credo si possa dire dell'idea fattami a pelle dell'uomo Dylan, mentre conduce la propria vita senza regalare mai nulla di proprio, o perlomeno niente di più di ciò che dovrebbe. Resta la grandezza di lasciti culturali elevatissimi ed indiscutibili. Se oggi, ai funerali dell'attore milanese, Jacopo (Giovanni Karen) Fo, figlio di Dario ha usato parole non leggere rispetto il mondo borghese e perbenista italiano in genere con cui il padre (e la madre) ebbero a scontrarsi in molte occasioni, attraverso storie di censura e di oscuramenti più o meno diretti, il mondo della cultura letteraria mondiale si sta interrogando se Dylan sia realmente meritevole di un Nobel per la letteratura, in quanto cantautore appunto. Poi che quest'ultimo problema se lo siano posto Murakami Haruki, Philip Roth e altri che da anni sono in lizza per lo stesso riconoscimento, a fronte di percorsi di scrittura importantissimi, mi pare anche legittimo, ma la cosa che come sempre fa specie è che in Italia si vada riportando il parere sulla cosa di tale Alessandro Barrico. Barrico, purché si parli di sé e indirettamente dei propri spettacoli (e qui cado nella sua trappola comunicativa), sembra aver detto, rifiutando la benevolenza verso la scelta dell'Accademia: "...è come se dessero un Grammy Awards a Javier Marìas perché c'è una bella musicalità nella sua narrativa"; poi, non negandosi alcuna opinione, come ad un bambino non si nega una caramella: "...allora anche gli architetti possono essere considerati poeti". Mi viene da dire, nel leggere questo: "Barrico, chi?" Credo che sia legittimo chiedersi questo, specie rispetto uno di quei scrittori che, convinto che la "scuola" (Holden) sia oggi (da anni in realtà) una novella accademia settecentesca, ha perlopiù rovinato due generazioni di presunti scrittori italiani, costringendo parimenti al nulla due generazioni di lettori. Basta un'opinione per far tabula rasa di decenni di scrittura dylaniana, immaginifica e illuminata, accompagnata anche dalla musica o meglio dalla musicalità? Basterebbe ricordare i fischi ricevuti da Dylan alla sua apparizione "elettrica" nel maggio del 1966 per capire cosa Dylan fosse all'epoca e cosa sia poi diventato per la società americana. Esiste qualcuno oggi di vivente che in quel contesto abbia contato realmente così tanto? Certo si premia oggi con il Nobel la qualità dei contenuti e una cultura anglofila, ma che cosa significa mai? Barrico ha compreso al tempo, dice lui, il premio a Fo (la drammaturgia), ma non ora quello a Dylan. Lo stesso Barrico non sa ovviamente poi cosa provi un architetto quando entra nella cappella di Notre Dame du Haut a Ronchamp, progettata da Le Corbusier; se lo sapesse lascerebbe stare i santi e si limiterebbe ai fanti. Analizziamo infine cosa significhi essere degli scrittori oggi. Dylan vive la sua età adulta (ha 75 anni, credo) con un tour mondiale infinito, facendo quello che sa fare sui palchi più disparati e non negando quello che è; altri scrittori passano il proprio tempo ai festival letterari o nei teatri a leggere porzioni di quello che scrivono, a commentare quadri, narcisi ed applauditi, come si applaude ad un concerto: che sia questo il modo contemporaneo di essere scrittori e letterati oggi? Su di un palco, ad appagare le folle inconsapevoli, e non nel silenzio della propria stanza a svolgere una consapevole ricerca sul linguaggio? Dove sta la differenza tra Dylan e colui che meriterebbe il titolo di scrittore nell'età contemporanea? Forse che Dylan era scrittore contemporaneo già negli anni Sessanta, cioè con la capacità comunicativa di chi non aveva facebook a disposizione per presentare il proprio pensiero poetico e civile? Barrico nel parlare di Gabriel Garcìa Màrquez dice con l'enfasi dolciastra che ci è nota: "...i venti secondi in cui ho letto per la prima volta le ultime righe di L'amore ai tempi del colera avevo qualcosa come trent'anni e credo di aver smesso lì, in quel preciso istante, e per sempre, di avere dubbi sulla vita." Non si scrive a caso, la traccia di inchiosto nero è il sangue del proprio pensiero (scriveva più o meno Cristian Donà, che credo Dylan lo conosca bene!) e poiché le parole sono storicamente pietre, questa raggiunta assenza di dubbi (di cui un artista si bea, alla faccia della complessità filosofica postmoderna in cui è maturato) fa ben capire le deboli sicurezze che possono uscire da una bocca. Anche io, in effetti, quando lessi Barrico non ebbi più dubbi. E per sempre, alla melassa impoverita della sua scrittura, preferii e preferisco rinunciare. Per dirla alla Dario Fo, è un vero Mistero Buffo che ci sia un pubblico interessato a quell'articolo. Ma la gente va rispettata, e ancora di più le persone e le loro opinioni, mentre Dylan continua a far rotolare le proprie pietre, ormai pilastro di una storia che poi è la Storia dell'umanità.