domenica 28 febbraio 2010

Accordi e disaccordi

Devo aver preso, per caso e curiosità, durante una delle mie uscite veneziane, il numero di febbraio del mensile gratuito edito dal Centro Culturale Candiani di Mestre. Nel riordinare le cose mi è capitato ora tra le mani. Nell'intervento editoriale viene ripreso un passaggio di un articolo apparso circa un anno fa (24 febbraio 2009) sul quotidiano la Repubblica, a firma dello scrittore Alessandro Baricco. Lo riprendo sommariamente qui di seguito: "...Chi oggi non accede alla vita culturale abita spazi bianchi della società che sono raggiungibili attraverso due soli canali: scuola e televisione. Quando si parla di fondi pubblici per la cultura, non si parla di scuola e di televisione. Sono soldi che spendiamo altrove... Spostate quei soldi, per favore, nella scuola.... Il Paese reale è lì, ed è lì la battaglia che dovremmo combattere con quei soldi. Perché mai lasciamo scappare mandrie intere dal recinto, senza battere ciglio, per poi dannarci a inseguire i fuggitivi uno ad uno, tempo dopo, a colpi di teatri, musei, festival, fiere e eventi, dissanguandoci in un lavoro assurdo? Che senso ha salvare l'Opera e produrre studenti che ne sanno più di chimica che di Verdi? Cosa vuol dire pagare stagioni di concerti per un paese in cui non si studia la storia della musica neanche quando si studia il Romanticismo? (...) Quei soldi servono ad una cosa fondamentale, una cosa che il mercato non sa e non vuole fare: formare un pubblico consapevole, colto, moderno. E farlo là dove il pubblico è ancora tutto, senza discriminazioni di ceto e di biografia personale: la scuola. (...).
Ringrazio chi ha scritto quell'editoriale (Marco Brunello), riprendendo le parole di Baricco e promuovendo un'iniziativa del Centro Candiani che si traduce nel progetto All You Need Is X-Music, che come ricorda Brunello consiste nel "privarsi di qualche concerto nella stagione ufficiale e destinare così un piccolo budget ai giovani, alle scuole".
Personalmente non conosco Brunello, non mi intendo di musica da parlarne, non conosco l'attività del Candiani. Conosco un pò Baricco (indirettamente, ovvio), senza peraltro esserne particolarmente innamorato, sia per le cose che ha scritto, sia per quelle promosse. Credo che questo suo intervento, che andrebbe però contestualizzato meglio, sembri un pò pretestuoso, avendo lui stesso in promozione una Scuola, la sua. Credo, però, che quanto dica sia condivisibile nella sostanza. Credo che si debba rivedere tutto il sistema del fare "cultura", rinunciando a tutto quanto risulti di promozione fine a se stessa, per riscoprire invece il valore dell'educazione. Creare un pubblico. Sinceramente credo anch'io sia tutto qui, anche se detto così sembra una costrizione più che un auspicio. Penso che non vi sia niente di male a saperne più di chimica che di Verdi, di certo è importante sapere chi è Verdi (e vi assicuro che non è scontato). Credo che non sia un dovere partecipare, anche se solo come spettatore, alla Cultura; di certo sarebbe meglio se anche chi poi della Cultura gli/le importerà zero per tutta la vita abbia le basi per scegliere. Insomma, sì, bisognerebbe partire dalla scuola o forse bisognerebbe partire ancora prima, nelle famiglie ( in effetti è un pò troppo facile demandare sempre agli altri la soluzione). Magari basterebbe direzionare meno soldi pubblici verso la televisione, come suggerisce Baricco, sarebbe un bel passo avanti anche se poi quei soldi non vanno nella scuola. Credo che una massa di persone capaci di pensare autonomamente e indipendentemente dai telegiornali, dalle trasmissioni TV, anche dalle pubblicità che molti si fanno utilizzando la TV, dal generalismo culturale, sia già un buon passo avanti, forse meglio che una massa di persone acculturate. Credo che per fare bene, forse, non servirebbe nemmeno direzionare i soldi a qualcosa, basterebbe toglierli a qualcuno. E' una politica dei piccolissimi passi (apparentemente), ma il malato sta veramente male e mantenerlo in vita per ora sembra già un successo.

(nella foto: quando sei disperato ti aggrappi a qualsiasi cosa)

domenica 21 febbraio 2010

Alla facciaccia di tutto

Ho passato gli ultimi giorni con la testa nel lavoro: lavoro, lavoro, lavoro... Ieri mattina abbiamo concluso la settimana in bellezza con una visita/sopralluogo fiume ad un'area archeologica, io e Federico, bagnati come i pulcini, sotto la pioggia scrosciante e con un freddo addosso infinito. Tornato a casa ho finito di scrivere una relazione. Alle sei di sera ero cotto a puntino, pronto per il letto. Quindi che si fa? Si è presa la macchina e si è andati io e Antonello a vederci il concerto di Carmen Consoli (versione elettrica) fino a Pordenone. Lei arriva tardi, ha avuto contrattempi per strada (neve, maltempo). Quando arriva sul palco sono le 10.30. Poi un'ora e trenta da sogno, con lei che smette i panni della cantantessa acustica alla Sanremo e spara giù un muro di suono stile Sonic Youth, Pixies, Fugazi e compagni. Spara anche qualche cover in stile. E mi torna il sangue nelle vene e mi dimentico della settimana e della giornata e sono di nuovo quello che sta bene ovunque. Alla facciaccia di tutto (qui sotto una foto sotto il palco).

mercoledì 10 febbraio 2010

Dispersioni termiche

Un piccolo estratto da un racconto che sto completando.
E' uno scritto sull'importanza del dubbio. Dubitare è porsi domande e quindi crescere. Dubitare consente di immaginare questa nostra esistenza (nostra in quanto umana intendo) non come una curva esponenziale, all'interno di un infinito "progresso", ma come un percorso spezzato, che è sinonimo di un "processo", fatto di alti e bassi, deviazioni. Ecco allora che perde ogni significato parlare di epoche di sviluppo o di epoche di decadenza. Ciò consente una nuova dimensione all'oggi: è una piccola carezza.
Il racconto parla di questo; l'estratto invece, una volta decontestualizzato, può sembrare, apparentemente, parli d'altro. Ma dubitare non implica coerenza.


(foto, Murales (particolare) visto a Pisa, 2009)


N.B. Il testo è stato cancellato dal gestore del blog, a seguito della pubblicazione del racconto nel volume SessantaQuaranta, edito da ARTeFUMETTO. Il titolo definitivo è Radura.