giovedì 25 agosto 2011

Scelte

Duecento grandi intellettuali (?) italiani hanno scelto per il Padiglione Italia (L'Arte non è cosa nostra) gli artisti (più di 200) che stanno esponendo alla 54. Biennale Arte 2011 a Venezia. Chi ha scelto gli intellettuali ci sarebbe da chiedersi? Ovvio, il curatore, Sgarbi, che ammira (ovvio) gli intellettuali chiamati a scegliere, che a loro volta ammirano gli artisti scelti (o magari tra una rosa proposta (sempre da Sgarbi) preferiscono questo piuttosto che quello), scatenando così un processo a caduta. Sgarbi si dice "contrario alla qualità della vita e favorevole alla quantità della vita"; "la selezione non è detto significhi qualità" e quindi meglio "tanto" che "scelto". Insomma, tutte queste cose qui, che poi, secondo me, finiscono per ben rappresentare ciò che realmente l'Italia è: un paese dove ognuno si fa i fatti propri (nel senso di interessi), dove chiunque raccomanda qualcun altro e così all'infinito a formare una marmellata, densa e che ci finisce per trovare tutti invischiati e soprattutto sporchi. Se la Biennale di sinistra è una Biennale di "tesserati", questa di destra è una Biennale di "imparentati". Ecco il Padiglione Italia, ecco il gesto artistico più grande, e il più grande merito di Sgarbi: parlare di noi italiani e, nel farlo, non riuscire, anche inconsapevolmente, a parlarne bene. Detto questo, io mi sono visto in quel dell'Arsenale tutte le opere degli artisti proposti dagli intellettuali scelti e ho potuto valutare in toto chi ha scelto chi o cosa. E infine, dopo aver visto tutto, considerato che ognuno ha potuto e saputo scegliere, anch'io ho scelto e ora vi metto, qui di seguito, i nomi degli artisti che ho scelto, tra quelli scelti dagli intellettuali, che a loro volta Sgarbi ha scelto. Insomma, l'apoteosi del figo, ciò che non può mancare, fermo che anch'io sono stato scelto da me stesso per scegliere tra le scelte dei scelti. Ecco qui, il meglio secondo me: Roberta Fossati; Greta Frau; Olivo Barbieri, Lucianella Cafagna; Bernardo Siciliano; Lucio Trizzino, Luciano Ventrone; Sergio Zanni; Paolo Bozzato; Mario Fallani; Theo Eshettu; Tullio Pericoli (per metterne anche uno di quelli conosciuti ai più). E poi se volete anche "the best is": Lucianella Cafagna su tutti. Cercatela nel marasma delle proposte. Non vi piace, peggio per voi. Infine una nota di colore nel Padiglione di Sgarbi. Su di una parete, una cornice-quadro incornicia un piccolo quadro di arte sacra. La nota recita: Piero della Francesca (ha scelto) Franco Fedeli. Bene io alla fine di tutto forse sceglierei sempre Piero. E infine infatti mi chiedo: io che ho visto cinque volte la Flagellazione di Urbino e quattro il ciclo della Croce di Arezzo di Piero della Francesca, senza peraltro esserne ancora stanco, dopo tutto questo vagare per l'Arsenale e per i Giardini, c'è qualcosa che mi faccia venir voglia di ripagare di nuovo il biglietto e quindi ritornare? Ebbene qualcosa c'é. Mentre una signora fa la strada dell'esposizione con me, senza conoscermi e facendomi per questo sorridere, e spesso dice: Sta' cosa non la trovo per niente bella! E tu intellettuale dirai: "Vuole però dire qualcosa!" Bhè, però la dice veramente male!"; ecco mentre la signora mi distrae, scopro alle Corderie l'opera di Gerard Byrne, con i suoi video in Super 8 e le sue foto, in un lavoro che evoca il mostro di Loch Ness. E' il suo un gioco sulla memoria collettiva, che approfitta della nostra conoscenza del mito del mistero del lago e gioca con esso creando suggestioni, piccole ansie e angoscie nella frenesia del vedere e cercare qualcosa che l'artista non vuole e non può, né potrebbe mostrare. Molto interessante. Assieme a questo, alle Artiglierie trovo il padiglione più affascinante: dove si gioca con la sedimentazione della memoria e della materia. Il padiglione è quello dell'America Latina, dove vedo queste tre piccole boccette di essenza , dove ogni essenza non è che l'evocazione di un attimo della vicenda di un uomo, di un eroe, di un fatto del popolo, prima che ancora della storia tutta: nelle bottigliette giace l'essenza delle storie di Antonio Maceo, di Ignazio Agramonte e di José Marti. L'artista è Reyner Leyva Novo e l'opera si intitola Los Olores de la Guera, 2009. Il mio l'ho fatto. Ho vinto qualche cosa? Buona scelta a tutti! (in foto, la Maddalena di Piero nel Duomo di Arezzo)

giovedì 4 agosto 2011

Un' ultima canzone per l'estate

Come ogni estate si cerca di sfruttare alcune delle mille (oramai) occasioni offerte dagli organizzatori di eventi musicali in Italia. Andare in tour: anche per i cantanti più affermati è quasi un obbligo per guadagnare bene, visto che di dischi (opps! CD, MP3, ecc., insomma quelle cose impronunciabili lì...) se ne vendono sempre meno. Alcuni scaricano, altri duplicano, certi comprano in edicola; insomma un casino! Poveri cantanti, costretti a farsi un mazzo tanto, in cambio di due lirette (euri, pardon!). Comunque vada, io i miei quattro (magari!) soldi ai nostri prodi musicanti li concedo sempre. E quest'estate ho scelto così. Prima tappa ad inizio luglio (06/07/2011), toccata e fuga a Ferrara per il concerto di PJ Harvey (poteva mancare?). Lei è come sempre un portento, con quella voce incredibile che si ritrova e quel suo fare lunare e distaccato. Alle sue spalle i soliti John Parish, Mick Harvey, oltre al bravissimo batterista Jean Marc Butty. Sembrano in dieci. Il suono non è calibrato benissimo, esageratamente elevato, ma in alcuni pezzi l'emozione sale alle stelle; fino a quando Polly si mette a ballare da sola sul palco e la piazza sembra svanire, tanta è la concentrazione della gente sulla sua figura: una dea. Nel tardo pomeriggio, durante il sound-check, nell'ascoltarla da lontano, tutti si chiedevano se non fosse già il concerto; da oltre le transenne molti fans applaudono la sua esibizione e lei saluta con la mano. Il giorno 20 luglio sono a Sesto al Reghena; suona Anna Calvi. Nome italiano, ma lei è inglese. Si presenta sul palco in trio (chitarra, batteria e...strumenti vari, suonati da una ragazza bravissima). Ero curioso. Il disco omonimo è interessante e volevo saperne di più. Bene, lei è stratosferica. Intervalla canzoni alla Jeff Buckley, intonandole con una progressione molto particolare, molto anni 'Sessanta, che mi ha ricordato (non solo per le distorsioni alla chitarra), l'atteggiamento degli Experience di Jimi Hendrix. Presenta alcune canzoni con una vocina minuta, per poi sfogare un vocione maturo e soul mentre canta. Cinquanta minuti secchi di concerto. Tutti delusi: perché cinquanta minuti sono troppo pochi; il concerto troppo breve; lei non ha repertorio, ecc.. Cinquanta minuti bastano, perché lei ti stende.

Il 22 luglio c'è il concerto di Franco Battiato in Piazza Unità a Trieste. La serata è un greatest hits, non c'è canzone fuori posto; lui, ultrasessantenne, si concede, balla con le sue scarpe da ginnastica su completo da anziano siculo; si diverte, passando in rassegna un repertorio infinito. Ha cantato tutto quello che vorresti sentire, tranne Bandiera Bianca. Un ragazzo ogni tanto si alza tra il pubblico seduto in platea e cerca di convincere tutti ad alzarsi: prova una volta, due, tre, infine non si trattiene più; finisce tutti sotto il palco a cantare, come in una sagra di paese per presunti intellettuali andati a male. Dopo due ore di concerto il cantante riesce sul palco per l'ultimo bis; mette a tacere tutti con la frase: "Patti chiari e amicizia lunga: the last song" e parte con Centro di gravità permanente. Uno spasso. Stop, aspettando un'ultima canzone per l'estate.