mercoledì 10 marzo 2010

Cose di tutti i giorni..

Domenica 7 marzo ero al Festival del Fumetto (BILBOLBUL 2010) di Bologna. Capatina veloce. Il Festival ci ha abituato a tanti incontri interessanti con gli autori e a mostre di rilievo. Personalmente la cosa più interessante l'ho vista a chiusura di giornata, quando ormai la saturazione stava per brindare con la stanchezza. Emilio dell'associazione Hamelin, che cura il Festival, ha messo a confronto sullo stesso palco due autori interessanti: il fumettista Paolo Bacilieri (Zeno Porno, Barokko, Napoleone, in ordine sparso e incompleto), veronese d'origine, classe '65, ma stanziale a Milano, e lo scrittore Nicola Lagioia, barese, classe '73. Emilio dice di aver trovato, leggendo le loro opere, varie analogie, tali da consentire un dialogo attorno ad un tema non ben definito, ma che alla fine è ben riassunto dal titolo di un libro di Bacilieri, La magnifica desolazione. E' un dialogo quello a cui si è assistito incentrato sul paese reale, l'Italia, sulle disillusioni che nascono da aspettative non sanate, sulla nostalgia generazionale, che diventa malinconia e quindi rabbia celata. Lagioia è abile oratore: non dice nulla a caso, propone cose su cui ha riflettuto a lungo e che dice probabilmente uguali a quanto proposto ad altri incontri; Bacilieri sembra più libero, divertito dalle parole del barese e nello stesso tempo favorevolmente colpito, che si possa finalmente partecipare ad un incontro sul fumetto che non risulti autoreferenziale, ma più funzionale al pubblico, per dare degli spunti di lettura a situazioni, quelle reali che ci circondano, sulle quali c'è poco da scherzare. Lagioia in particolare ha appena pubblicato un libro, Riportando tutto a casa, edito da Einaudi, ambientato nella seconda metà degli anni '80 e incentrato sul confronto che in quegli anni si impone tra "potere e spettacolo". Ascoltandoli mi è venuta la voglia di prendere qualche appunto e così ora posso riportare, senza precisione da cronista, qualche frase, qui parafrasata e sintetizzata per semplicità:
"L'Italia è un incubo interessantissimo da affrontare. Vista da fuori è come un quadro di Bosch con molti jingle in sottofondo (Lagioia)"; "Non siamo estranei e incolpevoli alle cose: come si chiedeva Gobbetti, 'il fascismo è la responsabilità di uno o due o tre o è l'autobiografia di una nazione?' (Lagioia)"; "Il mio paesaggio dell'infanzia, quello della campagna veneta, è un paesaggio in continua evoluzione. Nasce l'esigenza con il disegno di bloccarlo. E' l'unica maniera di vendicarsi sul fatto che lo stiamo irrimediabilmente cambiando. E' operazione da Settecento pittorico, tipo Bellotto con la camera ottica, ma al contempo è gesto emotivo, derivante dalla paura per la perdita (Bacilieri)"; "Il fatto di Vermicino (il piccolo Alfredo), ha imposto per la prima volta, grazie e a causa della TV una sovrapposizione tra paesaggio reale e realtà immateriale (Lagioia)"; "Oggi neghiamo ai nostri figli e a noi stessi la possibilità di un'esplorazione della città. Abbiamo rinunciato alla possibilità di perderci, scavalcati dagli impegni continui ed insistenti: la scuola e poi la piscina, il corso di inglese, ecc.. Ma il paesaggio va vissuto, non va ingabbiato. La poetica del paesaggio è la ricerca di uno spazio urbano che ancora consenta qualcosa, di emotivo forse (Lagioia)"; "Parlare il linguaggio dell'avversario ti trasforma già nell'avversario (Lagioia richiama gli anni' 80, l'esperienza del Drive-In televisivo, delle frasi fatte, ripetute e tradotte a slogan)"; Il rapporto con mio padre (le generazioni passate) è quello con il "padre-gigante", con l'italiano Homo Faber, con il quale non puoi competere, nè forse nemmeno confrontarti. Vi è una reale impossibilità del competere con la generazione precedente, anche dal punto di vista emotivo, anche nelle aspettative: consegnarci un mondo (un paese) migliore (Bacilieri)"; "Per avere lucidità oggi devi recidere i legami d'affetto. Orson Wellws, ne La Ricotta di Pasolini dice: 'L'Italia è la cornice più ignorante di tutta Europa'. E' la cultura di molta imprenditoria, che pensa solo al soldo, al produrre, e, per mancanza culturale, per eccesso di pragmatismo, non è capace nemmeno di godere di quanto produce (Lagioia)"; "L'edonismo reganiano degli anni '80 non è passato mai del tutto. Puoi rifiutarlo, ma infondo ne sei parte, in quanto generazione che l'ha vissuto. Ne sei infettato. Sei un mutato. Ne sei immerso, anche involontariamente e ciò è innegabile (Lagioia)"; "Il contagio, la mutazione, derivante dall'aver condiviso un qualcosa, ci porta a vedere le cose come da dentro un acquario, in maniera, cioè, non neutra o indisturbata. Le storie devono avere una ricchezza che sottolinei il distacco. (Bacilieri)"; "L'autobiografia non è la rappresentazione di qualcosa che mi/vi è successa, ma di qualcosa che si è meditato (Lagioia)".
Ecco questo è un resoconto, piccolo, superficiale ed incompleto. La cosa che più mi interessa sottolineare è che ero ad un Festival di Fumetti, ma non si è parlato nè di Topolino, nè della Pimpa. Oddio anche, ma non solo. E credo che per molti questa possa essere una sorpresa. Per il resto: quanto detto mi trova perlopiù in accordo, in particolare che per noi, che attraverso gli anni'80 ci siamo passati, vale quanto detto, ovvero che ne siamo restati travolti, "mutati". Oggi spesso li sento rimpiangere, specie da chi non li ha compresi a fondo. Sarebbe bene non confondere la nostalgia per una goventù passata con revisionismi azzardati.