giovedì 22 luglio 2010

Cos'è cultura? (Parte 1 di 1000)

Stanno infuriando scambi mediatici di vasta portata intorno ai tagli operati alla "cultura" in Italia, praticamente per tutti i settori e diramazioni: circuito arte, cinema, spettacoli ecc..

Tutti gli operatori sono in tumulto, per i finanziamenti pubblici ridotti al lumicino, per la messa in discussione di molte iniziative che da quei finanziamenti dipendevano. C'è allarmismo, c'è molta paura, visto che da quei fondi dipende l'attività di molti operatori e di tutte quelle persone che vi gravitano attorno: molti volontari, ma anche molti che da tutto quel giro di denaro trovano anche la loro sacrosanta "pagnotta" giornaliera.

A destra e manca si parla della perdita (sul piano culturale) derivante da tali tagli, dell'importanza che questo o quell'evento aveva nel mantenimento di una corretta "politica culturale" in Italia.

Scrissi già alcuni anni fa tra le righe di un mio racconto quanto poco credessi nel ruolo dei cosidetti "eventi", forse anche in quelli che io stesso a volte mi mettevo a progettare e organizzare. Io credo che, adesso che i soldi apparentemente sono minori di prima, andremo verso una concentrazione del denaro pubblico intorno a un numero minore di cose, di situazioni. Personalmente nè allora, nè adesso credo che questo possa essere considerato un male in senso assoluto. Io credo che il sovraffollamento di occasioni culturali avuto dal 2003 in poi, spesso mal gestite, mal comunicate o a volte volutamente nemmeno comunicate, tanto si ritenevano rivolte a "gruppi di ascolto" o "di interesse" ristretti, non costituissero e costituiscano in alcun modo una condizione ottima per la cultura. Anzi.

Credo però pariteticamente che la concentrazione di fondi su poche cose generi limitazioni inevitabili alla pluralità culturale. Mi viene da chiedere ad esempio: Caravaggio? Ma esiste solo Caravaggio? Ma se fino a qualche mese fa alla chiesa di S. Luigi dei Francesi a Roma (per ammirare il ciclo di S. Matteo) non ci andava nessuno!

Purtroppo in Italia esiste un'unica cultura accettata, che è la cosidetta "cultura di massa", quella che fa i numeri, che produce i denari. Quando noi con ARTeFUMETTO facevamo gli allestimenti nessuno ci chiedeva: "Ma la gente apprezza? Ma le persone sono contente di quello che hanno visto?". No. Ci chiedevano: "Quanti?" E con le logiche dei grandi numeri è inevitabile che la cultura passi per i grandi soldi. Quindi l'evento sempre e comunque.

D'altra parte, come già sopra anticipato, sia ben chiaro che non apprezzo nemmeno chi si coltiva l'orticello a casa sua: si fa i propri interessi vendendo cultura ai margini, disperdendo in mille rivoli inutili soldi non propri, ma di tutti.

Io penso che si debba partire da qui, chiedersi cos'è "cultura", cos'è che ci rende colti? Ecco il primo nodo. Cultura non è per me necessariamente ciò che ci rende colti. E' invece ciò che ci rende "sensibili" alle cose, che crea in noi (esseri, senza esclusioni di ceto e di classe, nati gretti, ma con delle propensioni innate) delle aspettative inconsapevoli, delle suggestioni che diventano poi epifaniche del nostro essere e del nostro agire. Cultura per me non è leggere un libro, non è vedere una mostra, non è andare a teatro, non è andare al cinema, non è ascoltare musica (rock, jazz, classica, ecc). Cultura è un percorso, una ricerca che passa anche per quelle attività sopra ricordate, ma che da sole, "di per se stesse" non appaiono sufficienti. Solo all'interno di quel percorso non rettilineo, ma fatto di scarti, di ritorni indietro, di prove sul campo si nasconde la prassi culturale. Ecco che tutto appare di nuovo utile, perché effettivamente tutto stimola, ed essendo noi tanti esseri diversi (anche, ancora oggi, anzi forse più oggi che ieri, in ceto e classe purtroppo) non può esistere lo stimolo migliore o ottimale. Ecco che ciò potrebbe riportare a rendere legittimo il sovraffollamento, il tutto per tutti, ecc.

Ma attenzione vi è un limite, un confine. Esso sta nel ruolo che ha chi fa cultura. Non solo i cosidetti "attori", i "protagonisti" (chi va in scena cioé), ma chi opera dietro le quinte. Quelli che a quei fondi che oggi vengono meno stanno e starebbero aggrappati come le mosche alla lampadina (e sono gentile...). Mi chiedo se qualche volta questi si siano mai chiesti o si chiedano se stanno operando suggestioni, se stanno promuovendo ricerche personali o se stanno fungendo solo da attori economici. Un giorno Mario Monicelli alla presentazione di un libro di fumetto, avente come riferimento un suo soggetto mai realizzato, chiese all'autore: "Ma poi sta cosa si vende?" La pragmaticità dei nostri genitori. Con la loro logica del quotidiano.

Oggi, per gli operatori a cui alludo non si tratta della logica del "pane", ma della logica del profitto. A loro oggi chiederei: "Ma per un momento solo avete mai veramente ragionato senza pensare al soldo? Non solo "durante la cosa", ma anche "prima della cosa". Prima di farla questa cosa. Una qualsiasi cosa. Perché, mi chiedo ancora, oggi, all'interno del nostro sacrosanto gridare ai tagli, ai soldi, alle cose, vi è ancora qualcuno, anche uno solo, uno piccolino, che guardi alla cultura non sempre e solo come ad un diritto, ma anche come ad un dovere?

Perché, stiamo attenti, la società si rende migliore soltanto quando si ragiona a doveri e solo poi, solo poi, a diritti.