Se scrivo su questo blog la parola "elezioni", aumento l'attenzione di chi mi legge? E' più utile esprimere un pensiero, anche se strampalato, oppure tenerselo dentro e trasformarlo in dubbio? Di questi giorni pre-elettorali non ci resterà a breve nulla in mente, perché le certezze dei più valgono molto meno dei dubbi dei pochi; inoltre la comunicazione tutto amplifica e tutto distrugge, nel breve tempo in cui i fatti accadono e si dimenticano. Ciò che è chiaro è che tra pochi giorni ancora una parte della storia italiana ci passerà vicino, assimilandosi al passato già scritto. Ancora una volta comprenderemo di aver aggiunto solo un foglio di testo nel libro sempre incompleto della Storia. La parola che più ho sentito in questi giorni svilenti è "lavoro". La Costituzione Italiana recita all'art.1, tra i Principi fondamentali: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro". Nei discorsi della gente ritorna spesso il detto: "Il lavoro nobilità l'uomo". A margine: "manca il lavoro". Io credo che in queste ore pre-elettorali preferirei sentirmi dire: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro bene e adeguatamente remunerato"; e in calce: "Il lavoro pagato in maniera adeguata, nobilità l'uomo, e lo rende sereno". Infine: "il lavoro non manca, mentre mancano invece i soldi per far sì che il lavoro garantisca all'uomo una vita degna e onesta". E' incredibile come sia vasto il paniere delle parole a nostra disposizione e come basti una virgola mal posta per stravolgere il senso delle cose e trasformare una speranza in uno scioglilingua. Ed è incredibile quanta gente brava a scombinare le virgole ci sia in giro.
venerdì 22 febbraio 2013
sabato 16 febbraio 2013
I comunicatori e me
Avete mai notato come tradurre un concetto, un semplice pensiero, in un testo produca un allontanamento involontario rispetto il centro stesso del suo senso. E' come se nel passaggio dal cervello alla mano vi fossero migliaia di filtri che distorcono il nucleo portante di una riflessione, sino ad arrivare al punto che nel rileggere la parola/frase/pagina appena scritta si ha la sensazione di averne perso la paternità. Non resta allora che guardare questa creatura da lontano, con distanza ed un certo smarrimento. E' solo dei comunicatori l'"arte" di saper superare questo ostacolo invisibile; quelli sanno tradurre a parole dette e scritte, con precisione, il centro del proprio pensiero. Sono i comunicatori "bestie" realmente rare, che inevitabilmente finiscono per essere onnipresenti ovunque e ricercati. Negli ultimi tempi mi è capitato di leggere varie cose di Maurizio Ferraris, da quelle divulgative che pubblica in allegato ai quotidiani, a quelle più prettamente personali e scientifiche, sino a suoi pensieri raccolti da altri durante conferenze o lezioni pubbliche. Un gran bel leggere, anche se le mancanze personali (mie intendo) inciampano a volte nell'ostacolo di un termine, che genera il dubbio a fronte di rimandi che imporrebbero ben altre attenzioni al pensiero filosofico contemporaneo in particolare. Così prendi uno di questi libriccini curati da Ferraris per il quotidiano la Repubblica e, nel riassunto del riassunto qui contenuto, trovi riflessioni molto interessanti, peraltro difficilmente raggiungibili se dovessi, da mero curioso, aspettare di avvicinarmi a tutti i testi e gli autori là citati. Così ho trovato molto interessante rileggere alcune cose dell'Hegel dell'Estetica, allorché scrive "non abbiamo più alcuna necessità di dare espressione a un contenuto nella forma dell'arte". Ecco, suggerisce Ferraris che l'opera d'arte perde la sua funzione di veicolo privilegiato per esprimere contenuti. Non è più l'arte a definire i nostri punti di vista sul mondo e anche su noi stessi. E Ferraris riprende Arthur C. Danto (quello de La trasfigurazione del banale, con la consapevolezza che basta un uomo che la consideri tale, perchè l'opera d'arte sia tale), allorché dice che "l'importanza storica dell'arte sta ormai solo nel fatto di rendere possibile e importante la filosofia dell'arte". Ancora da Hegel (da La fine dell'arte): l'arte "definitivamente vaporizzata in una nuvola di pensiero su se stessa". Insomma l'arte che non precede il pensiero, ma lo subisce: non prefigura, ma figura e basta: l'arte che non corre, ma si gode il divano. E poi, ancora dalle parole di Danto e di Ferraris, la fantastica comprensione dell'essere il museo cornice per l'opera d'arte e infine anch'esso centro dell'attrativa estetica al pari dell'opera; il museo che diventa per l'opera ciò che la chiesa è per la reliquia: da una parte ceri, santini, le tele o gli affreschi, le sculture, gli odori, dall'altra gli shop, con l'oggettistica reliquiale (matite, gomme, portachiavi marchiati) e le copie seriali figlie dell'"epoca della riproducibilità tecnica" di Walter Benjamin.
Cambio di scena, incontro lo scrittore (premio Bancarella 2009) e sceneggiatore televisivo, nonché criminologo, Donato Carrisi a Pordenone, dopo un incontro/comizio tenuto davanti un mucchio di studenti, da prima solo contenti per aver saltato l'ora di lezione e desiderosi di andarsene per i fatti propri al più presto, mentre più tardi saranno completamente assorti e incantati dalle parole del nostro; nel mezzo lui, che inizia dicendo che avrebbe finito quella comunicazione facendoci tutti cantare, e continua poi buttando sul piatto un suo presunto fatto personale (storie di uomini e donne) che avrebbe trovato conclusione solo parimenti all'incontro. Insomma, tre minuti tre di parole e una platea in mano. A Carrisi mi viene da dirgli nell'incontrarlo a margine che è un bravo comunicatore. Lui mi stringe la mano e ringrazia. Mi viene anche da aggiungere: "Non so, in realtà, se sia un complimento!" Mi ristringe la mano più forte e mi ringrazia di nuovo, ma per salutarmi. Per me Carrisi è un grande. Non so se sapete cosa significa tenere seduti duecento studenti in preda agli ormoni (lo facemmo una volta io e Giuseppe Palumbo, durante un incontro a Majano, e mi sembrò, allora, un miracolo), parlando di fatti di cronaca criminale, di storie, di tutto. Per me Ferraris è anche un grande, ha fatto il punto, in un libretto di neanche cento pagine dal titolo Arte. Perchè certe cose sono opere d'arte?, su temi che mi avrebbero costretto a riprendere letture importanti, difficili, che avrei poi dovuto correlare, con riflessioni critiche alte di cui forse sarei stato capace, ma forse anche no. Insomma eccomi qui, smontato nel pensiero di un testo e nel ricordo di un incontro; che hanno frustrato ampiamente le mie velleità e i miei entusiasmi nel fare ricerca in maniera autonoma, lasciandomi a bocca aperta, così come gli uccellini appena nati nel nido, a farmi imboccare passivamente e ingrassare. Odio la televisione per questo. Mi turba il web per questo. Perché entrambi non mi stimolano, ma mi permettono di tenere la bocca aperta e lasciare che le cose ci cadano dentro. E non sai se ciò che cade sia utile o "insidioso"; e non sai se la fatica che facevi da studente per scavare nei libri le cose e trascriverle, rimettendoci nel fisico per lo sforzo fatto, avessero a posteriori realmente un sapore amaro, invogliandoti a sputare. A volte il dolce inganna.
giovedì 24 gennaio 2013
La vita è troppo contemporanea
Interessante scoprire che molti abbiano letto il post precedente come un'affermazione di intenti e non abbiano colto (almeno in alcuni passaggi) una voluta ironia di fondo. Che sia l'abitudine a sentire cose campate in aria? Partendo da quelle note di fine anno si arriva a scriverne ora qualcun'altra per approfondire alcuni degli spunti evidenziati.
Partiamo da qui. Sapete che i cittadini degli Stati Uniti possono proporre delle petizioni sul sito della Casa Bianca e farle votare (leggi raccolta consensi) da altri cittadini? Tra queste interessante è la "petizione all'amministrazione Obama per garantire risorse e finanziamenti per l'inizio della costruzione della Morte Nera entro il 2016". Sì, la Morte Nera, quella di Star Wars di George Lucas! Le motivazioni della petizione sono (tradottemi da Alessia al volo): "Concentrando le risorse per la difesa in una piattaforma spaziale e in un sistema di armi come la Morte Nera, il governo può stimolare la creazione di posti di lavoro nei campi della costruzione, dell'ingegneria, dell'esplorazione spaziale e altri, e rafforzare la nostra difesa nazionale". Sono oltre 35.000 i firmatari della petizione a partire da primo, tale John D. di Longmont (Colorado). Ora in Italia a fronte di una petizione del genere il governo ci avrebbe mandati a quel paese, e infatti è successo per petizioni ben più importanti e concrete, oppure saremmo finiti su qualche settimanale, tipo L'Espresso o Panorama, nella pagina delle "curiosità"; invece sempre da sito ufficiale della Casa Bianca, la risposta è arrivata a fronte del numero importante di firmatari, da Paul Shawcross, capo della sezione Scienza e Spazio all'Ufficio di Management e Budget della Casa Bianca. Le risposte sono state tre, geniali: 1) La costruzione della Morte Nera è stata stimata più di 850 milioni di miliardi di dollari. Stiamo lavorando per ridurre il deficit, non per espanderlo; 2) L'amministrazione Obama non sostiene pianeti che esplodono; 3) Perché dovremmo spendere una quantità infinita di dollari dei contribuenti per una Morte Nera con il difetto fondamentale che potrebbe essere fatta esplodere da una navicella spaziale guidata da un solo uomo?.
Ora, queste risposte, sarcastiche, certo, nascondono però alcune verità: la stima del costo è stata fatta da un gruppo di studenti del Collage of Business and Economics della Lehigh University; qui gli studenti, come in altri contesti similari di studio americani, sono chiamati ad affrontare verifiche di stima, di fattibilità economica e di ricerca scientifica, anche su realtà assolutamente fantasiose, stimolando la ricerca e l'abitudine a svolgere considerazioni pratiche. Questa ricerca, apparentemente campata in aria, produce consapevolezze tecniche. produce indirettamente "innovazione" e "crescita". Vi invito ad andare nelle nostre rinomate università e verificare il livello della ricerca; a verificare la qualità della spesa nella ricerca. Vi invito poi a confrontarvi con il livello medio culturale tecnico-scientifico e umanistico degli studenti universitari italiani e poi, ma qui si cade nel banale, del ruolo che questi assumono nella società culturale e produttiva. Per capire ciò, basta entrare in alcune delle aziende italiane, quelle che magari producono anche per l'esportazione all'estero, che ne so, quelle a contratti prevalentemente metalmeccanico o chimico, che anche producono componenti di livello medio o medio/alto, e contare sulle dita, di una sola mano, il numero di laureati assunti. Bene, come possono queste realtà imprenditoriali, oggi in crisi di liquidità ecc., affrontare la sfida della crescita e soprattutto la sfida proposta dai politici per garantire la crescita per il tramite dell'"innovazione"? Come pensano di farlo? Affrontando l'"innovazione" con la sola esperienza operaia del tempo che fu, con format di archiviazione, di elaborazione e promozione che appartengono al mondo di "ieri"; con strategie manageriali del "taglia e incolla"? E' un problema che parte dall'istruzione, dalla scuola e dall'università, per il garantismo a cui è costretta la prima e per la finta cultura tecnica a cui si è destinata la seconda. Per l'assenza di cultura che accompagna la maggioranza del mondo imprenditoriale; non cultura scolastica, ma cultura intellettuale. Ma non è poi in fondo proprio questa cultura intellettuale, "umanistica" che l'università vuole indebolire e dimenticare? Provate a leggere i piani di studio delle facoltà italiane per informarvi su ciò. E' un circolo chiuso, dove tutto è lasciato alla chiacchiera da bar, al commento sulla partita di calcio, al ricordo della bistecca mangiata la sera prima e naturalmente bagnata della "cultura" del vino.
Un personaggio del libro "Cosmopolis" di Don Delillo (uscito in Italia nel 2003 per Einaudi e dal quale è stato poi tratto anche un film, non eccezionale, da David Cronerberg nel 2012), dice tra le righe una frase importante: "La vita è troppo contemporanea". Sì, è così, la vita vive troppo nell'oggi per affrontare con dovuta distanza, le questioni del presente. La vita rincorre, è la storia a trarre le conclusioni. Così è forse inutile sperare di affrontare nell'oggi la complessità contemporanea. Ci basti vivere, lasciandoci nelle mani dell'improvvisazione di chi ci confonde con presunte certezze.
P.S. Sapete quanti sono gli architetti negli Stati Uniti (cinquata stati e un distretto federale)? Sono 50.000. Sapete quanti architetti ci sono in Italia? Sono 150.000. Senza contare poi i geometri. Quindi: perchè oggi si fatica a lavorare in Italia?
domenica 30 dicembre 2012
L'"agenda Roby"
Vivi! Nemmeno i Maja hanno potuto e saputo ipotizzare una fine a
questo nostro sconclusionato mondo. Niente da fare, toccherà a noi farlo da
soli, senza nemmeno la possibilità di deresponsabilizzarci di alcunché. Avevamo
questa occasione della profezia e invece è di nuovo tutto nelle nostre mani. Ci
tocca lavorare insomma. Quindi niente chiusura del blog e ci si rimbocca le
maniche! Questo post di fine anno non può essere dunque solo un resoconto (che comunque
c’è), ma anche un atto progettuale di lungo corso, perlomeno di corso annuale.
Ecco quindi l’”agenda Roby”, che, non me ne voglia alcun futuro candidato
premier, tenta di risultare più concreta di quanto si sta delineando in giro. Primo
problema: basta un’agenda sola? No, perché mi sembra che i temi siano così
tanti che l’agenda che mi hanno dato in banca per motivare il mio essere
correntista fidelizzato risulti alquanto ridotta rispetto quelli. Secondo
problema: ma sono veramente così tanti i problemi? Quindi, punto uno, scegliere
la strada della sintesi; punto due, essere chiari. Dunque: 1) essere sintetici
e coincisi: Questo pone già una gran distinzione rispetto i più. Mi pare cosa
buona porre a monte di tutto un principio di stampo costituzionale a cui
guardare per salvarsi da ogni deviazione dal cammino; 2) non usare i
termini “morale”, “sostenibile” e “innovazione” per almeno sette mesi su
dodici. E’ questa una condizione veramente complessa, che mi porta a voler già
in questo momento recedere dall’impegno che mi sono dato, ma con tenacia provo
a superare il momento terminologico difficile, posto dal secondo principio
costituzionale; 3) non fare nomi; qui si rasenta l’impossibile, i nomi escono
da soli dalla bocca e dai pensieri; trattenersi è cosa ingrata, ma fondamentale
per fare un discorso utile; 4) non dare la colpa a terzi, anche se questi terzi
rubano (e non ti rubano solo le cose, ma il pensiero, le speranze, la serenità
quotidiana) e non tentano nemmeno di nascondere le mani. Ok, rinuncio, non ce
la posso fare: dire che la colpa è anche un po’ mia, che loro sono così perché
io non faccio nulla; che “loro” sono loro perché “io” sono io. Responsabilizzarmi
e produrre un pensiero autonomo, non omologarmi: è tremendo ammettere di poter possedere
gli strumenti per essere guida del proprio destino, perlomeno è stancante; corollario
fondamentale: dubitare; 5) credere che un’economia culturale sia possibile. Come
posso convincerli se non convinco me stesso. Se non mi convinco che “basta un
poco di zucchero...lo stretto indispensabile…” (pot-pourri), se non ammetto cioè che ho
impostato la mia esistenza più sul bisogno di cose che di slanci. Se non supero
questa deriva come posso ammettere che una politica culturale può anche
rinunciare “ai rinfreschi”, “agli aperitivi” e fondarsi sulla ricerca di per sé.
“Saprò” ancora guardare un quadro e goderne senza aggiungerci anche vicino
della musica e promuovere intorno ad esso una performance? Ma ancora prima “vorrò”
che sia così?; 6) rinunciare a pensare che “ricapitalizzazione delle banche”, anche
a fronte di governance superiori capaci al contempo di finanziare e regolare il
sistema, risulti uno strumento palliativo, utile a nascondere e tutelare deficit
di capitale che gli stess-test potrebbero facilmente evidenziare; e che quindi
le banche non ci siano amiche, e che quindi queste si facciano un po’ troppo i
fatti loro, e che quindi affrontare con decisione questi interessi sottesi debba,
oggi, divenire anch’esso il principio costituzionale “condicio sine qua non” per
alimentare le speranze. Corollario: dimenticare che la regolazione del credito possa
essere uno strumento di controllo del potere e di tacitazione dinanzi alle evidenze; 7) collaborare: non vedersi come unici, come singolarità; corollario:
“la singolarità ha senso, ma la collettività ha significato”; 8) continuare a
guardare fuori.
Ecco questa è “l’agenda roby”: non votatemi, ve la regalo, io
sono solo un architetto.
Ed ora il resoconto 2012, fatto di gusti personali, di “mi piace,
quanto mi piace!!”.
L’immagine di apertura è un’omaggio al lavoro dell’Associazione
Culturale ARTeFUMETTO di Monfalcone, che in queste settimane compie il suo
decennale. Ai collaboratori, che potrei nominare, alle persone a cui siamo piaciuti
per quello che abbiamo fatto, a chi pensa a noi quando sente parlare di “fumetto”,
agli autori con cui si è condotta una piccola fetta della strada, a tutti
questi un ringraziamento e a coloro che sono diventati lungo la via degli amici
un abbraccio.
The best 2012 is…?
Miglior disco straniero: Cat Power, Sun, Matador;
Miglior disco straniero: Cat Power, Sun, Matador;
Miglior italiano: Malika Ayane, con il pezzo Tre cose, da
Ricreazione, Sugar Music;
Miglior novità musicale: Alt-J, An Awesome Wave;
Miglior concerto: Herbie Hancock, Vienna, Wiener Staatsoper, 05 luglio 2012 (avrei dovuto dire Bruce Springsteen a Trieste l’11 giugno, ma avrei scelto di pancia);
Miglior testo lungo (narrativa-saggistica-tutto): Emanuele Trevi, Qualcosa di scritto, Ponte alle Grazie, Milano;
Miglior fumetto-graphic novel: Cyril Pedrosa, Portugal, Bao Publishing;
Miglior novità musicale: Alt-J, An Awesome Wave;
Miglior concerto: Herbie Hancock, Vienna, Wiener Staatsoper, 05 luglio 2012 (avrei dovuto dire Bruce Springsteen a Trieste l’11 giugno, ma avrei scelto di pancia);
Miglior testo lungo (narrativa-saggistica-tutto): Emanuele Trevi, Qualcosa di scritto, Ponte alle Grazie, Milano;
Miglior fumetto-graphic novel: Cyril Pedrosa, Portugal, Bao Publishing;
Miglior fumetto-franco-belga): Camille Joudy, Rosalie Blum, Comma 22 (tre volumi da leggere insieme);
(N.B. lo scorso dicembre mi lamentavo di come molte delle cose
lette nel 2011 apparissero “mancanti”, bene se andate a vedere cosa è stato
pubblicato in quel 2011 capirete quanto “piccolo” sia il “grande” di questo
2012; Trevi, Pedrosa e Jourdy meritano una nota a parte perché appaiono fuori
dai generi e dalle convenzioni linguistiche, stilistiche e grafiche e sono
oggettivamente bravissimi, indipendentemente dai gusti specifici);
Miglior illustrato: Pia Valentinis, Mauro Evangelista, Raccontare
gli alberi, Rizzoli, e Rebecca Dautremer, Philippe Lechermeier, Diario segreto di Pollicino, Rizzoli;
Miglior mostra: Elliott Erwitt-Retrospective, alla KunstHaus di Vienna;
Miglior artista (360°) scomparso: Koloman Moser, che sapeva già immaginarsi Andy Warhol cinquant’anni prima dell’americano (visto qua e là);
Miglior artista (360°) contemporaneo (vivente): Ascanio Celestini (niente di nuovo, però…), visto in giro con Pro Patria;
Miglior film: Jason Reitman, Young Adult;
Miglior programma televisivo: non pervenuto;
Premio "Mi hai veramente insegnato qualcosa ed è merce rara": Franca Valeri (vista a PordenoneLegge, settembre 2012);
I ringraziamenti per il 2012.
Ad Alessia, Gioia e Giuditta (per motivi del tutto diversi tra loro).
Miglior mostra: Elliott Erwitt-Retrospective, alla KunstHaus di Vienna;
Miglior artista (360°) scomparso: Koloman Moser, che sapeva già immaginarsi Andy Warhol cinquant’anni prima dell’americano (visto qua e là);
Miglior artista (360°) contemporaneo (vivente): Ascanio Celestini (niente di nuovo, però…), visto in giro con Pro Patria;
Miglior film: Jason Reitman, Young Adult;
Miglior programma televisivo: non pervenuto;
Premio "Mi hai veramente insegnato qualcosa ed è merce rara": Franca Valeri (vista a PordenoneLegge, settembre 2012);
I ringraziamenti per il 2012.
Ad Alessia, Gioia e Giuditta (per motivi del tutto diversi tra loro).
E infine, a seguire, un calendario fotografico dell’anno in
chiusura (con facezie varie ed eccezioni).
Gennaio 2012 - Tour con Walter Chendi per promuovere SessantaQuaranta |
Febbraio 2012 - Monfalcone. Il Canale irriguo ghiacciato |
Marzo 2012 - Bologna. La fila per la visita al feretro di Lucio Dalla |
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Aprile 2012 - Venezia. Con gli studenti del corso IUAV di Restauro |
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Maggio 2012 - Caporetto.Tour sulle tracce della Grande Guerra |
Luglio 2012 - Vienna. Sulle tracce della Secessione |
Luglio 2012 - Grado. Sotto il palco del concerto di Morrisey |
Agosto 2012 - Roma. Da una foto al Pantheon nasce la locandina di ETRA |
Settembre 2012 - Treviso. Alessia fa da traduttrice per Colin Wilson |
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Settembre 2012 - Pordenone. La grande Franca Valeri |
Ottobre 2012 - Verona. Al concerto di Adriano Celentano al costo di € 1,00 |
Novembre 2012 - Lucca. I quadri "impossibili" di Laura Zuccheri ai Comics |
![]() | ||||
Dicembre 2012 - Monfalcone. Silvia Ziche e Vanna Vinci a MOREisnotLESS |
Non ho dimenticato giugno. E' stato un mese mentalmente dedicato per intero al Boss. Grazie Daniele!
giovedì 20 dicembre 2012
This is the end...Of our elaborate plans, the end.
I più dicono che domani finisce il mondo.
Volevo così essere sicuro di non lasciare cose incomplete prima di andare.
Per questo chiudo ufficialmente questo blog. FINE
Volevo così essere sicuro di non lasciare cose incomplete prima di andare.
Per questo chiudo ufficialmente questo blog. FINE
P.S. se poi non succede nulla, magari lo riapro. Forse sì, forse no.
mercoledì 21 novembre 2012
Sbagli
Mi pare, nel guardare fuori, che ci siano sempre troppe persone che non si arrendono al fatto che la gente non va capita, bensì ascoltata. Voler ricondurre di continuo ogni atteggiamento esterno ad una personale sintesi snatura la stessa grandezza del pensiero umano; l'ascolto passivo facilita invece aperture e condivisioni.
domenica 11 novembre 2012
Appunti di viaggio
A posteriori del post precedente, mentre trovo sulle riviste, sui quortidiani, in televisione, nelle parole delle persone che incontro per strada conferme a quanto sono andato scrivendo, ancora stanco delle giornate passate a Lucca per il festival dei Comics e dei Games, mi imbatto nel nuovo libro di Daniel Pennac, dal titolo Storia di un corpo, pubblicato da Feltrinelli. Pennac è grande come sempre, con il suo tono ilare e sagace e le tematiche senza tempo che sa nascondere tra le righe. Un padre lascia in eredità alla figlia un diario del proprio corpo dall'età di dodici anni a quella di ottantasette, età della sua scomparsa. Lo scrittore si sporca con la materia di un corpo in tutte le sue declinazioni, a sottolineare che ancor oggi, quando il corpo appare solo un qualcosa di esterno a noi, esibito o parassitariamente usato per "stare al mondo", esso costituisce di certo la prima delle realità con cui dobbiamo fare i conti. Al fianco dei temi "corporei", inevitabilmente, è quello della morte a prendere il sopravvento. Forse Pennac oggi non ha più la pazienza per regalarci un nuovo romanzo alla Malaussène e preferisce trovare nella giustapposizione di scritture che la formula del diario gli consente un escamotage a tale limite; ma Pennac è un grande scrittore postmoderno e, come già ci insegnò Pavese, niente aiuta ad affrontare il tema della morte più di un diario ben scritto.
Nel diario mi soffermo, scorrendo le pagine a caso, sulla data di Domenica 13 marzo 1994, dove l'autore/protagonista appunta: "Signore e signori, moriamo perchè abbiamo un corpo, ed è ogni volta l'estinzione di una cultura." La perdita insopportabile del piccolo universo che si cela dietro ognuno di noi è la consapevolezza di quanto quello rappresenti uno sguardo unico e insostituibile sul mondo. E' la vittoria "delle culture" su di una cultura specifica, qualunque sia il colore che la contraddistingue.
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