domenica 11 novembre 2012

Appunti di viaggio

A posteriori del post precedente, mentre trovo sulle riviste, sui quortidiani, in televisione, nelle parole delle persone che incontro per strada conferme a quanto sono andato scrivendo, ancora stanco delle giornate passate a Lucca per il festival dei Comics e dei Games, mi imbatto nel nuovo libro di Daniel Pennac, dal titolo Storia di un corpo, pubblicato da Feltrinelli. Pennac è grande come sempre, con il suo tono ilare e sagace e le tematiche senza tempo che sa nascondere tra le righe. Un padre lascia in eredità alla figlia un diario del proprio corpo dall'età di dodici anni a quella di ottantasette, età della sua scomparsa. Lo scrittore si sporca con la materia di un corpo in tutte le sue declinazioni, a sottolineare che ancor oggi, quando il corpo appare solo un qualcosa di esterno a noi, esibito o parassitariamente usato per "stare al mondo", esso costituisce di certo la prima delle realità con cui dobbiamo fare i conti. Al fianco dei temi "corporei", inevitabilmente, è quello della morte a prendere il sopravvento. Forse Pennac oggi non ha più la pazienza per regalarci un nuovo romanzo alla Malaussène e preferisce trovare nella giustapposizione di scritture che la formula del diario gli consente un escamotage a tale limite; ma Pennac è un grande scrittore postmoderno e, come già ci insegnò Pavese, niente aiuta ad affrontare il tema della morte più di un diario ben scritto.
Nel diario mi soffermo, scorrendo le pagine a caso, sulla data di Domenica 13 marzo 1994, dove l'autore/protagonista appunta: "Signore e signori, moriamo perchè abbiamo un corpo, ed è ogni volta l'estinzione di una cultura." La perdita insopportabile del piccolo universo che si cela dietro ognuno di noi è la consapevolezza di quanto quello rappresenti uno sguardo unico e insostituibile sul mondo. E' la vittoria "delle culture" su di una cultura specifica, qualunque sia il colore che la contraddistingue.