domenica 17 luglio 2011

Di uomini e delle loro ambiziose virtù

Ne parlo oggi, in anticipo sull'anniversario corretto, sui telegiornali, sui quotidiani, perché è un ricordo molto vivo, che mi porta alla mente emozioni forti e non voglio ricordarmene nella foga delle immagini che ci verranno riproposte tra poco. Che spero verranno riproposte tra poco e che spero possano oggi essere riguardate con quella distanza che solo il tempo e l'archiviazione storica consente. Nei giorni tra il 19 e il 22 luglio 2001 si sono svolti i fatti arcinoti del G8 di Genova. Sono passati dieci anni e sembra che alcune situazioni di fondo siano rimaste pressoché inalterate. Riconosco in questi giorni gli stessi politici, riconosco molte posizioni revisioniste, riconosco climi non cambiati. Vi giuro, la mia cultura moderata è stata messa molte volte alla prova in quel periodo da quanto ci stava accadendo intorno: in Italia, in un paese democratico, dove la democrazia, il buonsenso, la tolleranza è venuta per un attimo meno. Io ricordo quei fatti come un "buco nero", una voragine che resta incolma. Furono giorni sensa senso, gestiti con pochezza mentale da tutti e con barbarie dai più. Nel 2001 (era un fine settimana) non riuscivo in quei giorni ad andare al mare, ad uscire; ero calamitato dalla televisione, dalle immagini: mi pareva fantascienza. Io oggi credo che quei fatti, in quel contesto, senza la tragedia dell'11 settembre 2011 a New York, avrebbero potuto avere in Italia dei riscontri sociali ben diversi. Il secondo fatto storico ha invece ridimensionato il primo, lo ha "contenuto": mentre lo sguardo si apriva sul mondo, lo stesso sguardo riusciva a sorvolare sulla provincia. Non sono capace di giudicare ciò, oggi, nè come un bene, nè come un male: è successo, punto. E' storia. Personalmente di quei giorni ricordo il 12 luglio a Tarvisio il concerto di Manu Chao con la polizia sugli spalti, con i controlli esagerati in funzione no global ai confini. La sensazione non fu piacevolissima. Ricordo poi i ragazzi di Monfalcone che partivano per manifestare a Genova e ricordo alcuni racconti al loro ritorno. Ricordo alcune manifestazioni che seguirono poi, dopo quei giorni genovesi, per le strade della mia città. Parliamoci chiaro, oggi ripensiamo a quelle cose come alle sequenze di un film: l'allestimento della "zona rossa", piazza Alimonda con la morte di un ragazzo, Carlo Giuliani, freddato con quel suo stramaledetto estintore in mano, freddato da un altro ragazzo impaurito, il carabiniere Mario Placanica con quella sua stramaledetta pistola in mano; e poi le "perquisizioni" alle scuole Diaz e Pascoli, gli interrogatori nella caserma di Bolzaneto. Giovani contro giovani; mentre poco più in là gli intellettuali facevano gli intellettuali, i politici i politici, scambiandosi concetti e parole, che oggi appaiono vuote come poche. Giovani contro giovani, ideologie o ideali (a volte si confondono) contro ideologie e ideali, senza uno Stato. Mi ritorna alla mente oggi un film poco amato da critica e pubblico, ma molto amato dal regista: I compagni, di Mario Monicelli, del 1963. Agli albori delle lotte sindacali, nella Torino di fine Ottocento, delle manifestazioni finiscono in tragedia. Ne fa le spese un ragazzo Omero, dai forti ideali, colpito a morte durante la manifestazione che il professore Mastroianni-Senigaglia ha incitato, fermo nel portare avanti le proprie convinzioni. A ucciderlo un colpo di fucile, forse quello di un altro ragazzo della cavalleria in stanza locale. Un ragazzo che corre poi in soccorso al primo, ormai a terra, ma viene bloccato dai compagni. Un ragazzo che con un altro milite (anch'egli ragazzo), poco prima si scambia, mentre sono schierati ad aspettare al varco i manifestanti, di nascosto dei biscotti (?), inconsapevoli del proprio destino di carnefici: lì per caso e per dovere. Mi sopravvengono due scene: nella prima Renato Salvatori, che interpreta il manifestante Raul, chiede a Mastroianni-Senigaglia, mentre dividono un letto: "Ma chi ve lo fa fare?" E l'altro risponde: "Sono le idee balorde". Nel finale poi una manifestante, nel salutare Raul che parte e lascia Torino, risponde a questo, che le chiede del destino del professore Senigaglia ormai arrestato: "Il professore è dentro! Ma pensiamo di candidarlo alle elezioni, così se viene eletto..." I tempi cambiano, passano, ma le storie si ripetono. Si crea indiscusso un irrisolto scontro/confronto tra idee e realtà quotidiana, dimenticandosi purtroppo come sempre dell'uomo, della sua "animalità". Se qualcuno di voi visitasse il Monastero di Camaldoli in provincia di Arezzo, nel Parco Naturale delle Foreste Casentinesi, si rechi nell'antica Farmacia dei monaci. In una stanza dove vengono conservati gli antichi strumenti per la preparazione storica dei farmaci, scoprirete una piccola lezione sull'uomo. In una teca di vetro e legno viene conservato, "in piedi", uno scheletro del XVII secolo, di una (si crede) donna di circa 25 anni, trovato nel cimitero di Camaldoli. Sopra la teca sta una targa in legno con inciso quanto segue: "Questo è lo specchio in cui mirar ti dei folle mortal, ogni altro specchio inganna, questo dimostra ben quel che tu sei".