martedì 30 novembre 2010

Ma quanto sa essere profondo il mare....

E' morto Mario Monicelli. E' morto suicida. In realtà mi importa di più il fatto che sia morto, piuttosto che il "come"! Cioè, la cosa mi provoca un grosso vuoto mentale. Un senso di perdita più grande di quanto potessi immaginare.
Nel scoprirlo a volte in televisione o a qualche incontro, in giro per l'Italia, lo ascoltavo sempre come si ascoltano le fiabe. Era una radice di quelle grosse e ben piantate, poco incline a far ondeggiare il fusto della pianta, anche quando il vento appariva forte. Non si è piegato nemmeno alla fine. La mente va a Pavese, a tutti i giganti perduti nello stesso modo.
Di Monicelli mi ricordo soprattutto un incontro. Io avevo la mania di chiedere degli autografi e lui la mania di dedicarli, chiedendo sempre se l'interlocutore fosse a conoscenza dell'origine del proprio nome. Gli risposi, quella volta, giocando a mia volta con questo suo gioco. Volevo conoscere la sua reazione.
Gli raccontai che mio nonno era un estimatore fascista e che quando nacqui volle imporre a mia madre il nome del suo primo nipote: "Ro-Ber-To" fu la scelta, poiché richiamava in forma contratta l'asse Roma - Berlino -Tokio.
Era una sciocchezza che mi era sovvenuta alcuni anni prima.
Monicelli mi guardò sornione, ma non disse nulla. Dedicò la sua firma al mio nome. Mi spiaceva però averlo raggirato e gli rivelai che il mio nome derivava in realtà da un cantante, tale Robertino, in voga negli anni Sessanta: quello sì che piaceva a mio nonno.
Monicelli mi disse che ne era contento: che nel primo caso il fardello sarebbe stato veramente troppo grande!
Avrei altri aneddoti su Monicelli, ma questo è quello più personale.
Mi manca già, per la sua schiettezza infinita, per la sua lezione continua. Mi mancano i suoi ricordi, ormai perduti. Mi accorgo ora che non gli ho mai scattato una foto.