sabato 8 maggio 2010

A Livio

Il giorno 29 aprile è morto a 67 anni Livio Schiozzi, trestino, insegnante (all'Istituto d'Arte a Trieste dal 1969 al 2001), artista, pittore e scultore, curatore. Schiozzi aveva frequentato negli anni '60 l'ambiente della galleria La Cavana e Il Centro Arte Viva di Trieste, allora animati dalle figure di Enzo Cogno e Miela Reina, ma contemporaneamente il mondo delle gallerie di Milano. Amava l'architettura, specie l'architettura intesa come attività linguistica, progettuale, connessa al disegno, alle forme. La sua era una visione dell'arte in forma architettonica nella maniera in cui anche il luogo pittorico o scultoreo veniva concepito quale spazio architettonico, calato in una distanza e rappresentatività del tutto classica, fatta di sospensioni, di presenze che sono anche essenze (nel senso di assenza del superfluo). L'arte (anche la sua), che sfociava nell'architettura (nel senso di spazio architettonico) e viceversa (quale luogo mentale e in parte utopistico). Amava le composizioni di Giorgio Morandi, di Fausto Melotti, amava Etienne-Louis Boullée.

Per ricordare Schiozzi voglio dedicargli un passo da Architettura. Saggio sull'arte di Boullée: "(...) allora se si riesce a svelare l'esistenza e l'origine dei principi sui quali è fondata l'arte dell'architettura, si può concludere, io credo, senza mostrarsi per quanto imprudenti, che tali principi sono tuttora ignoti o, perlomeno, non sono stati sviluppati da coloro che hanno avuto l'opportunità di conoscerli." Livio Schiozzi ha condotto la sua ricerca nel tentativo di sondare quei principi. E' stata la sua "piccola missione".

Per quanto mi riguarda ho avuto occasione di conoscerlo una volta sola, durante un episodio della mia attività culturale con ARTeFUMETTO. Di quell'episodio ricordo una macchina troppo piccola e dei quadri, non suoi, troppo grandi. La sua perplessità nel prestarli, specie alla vista della macchina troppo piccola. Ricordo una stretta di mano finale di co-responsabilità reciproca verso quell'arte che portavamo via, mentre il portellone calava e il bagagliaio si rivelava non stretto, non grande, ma giusto. Ad una rinnovata e mai venuta meno responsabilità verso il ricordo di quell'arte si sente legata in questo frangente la mia memoria, che ricorda l'impegno, la coerenza e quell'espressione stampata in volto: un misto di perplessità e malinconia.