martedì 25 maggio 2010

C'è bisogno di nuovo di colla

Parto dal mio post precedente sul fumetto per fare un discorso più ampio. Tra le mie parole sul fumetto era facile scorgere una certa insofferenza. Essa non era rivolta verso il "fumetto" in sé, che mi pare un medium linguistico splendido, capace nella sua contemperazione tra esperienza artistica e testuale di offrire strumenti di lettura del presente e del passato di rara efficacia. Il ruolo del fumetto mi pare tanto più pregnante quando quel contemperamento si avvicina ad un equilibrio attento, sottile, non stucchevole tra figuratività e racconto. In questo senso rompere questi equilibri porta ad opere forse d'avanguardia, forse innovative diremo, pregievoli e importanti, ma non necessariamente utili al ruolo che il fumetto deve avere.
Mi ricollego, nel senso che voglio dare a quanto dico, a quel pensiero di neoavanguardia che nel 1963 sorse a Palermo come esperienza letteraria di rottura verso un modo di raccontare e "romanzare" (ma diremo di fare cultura in genere) giudicato tradizionale e stantio. Era quel pensiero proprio del cosidetto Gruppo 63, che al suo interno raccoglieva le figure di Alberto Arbasino, Umberto Eco,, Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti (scomparso in questi giorni), ma anche Achille Bonito Oliva, Sebastiano Vassalli e Angelo Guglielmi.
Alcuni giorni fa (21 maggio) mi è capitato di sentire Angelo Guglielmi (intervistato da Serena Dandini su RAI 3) parlare di quell'esperienza. L'obiettivo, diceva Guglielmi, era la sperimentazione, l'assoluta libertà di contenuti e di trame, l'allontanamento dai modelli tipici delle forme linguistiche "tradizionali". L'obiettivo era in molti casi la disgregazione del testo. Non è un caso che RAI 3, sotto la direzione di Guglielmi abbia lasciato spazio ad una televisione d'avanguardia, cinica, coraggiosa e a volte oltraggiosa (La TV delle ragazze, Avanzi, Blob, Cinico TV ecc., la "TV verità" di Chi l'ha visto?, Un giorno in pretura, Quelli che il calcio, ecc.). Blob è stato l'apice della poetica della disgregazione, portando ad un processo di trasformazione che oggi la TV ha raggiunto e purtroppo superato. Quello che ha detto l'altra sera Guglielmi è che oggi quelle trasmissioni funzionerebbero ancora, ma non andrebbero più bene; andrebbero rifatte delle trasmissioni non di rottura, ma viceversa pedagogiche, dove alla frammentazione del testo andrebbe preferita di nuovo la "trama", la "storia" resa dall'inizio alla fine: andrebbe restituito il senso del "racconto". E' un problema di indirizzo per il futuro.
Io condivido tutto ciò. Questa del racconto è divenuta una mia esigenza personale. E' un'esigenza di dare priorità al ruolo del racconto indipendentemente da cosa ciò significhi linguisticamente: il racconto narrativo, il racconto per immagini (arte, cinema, fotografia), il racconto a fumetti (fumetto nel senso di arte sequenziale strutturata e non solo successione di immagini didascaliche), ecc..
Se rileggo oggi il mio programma culturale, che già tempo fa avevo annunciato come di reazione alla cosidetta "dittatura dell'assenza" (assenza di desiderio di mettersi in gioco, di accettazione degli stimoli per superarli: assenza del desiderio di rimanere coinvolti nelle cose), credo vada rivolto alla riscoperta del "racconto", della narrazione e credo anch'io sia questo un programma con finalità pedagogiche di indirizzo per il futuro. Credo anche sia un'esigenza che molti non sanno di avere.