sabato 20 giugno 2015

Escursionisti per un giorno solo

Un fumetto importante di qualche anno fa, Daytripper, di Fàbio Moon e Gabriel Bà, autori brasiliani, pubblicato in Italia da Planeta DeAgostini, e in realtà pessimamente distribuito (sai la novità!), ma non sconosciuto alla critica che l'ha osannato nei vari paesi dove è stato pubblicato, affronta  in maniera alquanto letteraria e poetica la vita del protagonista, Bràs de Oliva Domingos, presentando di questo le svariate occasioni che gli vengono date di morire alle età più varie, per mano del destino e delle situazioni esistenziali che egli stesso va ricercando. Bràs è scrittore di necrologi per un giornale locale e quindi scrittore di romanzi. Un amico gli lascia un biglietto d'auguri sulla scrivania dove scrive: "I giovani aprono il giornale per dimenticare la vita leggendo i fumetti. I vecchi lo fanno per dmenticare la morte leggendo i necrologi degli altri. Un consiglio da amico: non aprire il giornale e vivi la tua vita". A giornale chiuso ho provato a vivere la mia esperienza e ho voluto andare di persona a capire meglio questa situazione dei profughi che stanno determinando un'emergenza in tutta Italia. Un'emergenza, come avevo cercato di scrivere nel post precedente, che per dimensioni non può, di fatto e oggettivamente, essere considerata tale. Sono stato a Gorizia, nel parco comunale cittadino dove trovano sede un numero importante di profughi che vivono alla giornata, in condizioni alquanto esasperate, una vicenda che parla il linguaggio della tradizione letteraria ottocentesca. Per la società a volte il tempo si ferma, tutto si innova e rinnova (siamo all'era digitale), ma si determinano sacche incomprensibili di marcescenza mentale. A Gorizia sta piovendo e mentre cammino vicino al parco vedo i migranti trovare rifugio sparsi sotto le tende aperte di alcuni negozi; nel parco alcuni stanno in piedi, sfruttando la protezione degli alberi, si riparano la testa, mentre le schiene si bagnano. Ad alcuni provo a dire delle cose nel mio inglese pietoso e questi si spiegano a gesti, ma non vi è molta voglia di comunicare. Vi è uno sbando nella testa prima ancora che nelle vite. Che fare? Si interrogano loro, ma non trovano la risposta dentro di sé e questo è il loro limite. Il limite del contesto è invece nella mancanza di comprensione verso questo disorientamento. Il "fuori" si concentra su se stesso, ovvero sul "fuori" e non indaga il "dentro", specie se quel "dentro" affronta culture diverse. Chiedo in un bar di poter lasciare pagati alcuni caffè, ma mi viene risposto che sarebbe meglio di no. Lascio stare. Ho sempre fatto fatica a sovrapporre la carità con la dignità. Ho visto dal vero, e, per mio limite personale ho visto come si guarda una sfilata folkloristica paesana (e ripenso a come proprio questa città ospiti un festival folkloristico, che riunisce gruppi dai paesi più vari, guardando con compiacimento alle culture tradizionali dei paesi lontani, specie quando sono vestite di piume e paillettes). Ho guardato e non ho visto. Confermo l'impressione che risulta difficile capire cosa stia determinando questo corto circuito culturale, che continua ad essermi totalmente incomprensibile. Non capisco questa assenza generale. Di comprensione per lo più. Verso la fine di Daytripper il protagonista ormai vecchio ripensa alla sua vita, apprestandosi a vivere la sua morte definitiva (o forse una delle sue morti più struggenti), e nel viaggiare in treno riflette didascalicamente: "Ci vuole tempo e molte ricerche, ma alla fine scopri che casa non è solo l'abitazione in cui dimori".