sabato 13 giugno 2015

Ci fanno paura le parole?

Ieri sera ero all'inaugurazione di una mostra fotografica a Udine, dove trovano spazio sino al 05 luglio i lavori di Luca Alfonso d'Agostino, collaboratore dell'Associazione culturale ETRA. 100 scatti che riassumono la lunga collaborazione del fotografo con il festival Udin&Jazz, alla sua venticinquesima edizione. Moltissima gente, un applauso infinito al termine delle presentazioni, un applauso strameritato alla carriera di un amico, con cui si sperimentava da ragazzi dentro una camera oscura, mescolando acidi oggi sconosciuti ai più. Fuori moltissime persone. C'erano, tra l'interno della Galleria Tina Modotti e l'esterno, dove la gente era "impegnata" ai tavoli dei bar, di certo oltre duecento persone, forse molte di più. Negli stadi del calcio o durante i concerti rock estivi si incontrano assiepati sugli spalti e sui prati migliaia di persone, 50.000-60.000, non so. In Piazza San Pietro, oggi, circa 90.000 scout hanno salutato Papa Francesco. Situazioni a scale diverse, che nei loro rispettivi campi impongono problemi di gestione complessa. Gestire i numeri, questi numeri è sempre un grande problema. In alcuni casi la cosa incontra difficoltà superiori: le tifoserie si scontrano, alcune persone si sentono male, un bambino si perde. Si devono prevedere stazioni mobili della polizia, agenti a controllare le strade, oppure nuclei di pronto intervento della Croce Rossa Italiana, senza contare le decine di volontari chiamati ad impegnarsi in situazioni difficoltose. A volte la cosa travalica, richiedendo l'intervento della Protezione civile, i corpi militari, gli Alpini ad esempio. E sono decine i casi che la storia ci ha consegnato alla memoria (le tragedie del post terremoto, ad esempio) in cui queste strutture, organizzatesi negli anni proprio per far fronte a delle situazioni estreme, hanno saputo rapidamente serrare le proprie fila, preparare tendopoli, pasti caldi, scendere in campo, accompagnati dalle strutture non ufficiali, operanti nel campo dell'accoglienza e dell'assistenza. Bene, quanto dico è un dato di fatto, che testimonia una storia fatta di preparazione, sangue freddo, volontà di sacrificarsi per l'altro e carità. Mi chiedo, oggi che apro lo schermo televisivo o leggo la prima pagina di un qualsiasi giornale, locale e nazionale, cosa mi sono perso! Io sono una persona inadatta fisicamente e psicologicamente a tutte le cose suddette, che quando trova qualcuno per strada che sta male si ferma e cerca di aiutarlo, ma che è consapevole dei propri limiti e spesso cerca di ragionare e telefonare ad altri, come gli è stato insegnato a fare nei corsi di primo soccorso. Ma mi interrogo in queste ore, chiedendomi cosa sta succedendo! Duecento profughi a Gorizia, cento a Udine, alcune decine al confine di Ventimiglia, ottocento alla stazione di Roma, cinquecento e poi oggi meno di trecento alla stazione di Milano. Persone senza un tetto, campeggiate nei prati delle periferie, nelle stanze abbandonate al degrado delle caserme dismesse, nei parcheggi o ai bordi delle strade; con problemi igienici, perchè non possono usare i bagni pubblici delle stazioni (si distribuiscono gettoni gratuiti per gli ingressi!), assetati e affamati. Persone psicologicamente fragili, perché stanche dentro le viscere di città complesse e un desiderio di ripartenza verso altre mete. Abbandonate per giorni al disagio. Soccorse in forma occasionale e scarsamente razionale. Oppure razionale e consapevole, ma con mezzi ridicoli rispetto le possibilità. Io non sono adatto a fare niente, questa è la mia scusa, QUESTA E' LA MIA SCUSA! Ma la scusa degli altri, quelli che normalmente fanno, qual'è? Questo divario tra le molteplici migliaia di persone, che questo Stato, questa collettività umana e sociale che chiamiamo Italia, ha saputo e sa gestire al meglio, e le poche centinaia o decine che stanno ora bloccando culturalmente una nazione (non parliamo di un isolotto, Lampedusa, ma dell'Italia intera!), da cosa è determinato? Di cosa abbiamo paura? Tutte le persone sono delle porte, alcune aperte, altre socchiuse o serrate a chiavistello. Il dilemma è sempre rincorrere delle chiavi adeguate, ma dove le abbiamo nascoste in questa occasione. Ci fanno paura le parole che qui non oso pronunciare?