lunedì 20 maggio 2013

Del poco che resta

Le cose a cui riesco sempre a ripensare con piacere, qualunque sia la stagione, il momento della giornata o il mio umore, cominciano a diventare con il passare degli anni sempre meno. Selezione critica, direi. Una di queste è la raccolta di racconti di Jerome David Salinger Nine stories (Nove racconti, nell'attuale edizione Einaudi, con traduzione di Carlo Fruttero), che proprio nel maggio del 1953, cioè sessant'anni fa, trovava la propria completezza editoriale (i primi racconti di questo testo risalgono al 1948). Tra quei racconti uno in particolare mi ha preso il cuore, Per Esmé: con amore e squallore. In quello vi è una frase sottolineata al tempo della mia prima lettura, che la ragazzina finto-adulta del racconto recita "...Annuì e dissi che probabilmente suo padre considerava il problema dall'alto, mentre io lo consideravo dal basso...", frase che così non dice niente di per sè, eppure mi si è conficcata nella testa già allora e non mi abbandona ancora adesso. Salinger, questo Bartezzaghi dei tempi che furono, con questi racconti semplici da decifrare come un quadro simbolista. Tutto sospeso, tutto che parte improvvisamente e si chiude senza dirti un ciao liberatorio. Salinger che scrive di cose che preferisci non capire a fondo, nella paura che il fondo sia un pò troppo distante per poi saper tornare indietro. E infatti nella sua sparizione pre morte, che lo portò da vivo a liberarsi del mondo, Salinger seppe porre tra se stesso e i media un abisso di chilometri e risultare "significativo" ancor oggi, per merito e non per presenza. Un koan zen fa da citazione d'apertura ai Nove racconti, esso dice: "A battere le mani, sappiamo il suono delle due mani insieme. Ma qual'è il suono di una sola mano?". Ecco, appunto!