domenica 12 febbraio 2017

Ti ti ti ti

Rientra nel pensiero complesso il desiderio, sempre maggiore, di poter consapevolmente interrogarsi su questo periodo culturale di transizione, dove nessuno da solo riesce a dare realmente una lettura adeguata di cosa ci sta succedendo intorno o, meglio, dove tutti si sentono in grado di darne una propria e personale, finendo per vanificare il senso stesso di questa. Si alza quotidianamente la voce dei molti, determinando, invece che un'accellerazione del pensiero critico, un appiattimento retorico e ideologicamente partigiano rispetto le tematiche poste. Il pensiero politico non ci aiuta, poichè gestito rispetto finalità immediate e non lungimiranti, perlopiù strumentali. Credo che, nell'esame della cultura politica, si debba andare anche oltre rispetto certa retorica dinanzi ai temi, ad esempio la tautologica ripetizione di certe rivendicazioni rispetto "il costo della politica, l'interesse personale dietro la politica, il compromesso". Nel continuo blaterare attorno a questi temi si permette e si accetta il ridimensionamento del pensiero politico stesso. Una considerazione mi preoccupa su tutte, quella che ciascun politico per emergere debba sperimentare una propria strada personale a scapito di quanto si è sedimentato precedentemente, così da interrompere continuamente i percorsi, e, nell'affrancarsi, crearsi una nuova verginità, garantire un reale collasso di senso al tutto. Mi torna in mente una canzone di Rino Gaetano, Ti ti ti ti, dove nel parlare della politica di allora si evidenziava: "Partono tutti incendiari e fieri, ma quando arrivano sono tutti pompieri". Anche in ciò vi è forse una dimostrazione di retorica critica, ma la constatazione dei fatti ci porta a evidenziare come le cose stiano così come il cantautore ci raccontava nel 1980. La disamina è in fondo infinita. Una casistica ininterrotta di casi emblematici di fallimenti interpretativi, comunicativi, che, alla fine, nell'aprire la possibilità di parola a tutti, determina un corto circuito a margine del quale nei fatti non parla più nessuno. Le voci si coprono e nessuno ascolta. Mi prende in questi giorni un desiderio profondo di ascolto, ma mi rendo conto che attorno vi è spazio solo per "le piccole storie", per visioni parziali, in assenza di una interpretazione ampia, sistemica, che sappia allargare l'orizzonte invece che costringerlo, condizionarlo. Le "piccole storie" vanno per la maggiore, sono comode, poco impegnative, garantiscono punti di vista di fatto limitati. Tutto il mondo della "rete" vive di "piccole storie", interscambiabili. Ogni alzata di voce è in fondo solo un abbassamento del volume generale, fino alla determinazione di un bisbiglio continuo, fastidioso o indifferente, fino alla sparizione definitiva. L'indifferenza finisce per esplicitarsi meglio nell'esigenza individuale di alzare continuamente la mano anche quando non si ha nulla di prezioso da dire (mi capita spesso di rilevare questo a scuola nei bambini e nei ragazzi, ai quali è stato insegnato a non fare troppa differenza tra invito alla partecipazione quale stimolo alla curiosità o alla creatività, e semplice esigenza intima di apparire protagonisti). L'opinione soggettiva impera, e guidata dalla comunicazione mediata si traduce anche in opinione pubblica collettiva. Essa si concede come chiede la tecnica di un ipnotista quando ci pone dinanzi agli occhi il proprio dito e ci invita a seguirlo sino a conquistare l'essenza della nostra coscienza. E sono ancora le "piccole storie" a venirci proposte e quindi a conquistare la nostra attenzione e infine ad omologare il nostro pensiero. Perlopiù la partecipazione diretta sfuma nell'assenza di partecipazione o in una partecipazione fittizia, condizionata. Serve autonomia di pensiero, pertinenza di linguaggio e consapevolezza nel comunicare. E ciò vale per ogni scelta, per ogni manifestazione di cittadinanza o di empatia verso ciò che ci circonda. Spetta agli altri, ma spetta anche a noi.