sabato 12 giugno 2010

Panem et circenses

La scorsa settimana ho passato alcuni giorni a Roma. Era un pò di tempo che non vi tornavo e avevo voglia di rivedere alcune cose frequentate ormai molti anni addietro e farmi un'idea diretta di alcune architetture contemporanee non ancora visitate. Inoltre vi era una mostra su Edward Hopper, una su Caravaggio, una su De Chirico, ecc.. Di tutto e di più.
Bene. Si è girato, si è visto un sacco di cose, si è frequentato perlopiù la Roma minore, Trastevere con la sua caciarosità; si è cercato di visitare Villa Albani, privata e inaccessibile a quanto pare (la famiglia Torlonia non concede facilmente le visite), ma si è anche visitato il nuovo MAXXI, il Parco della Musica di Renzo Piano, l'Ara Pacis con la scatola "conservativa" di Richard Meier.
I momenti forse più intensi e interessanti di questo viaggio di riposo, che come sempre è diventato un viaggio massacrante per la curiosa frenesia che ogni volta mi assale nel frequentare le grandi città, credo siano stati il rivedere l'Estasi di Santa Teresa d'Avila del Bernini nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria (L.go Susanna), scoprire i disegni preparatori (maniacali e meravigliosi) di Hopper per i suoi quadri: disegni dove il pittore appuntava tutte le gradazioni cromatiche offerte dalla luce e ogni riflessione connaturata alla costruzione dell'immagine finale; la mostra di Gino De Dominicis al MAXXI (una scoperta il suo lavoro, specie per la sua irriverenza, che però nascondeva una maestria concettuale e pittorica notevole).C'era questa frase tra le tante che il curatore, Achille Bonito Oliva, ha voluto riportare alle pareti del percorso della mostra: "E' il pubblico che si espone all'arte e non viceversa". Credo che coincida con il leit motiv di questa permamenza romana.
Il pubblico e l'arte. Il grande pubblico e l'arte. Non ho potuto visitare la mostra di Caravaggio per le file immense che si formavano davanti l'ingresso delle Scuderie del Quirinale (vedi foto). Non ho potuto rivedere Raffaello ai Musei Vaticani per la fila infinita che coronava lo svilupparsi delle mura vaticane prima dell'ingresso ai musei. Non ho potuto entrare nella Galleria Borghese, perchè, arrivato giovedì, avrei potuto accedervi solo il mercoledì successivo. In ogni luogo si vedeva tutto poco e male. Negli ultimi vent'anni è cambiata completamente la fruizione dell'arte. Un tempo si parlava dei fastidiosi turisti incolti, delle masse sprovvedute scaraventate ai musei, dei visitatori che assimilavano pariteticamente Michelangelo e una Carbonara, con lo stesso interesse. Oggi non credo sia più così. I turisti ci sono, le folle anche, più e molto più compatte di prima: ma non è gente portata lì per caso. Se ti metti in fila scopri le persone più inaspettate discutere di Caravaggio come di De Chirico, fare paragoni azzardati tra autori, discutere con le forme (non certo con i contenuti) dei critici. E' gente che cerca l'arte e la vuole, per presenzialismo più che per ricerca personale, ma la desidera. E per l'arte accetta ore sotto il sole, dolore ai piedi e quant'altro.
Ormai ogni visita va programmata. Internet ha creato molte facilitazioni comunicative, ma un tempo alle mostre, nei luoghi ci dovevi andare di persona, telefonare, sbatterti prima di poter fare prenotazioni. Oggi la massa (colta ed incolta, democraticamente, ma "L'arte è democratica e richiede una fruizione democratica?") formalizza tutto con un click del mouse e chi arriva prima meglio alloggia, indipendentemente dall'interesse e dalla ricerca personale. E' il popolo dei media, di coloro che hanno comprato in edicola all'inizio degli anni Novanta gli allegati al Corriere della Sera con L'Arte Moderna di Giulio Carlo Argan, magari solo perchè ci regalavano le litografie de I girasoli di Van Gogh (è da qui che parte la fortuna degli Impressionisti in Italia da quella litografia lì, da quelle riproduzioni che trovi ancora oggi nei soggiorni delle case più disparate, come negli studi dentistici). E' il popolo che ha acquistato poi le collane d'arte senza fine promosse da la Repubblica e ancora dal Corriere, che ha guardato per mesi Sgarbi alla TV e che ora segue Philippe Daverio. E' un popolo "acculturato" a colpi di inserti nei quotidiani, a colpi di pagine culturali ne Il Sole 24 ore, a forza di speciali televisivi misti a spot, di cataloghi della Silvana Editoriale distribuiti in edicola. E' un popolo che poi magari, come senti se giri nei treni, colloca Parmigianino nel 1700, ma che ha investito, ha pagato tutti quegli allegati per costringersi ad una cultura e ora vuole esserci, vuole vedere, presenziare appunto.
La gestrice di un B&B non lontano dal Vaticano, laica oltremodo, commentava alcuni giorni fa le domeniche dei fedeli in Piazza San Pietro, dicendo: "E' l'oppio dei popoli! Tutti a guardare in alto, ad ascoltare parole vuote! Ad inseguire speranze e disposti a passare ore in piedi, sotto il sole, per una parola che gli faccia credere di poter superare i momenti difficili solo sperandolo!" Mi sono sentito di ribattere che era storia vecchia, che era un discorso demagogico anche quello, che se a qualcuno andava bene così a me andava bene pure. La vita è di ciascuno la viva e credo ciò sia fondamento di libertà, se un atteggiamento viene vissuto in proprio senza voler condizionare gli altri (e qui la cosa si fa più ingarbugliata). Ma, ho detto, che se ci si guardava intorno, un pò oltre la piazza vaticana, c'erano modi più subdoli, meno privati per "obliare le menti". Uno di questi è l'arte in quanto oggetto mediatico di consumo. Nel senso che a colui che lavora tutta la settimana, fa i turni, torna a casa, segue i figli, lava, stira, oppure sta sul divano in cassa integrazione da un anno o più, oppure vive con 800 euro al mese, così che la vita sembra un pochino misera, oggi gli puoi togliere tutto, ma non puoi togliergli: 1) la televisione e 2) la possibilità di mettersi in fila per ore per vedere Caravaggio. Godere del circo mediatico dell'arte, che come in molti altri casi, arricchisce qualcuno (con i soldi), convincendo qualcun'altro di stare ad arricchirsi (con la cultura mediatica). E' un vendere aria, è non dire le cose come stanno, è un fare perfettamente in linea con questi tempi. Non è un caso che si risparmi sulla spesa girando per tredici supermercati di fila e comprando ogni volta al prezzo minore qualcosa e poi non si rinunci alla mostra d'arte (con le file, con gli scazzi che comporta), al concerto rock (a cinquanta, sessanta euro a biglietto + trasferta ecc.), ad un libro (di Bruno Vespa magari). Non è un caso che dalle profondità della "crisi" che ci attanaglia, si salvino solo le carovane dell'arte e dei concerti oltre al calderone (sempre più esteso e incontrollato) dell'editoria libraria.
Panem et circenses si diceva nell'antichità, lo diceva satiricamente Giovenale, credo. Solo che oggi sono restati i Circenses, mentre il Panem scarseggia. Ma tanto vale.