domenica 7 aprile 2013

Il fumetto è morto! I colpevoli sono a piede libero

Se poi si volesse per un attimo abbandonare una certa integrità speculativa e lasciarsi portare dalle chiacchiere fini a se stesse, potremmo anche dedicare nuovamente tra queste pagine alcune note al mondo del fumetto. Limitiamoci al fumetto, ovvero quello di casa nostra., che poi ad allargare lo sguardo si sta poco. Cosa resta al giorno d'oggi del fumetto come possibilità linguistica autonomamente intesa, oltre le sterili discusisioni editoriali e soprattutto di mercato? Alcuni amici che stimo mi hanno ribadito che il fumetto, specie in Italia, è ormai morto. Io credo che se così fosse avremmo tutti perso un parente caro e importante per le nostre esistenze appassionate. Viene inoltre da ribadire: ma proprio oggi che pareva invece che anche i più scettici si stessero dedicando favorevolmente a questo medium così profondamente radicato nella cultura dei pochi? Di certo però un certo ammorbante odore funereo si leva nell'aria allorchè si frequentano le librerie specializzate, le edicole e le fiere di settore. I più invocano la crisi delle vendite (la parola crisi è un qualcosa che aiuta sempre a nascondere l'elefante dietro il dito) e del mercato globale. Nessuno che volesse semplicemente ammettere che si sta raschiando da alcuni anni il fondo al barile delle idee, e che l'attenzione che il fumetto sta vivendo da parte dei media e da parte di persone (critici, giornalisti, intellettuali) che sino ad alcuni anni fa storcevano il naso dinanzi alle storie disegnate non è che la trasposizione su di un altro "mondo" di un'aridità creativa che ha ormai raggiunto l'universo dell'arte globale. Non credo sia finita, ma non vi è di che stare sereni. Chi frequenta il fumetto con passione lo fa ormai per fattori indipendenti dalla qualità intrinseca del mezzo linguistico, indipendenti dal mezzo stesso. Possiamo elencare alcuni di questi fattori. Abitudine: chi ha sempre letto fumetti, e ha sviluppato un'affinità con quel linguaggio, cerca sempre nuove strade per evitare di ammettere che "la fine è nota". Nostalgia: chi ha idealizzato nel linguaggio fumetto l'apice espressivo, confondendo "lo stare bene" con "a quel tempo stavo bene". Tradizione: si confonde la cultura con la tradizione e quindi la cultura del fumetto con la frequentazione di situazioni imposte e controllate da un genius loci (rapporti di amicizia, frequentazioni abituali di persone e luoghi, es. la fumetteria, la fiera del fumetto, ecc.). Commercio: fumetto fa rima con progetto, ovvero la prefigurazione di un tornaconto riconducibile a quel mondo. Deresponsabilizzazione: è un mondo più semplice di quello esterno, con regole definite, il mondo esterno è invece complesso (implica la sicurezza nel fatto che lo status delle cose corra su binari privi di scambi e che le oscillazioni del fuori non incidano con il nostro progetto di vita). Bene: io credo che tutti, e dico tutti, cadano oggi all'interno di queste categorie. E il fatto triste è che la maggior parte di coloro che evitano di volerlo ammettere mentano in realtà perlopiù a se stessi. Il dato di fatto invece è che la crisi esiste ed è una crisi qualitativa. I fumetti che passano nelle librerie specializzate sono fatti spesso da figure inesperte, nate nel contesto delle scuole del fumetto nostrane e internazionali (che devono motivare di continuo il proprio ruolo) e mandate allo sbaraglio, o meglio a fare bottega direttamente nelle librerie, invece che nello studio di qualche maestro. Questi stessi autori, a meno di eccellenze sovranaturali, appesantiscono un mercato già pesantissimo, e di conseguenza fanno del male a tutti; e la colpa è degli editori, che comprendono che in un mercato con un calo di vendite esagerato e drogato dal fattore comunicazione mediatica, solo la novità continua paga (poco, ma paga), e dei librai che accettano acriticamente qualsiasi cosa pur di fare utili risicatissimi, se non coprire le  sole spese. Ecco perchè oggi piacciono molto gli zombie: non siamo in fondo stati scaraventati davvero in quel mondo lì? Ed ecco perchè, oggi, benchè mi stia sforzando, non mi venga in mente qualcosa di letto negli ultimi tre mesi che mi abbia veramente colpito; no, qui non si tratta sempre di giocare alla complilation (i migliori dieci, e ci metto dentro sempre qualcosa per arrivare alla decina), ma di cercare di individuare di nuovo ciò che vale veramente la pena. E non basta neppure scavare negli archivi ristampati per farsi belli della propria memoria o della condivisione cieca con un qualsivoglia editore; nè tanto meno basta avanzare una qualche partigianità verso autori conosciuti personalmente o verso una propria autoreferenzialità intellettualistica. E così, mi guardo attorno e vedo che si stampa male, si stampa al limite dell'accettabile, oppure si stampa al di sopra dell'accettabile (vedi cose stra-cartonate e costosissime). Oppure vedo che si stampa quell'autore o quell'altro a seconda di giochi di scuderia editoriale (che brutto termine parlando di autori, che poi sono persone). Approfondiamo i temi: autobiografie, biografie, ristampe, zombie, violenze gratuite, vampiri, storie tratte dalla Storia contemporanea, dal fattuccio all'idoletto, storie dalla Storia alta, dal fatto noto a quello stranoto e niente più, ma condito in salsa testo e balloons, topolini e paperini sempre più disincantati, eroi popolari tutti di un pezzo per il sogno infinito, beforequalcosachegiàc'era, malvel che non capisci che cavolo si voglia dire almeno che non sia supereroe pure tu. Approfondiamo gli autori: giovani e intellettuali, giovani e vernacolari, giovani che accettano di farsi chiamare maestri, oppure che si definiscono tali da soli, giovani e punto, giovani che si ispirano ai vecchi e li fanno male o bene, ma comunque non creano nulla, vecchi santi e non arresisi, vecchi persi e purtroppo non arresisi. Approfondimento finale: e qualcuno bravo davvero resta a fare la muffa in casa o all'estero. Ecco qui, ed è stato come immaginavo parlacchiare del niente.