mercoledì 21 novembre 2012

Sbagli

Mi pare, nel guardare fuori, che ci siano sempre troppe persone che non si arrendono al fatto che la gente non va capita, bensì ascoltata. Voler ricondurre di continuo ogni atteggiamento esterno ad una personale sintesi snatura la stessa grandezza del pensiero umano; l'ascolto passivo facilita invece aperture e condivisioni.

domenica 11 novembre 2012

Appunti di viaggio

A posteriori del post precedente, mentre trovo sulle riviste, sui quortidiani, in televisione, nelle parole delle persone che incontro per strada conferme a quanto sono andato scrivendo, ancora stanco delle giornate passate a Lucca per il festival dei Comics e dei Games, mi imbatto nel nuovo libro di Daniel Pennac, dal titolo Storia di un corpo, pubblicato da Feltrinelli. Pennac è grande come sempre, con il suo tono ilare e sagace e le tematiche senza tempo che sa nascondere tra le righe. Un padre lascia in eredità alla figlia un diario del proprio corpo dall'età di dodici anni a quella di ottantasette, età della sua scomparsa. Lo scrittore si sporca con la materia di un corpo in tutte le sue declinazioni, a sottolineare che ancor oggi, quando il corpo appare solo un qualcosa di esterno a noi, esibito o parassitariamente usato per "stare al mondo", esso costituisce di certo la prima delle realità con cui dobbiamo fare i conti. Al fianco dei temi "corporei", inevitabilmente, è quello della morte a prendere il sopravvento. Forse Pennac oggi non ha più la pazienza per regalarci un nuovo romanzo alla Malaussène e preferisce trovare nella giustapposizione di scritture che la formula del diario gli consente un escamotage a tale limite; ma Pennac è un grande scrittore postmoderno e, come già ci insegnò Pavese, niente aiuta ad affrontare il tema della morte più di un diario ben scritto.
Nel diario mi soffermo, scorrendo le pagine a caso, sulla data di Domenica 13 marzo 1994, dove l'autore/protagonista appunta: "Signore e signori, moriamo perchè abbiamo un corpo, ed è ogni volta l'estinzione di una cultura." La perdita insopportabile del piccolo universo che si cela dietro ognuno di noi è la consapevolezza di quanto quello rappresenti uno sguardo unico e insostituibile sul mondo. E' la vittoria "delle culture" su di una cultura specifica, qualunque sia il colore che la contraddistingue.