domenica 25 agosto 2013

Woll'l stop the rain?

Credo che si possa affermare con certezza che la "crisi" sia, oggi, 25 agosto 2013, in maniera ineluttabile, finita. Ecco, si è detto, la crisi è finita. E' meglio e più sano accettare che sia così. Forse non c'è mai stata. E' stato tutto un generare paure, per garantire a noi cittadini nuove forme di condivisione sociale. Nasce tale convinzione anche dallo stimolo della lettura di alcune conferenze di Bertrand Russel, raccolte nel testo del 1949, Autorità e diritto (nel 1950 Russel riceverà il Premio Nobel per la letteratura, per i suoi ideali umanitari e per il suo sostegno alla libertà di pensiero). Io ho letto quel testo nell'edizione di Longanesi del 1970, anno della morte di Russel. Ho trovato quel libretto sul tavolo di un robivecchi e l'ho pagato 50 centesimi. Vale molto di più per la chiarezza della scrittura e per gli spunti delle idee che esprime. Russel, filosofo, e logico, è anche pensatore apparentemente stravagante, e il suo linguaggio è godibilissimo a sviscerare tematiche che molti intellettuali avrebbero rese noiosissime e "respingenti" (i grandi, tutti i grandi, sanno fare così, non hanno bisogno di terminologie specifiche; bastano a quelli le parole quotidiane per trasmettere un concetto). Nell'affrontare il tema della coesione sociale in relazione alla natura dell'uomo, il filosofo evidenzia il passaggio nella società primitiva da individuo, a gruppo, a famiglia e quindi a tribù; quindi analizza l'esistenza di un istinto primitivo e naturale, poi egoistico e quindi distruttivo, che nasce dal confronto con altre tribù, con altri territori che ad un certo punto si intenderà controllare. Perché la coesione sociale interna al gruppo cresce e diventa forte dinanzi alle aspettative comuni, alla fedeltà al gruppo. Ecco che il conflitto, la guerra. assume ruolo ulteriore di coesione, definendo annessioni, e quindi  formazioni di gruppi originari e di sudditi controllati attraverso la paura. La coesione attraverso il terrore (Sparta era esempio evidente di questo approccio sociale). Nell'evoluzione sociale sarà la razza e quindi la fede religiosa a determinare nuove forme di fedeltà. L'America di Lincoln suggerisce Russel non ha unità biologica, ma è "dedicata ad un proponimento"; l'unità nazionale quale fedeltà moderna. La fedeltà sociale interna al gruppo (alla nazione) si alimenta di forza coesiva grazie all'individuazione di un nemico esterno. Russel argutamente dice: "In tempi sicuri, possiamo permetterci di odiare il nostro vicino, ma in tempi di pericolo dobbiamo amarlo. Quasi mai la gente ama le persone che si trova sedute accanto in un autobus, ma le ha amate quando era sotto la diretta minaccia delle offese aeree tedesche." La guerra è dunque sempre stata la forma di coesione sociale per eccellenza. Insomma l'unità mondiale appare impossibile, perchè l'assenza di un pericolo esterno determinerebbe una disgregazione per carenza di forza coesiva. Inoltre la vita tranquilla è anche vita noiosa, poiché è nella natura primitiva umana il lato distruttivo, anarchico in senso puro. Dice Russel: ."...per il riformatore sociale, il problema non è "soltanto" quello di cercare dei mezzi di sicurezza, poiché se questi mezzi, quando siano trovati, non procureranno una soddisfazione profonda, la sicurezza verrà gettata via, in cambio della gloria dell'avventura. Il problema, piuttosto, è di combinare quel grado di sicurezza che è essenziale alla specie con forme di avventura, di pericolo e di conflitto che siano compatibili col modo civile del vivere". Direzionare l'avventura, quindi, suggerisce Russel, per garantire una stabilità sociale. Interessante, no? Credo che la crisi che si è andati vivendo dal 2008 sia stata anche crisi gestita. Credo che sia stata forma di autoconservazione della coesione sociale. Si è vissuti sino al 2007, accendendo per decenni aspettative superiori allo stato delle cose, e finché è stato possibile si è garantito che questo durasse. Ad un certo punto "l'avventura" era necessaria, lo sfogo all'istinto autodistruttivo si è posto come imprescindibile. Tutti hanno pagato, perlopiù si sono definiti molti "sudditi" in questa reale e mediatica procedura di annessione. Nuovi capitali, nuove procedure, nuovi stati mentali, nuovi temini da introdurre nel linguaggio, e nuove strategie commerciali. E si è amato un pò di più il vicino d'autobus, perchè lo si è sentito partecipe, perché anch'egli ci è apparso come vinto. Crisi. Ora basta crisi! E' finito il momento della strategia semplice, quella emotiva. Ora si deve temere che "l'avventura" possa salire nella scala di pericolosità. Che la crisi diventi guerra. Guardiamoci attorno, leggiamo i giornali: Siria, Egitto, Corea del Nord, precarie relazioni internazionali USA-Russia, allarmi terroristici. Stiamo attenti, prego. Da queste parti (la Venezia Giulia), come in Francia ad esempio, si apriranno nel 2014 le commemorazioni per i cento anni dall'inizio del primo conflitto mondiale del Novecento. Cerchiamo di fare in modo che il bisogno di "avventura" resti nei limiti del sopportabile, e che non si vada a ricordare quegli episodi di cento anni fa con un nuovo, ampio conflitto, invece che con una semplice mostra o conferenza.

domenica 4 agosto 2013

La forza di una condanna

Tempi di condanne, tempi di forzature. La condanna a cui mi riferisco potrebbe essere quella giunta in questi giorni a Silvio Berlusconi, che vado a nominare in queste pagine per la prima volta, e me ne meraviglio. La forza potrebbe essere quella, mediatica, di Silvio Berlusconi (seconda volta). Potrei sottolineare che mi colpisce che il capo carismatico della destra italiana chieda, da condannato, la riforma della giustizia, concordando pienamente con la richiesta del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che, nel pretendere rispetto per la magistratura, comunque la auspica (è nei comunicati ufficiali). Mi potrei chiedere quanti cittadini italiani si siano sentiti in questi ultimi decenni vittime di errori giudiziari; quante volte innumerevoli persone abbiano auspicato un adeguamento dei metodi (modi e tempi) della Giustizia in Italia. Potrei sottolineare, quindi, come solo ora che il suddetto Silvio Berlusconi (terza volta) ne è rimasto ipoteticamente vittima emerga  scontata una rapida riforma della giustizia in Italia. Risulta tale spirito alquanto elusivo della cosidetta "Legge uguale per tutti". Mio nonno diceva: "Uguale per tutti sul muro, ma non in pignatta!", nella pentola, cioè. E interessante sarebbe sottolineare pure quel videomessaggio dove il suddetto, a condanna espressa, sottolineava come fosse maturo il tempo di mettere insieme di nuovo (pescando tra gli imprenditori, i giovani, ecc.) i migliori, nell'auspicio di rifondare nuovamente Forza Italia. Sarebbe qui utile comprendere il significato di "migliori", che sembra richiamare ai potenti della Grecia antica, poiché ci aiuterebbe a definire anche i "peggiori", differenziando così in maniera scientifica tra cittadini, a dispetto della presunta uguaglianza che una democrazia dovrebbe garantire. Ecco potrei parlare di ciò, ma qui la condanna non è quella di cui sopra, e la forza nemmeno. Mi interessava invece la forza con cui è stato idealmente condannato da molti uomini di sinistra il pensiero del cantautore Francesco De Gregori per la sua intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo e pubblicata sul Corriere della Sera del 31 luglio 2013. Io credo che due passaggi vadano riportati, poiché potrebbero risultare utili per un'analisi generale. Nell'intervista il cantautore, uomo storico della sinistra italiana, ma credo anche uomo libero nel pensiero, risponde alla domanda "Ma secondo lei cos’è oggi la sinistra italiana?":
«È un arco cangiante che va dall’idolatria per le piste ciclabili a un sindacalismo vecchio stampo, novecentesco, a tratti incompatibile con la modernità. Che agita in continuazione i feticci del “politicamente corretto”, una moda americana di trent’anni fa, e della “Costituzione più bella del mondo”. Che si commuove per lo slow food e poi magari, “en passant”, strizza l’occhio ai No Tav per provare a fare scouting con i grillini. Tutto questo non è facile da capire, almeno per me».
E poi.
"...Ma viene il momento in cui la realtà cambia le cose, bisogna distaccarsi da alcune vecchie certezze, lasciare la ciambella di salvataggio ed essere liberi di nuotare, non abbandonando per questo la tua terra d’origine. Non ce la faccio più a sentir recitare la solita solfa “Dì qualcosa di sinistra”. Era la bellissima battuta di un vecchio film, non può diventare l’unica bandiera delle anime belle di oggi. Proviamo piuttosto a dire qualcosa di sensato, di importante, di nuovo. Magari scopriremo che è anche di sinistra". Sono frasi aspramente criticate, perchè provenienti da una figura amica.
Credo siano queste analisi importanti, da valutare con stima e non indicare, a prescindere, con ipotesi di colpevolezza. La "crisi" è separazione, magari temporanea, anche dalle proprie convinzioni. Il pensiero critico però aiuta.
Mi sovviene anche un altra questione, qui a margine, che forse apparirà poco pertinente, ma non lo è affatto, secondo me: la Democrazia che ci siamo dati e scelti in questo paese è del tipo rappresentativo. Non ancora quindi del tipo esclusivamente diretto. Quindi mi aspetto, dai "migliori", decisioni prese con responsabilità a fronte della rappresentanza concessa. Non si guardi sempre a destra e sinistra o diritti, ma si scelga con fermezza e convinzione, permettendo a noi cittadini una pace interiore data dalla consapevolezza di aver scelto con giudizio.