Scrivere
in questo luogo di memorie e speculazioni varie dopo quasi tre mesi
dall'ultima volta dovrebbe garantire una vastità di argomenti
sufficienti per innumerevoli righe. Così sarà, anche se mi trovo a
riflettere che mai come ora potrei anche risultare sintetico e coinciso.
Quel fuori, che in queste pagine continuo a guardare, appare come
fossilizzato, "stremato" oserei dire, dalle montagne di parole che ogni
giorno ci confondono e ammutoliscono (almeno su di me questo è
l'effetto). Argomenti su argomenti, sempre nuovi e rinnovati,
testimonianze, opinioni, riflessioni, prese di posizioni, sdegnate o
straripanti, recensioni su questo e quello, sul troppo. Cosa resta di
tutto questo in sintesi? Una sensazione come di spaesamento, di
stordimento, appunto. Il tema da affrontare è di certo quello della
comunicazione, ma direi che alla pari prende piede quello della
frammentazione. Un pensiero frammentato non è un pensiero complesso. Se
il secondo garantisce spazio al confronto (il che è auspicabile),
l'altro tende a imporre una piena amnesia intorno al fine ultimo che ha
attivato la riflessione. Un pensiero tira l'altro, diremo, come le
noccioline, ma a breve il contenitore si svuota e implode su se stesso.
Ecco, alla fine la sensazione è questa, un mare magnum di parole a
ribadire pensieri, svuotati nel senso e ancor più nel significato. E'
forse il momento di ridefinire un obiettivo, ancor di più quello di
qualificare un percorso. Non basta più "andare", ma forse varrebbe anche
la pena riflettere sul "dove"! Non sono mancate in questi mesi le
occiasioni di confronto intellettuale, grazie anche alle situazioni che,
assieme a degli amici (vecchi e nuovi) si sono andate promuovendo. Ci
si è pelopiù soffermati sul tema dei diritti, i più variegati,
volutamente cercando di non cadere nella trappola di, appunto, operare
con le cesoie, affrontando una componente e dimenticandone un'altra.
Alcune sere fa, durante un incontro pubblico a Trieste, la scrittrice
Michela Murgia parlava giustamente dell'opportunità di questi percorsi
"intersezionali" (lei riprendeva nello specifico il concetto di
femminismo intersezionale, aderendo alle proposte dell'attivista
Kimberlé Crenshaw di fine anni Ottanta). In breve: una lotta dalla parte
delle donne, per la parità di genere, risulta limitata se non estesa
anche ai diritti delle donne in quanto parte della comunità LGBTQ+ o
delle donne che affrontano problematiche inerenti la loro etnia, per il
loro colore della pelle. Insomma, i diritti sono diritti a 360°, alla
pari dei principi che li sorreggono, al di là dei "recinti" entro cui si
discutono e affrontano. Sembra una banalità, ma, invece, intravvedo in
questa visione limitata una delle questioni principali su cui
riflettere, estendendo tale speculazione alle attività culturali. Prendo
atto, infatti, di innumerevoli gruppi al lavoro da anni (oppure nuove
costituzioni) sulle tematiche sociali e, appunto, culturali (con tutte
le estensioni che la parola "cultura" sottende), impegnati a soffermarsi
su specifici campi di interesse, sulla particolarità di una proposta e
non sui principi oggettivi che a monte la sorregge. Credo sia una
questione che va posta nel superamento di ogni fondamento ideologico e
anche oltrepassando il "confine", peraltro mobile, delle chiacchiere e
delle finalità dei singoli gruppi di appartenenza politica. E'
semplicemente una questione di voler collocare su di una strada
coerente, con decisione e benevolenza verso il pensiero altrui, le
micro-storie del quotidiano e le piccole narrazioni dalla ragione
spicciola. E' un discorso di comportamenti, di etica capace di guardare
oltre i fatti minuti, per ragionare di percorsi, senza farsi distrarre
dal contesto oppure senza proporre distrazioni per finalità immediate e
risibili. Antonio Scurati mi raccontava, a margine della presentazione
fatta in anteprima a Pordenone nel settembre 2018 del suo libro "M" (che
giorni fa ha vinto il Premio Strega 2019), dell'opportunità di
coltivare una cultura dell'antifascismo non come un fatto di militanza
dietro una bandiera ideologica, dell'opportunità di portare avanti un
discorso oltre le pregiudiziali ideologiche, appunto, e ragionare sulla
democrazia, semplicemente attraverso i caratteri specifici di quella,
all'interno del suo linguaggio. E qui, va detto, per onestà verso chi ci
ha lavorato, che all'interno dei percorsi (chiamiamoli culturali per
brevità) che abbiamo cercato di promuovere negli ultimi sette anni in
Friuli Venezia Giulia con l'Associazione ETRA di Monfalcone, il tema del
linguaggio è sempre stato centrale. Un percorso a sostegno dei diritti
(e quindi basato sulla percezione dell'"altro" quale elemento fondativo)
si sostiene anche di una coerenza verbale, affrontando con
consapevolezza i fondamenti del linguaggio che si va utilizzando, senza
distrazioni provenienti dal solito contesto; superando cioè le
tentazioni di fare propri termini e significati che non ci appartengono,
impoverendo così il proprio fine. Sarebbe bello che i confronti, che la
mediaticità ci offre quotidianamente con le nuove derivazioni
semantiche del linguaggio, potessero essere viste come un fattore di
contaminazione positiva e propositiva, ma la sensazione è quella della
mimesi, della perdita, dell'utilizzo della "parola" come strumento di
omologazione, di sradicamento da un centro di riflessione.
Frammentazione
è la percezione di essere già in troppi (troppe idee, troppi
rappresentanti) e la tentazione di diventare ancora di più, di
riscontrare non le somiglianze, creando avvicinamenti programmatici, ma
sottolineare le distanze, le micro-differenze. Infatti, proprio la
proposta di un "progetto", finisce, sempre di più, per essere luogo di
contrasto e non di sovrapposizione. Nel fare le proposte, pare ci si
guardi intorno, facendo finta di non vedere. Sarebbe utile tradurre il
"dico la mia" con un "diciamo la nostra", dove il "noi" finisce per
essere un auspicato soggetto costituito da pluralità collettive. Non
neghiamoci all'evidenza che, se si è giunti a tale frammentazione di
pensiero e quindi di "identità culturale", molto lo si deve alle
difficoltà intrinseche ad un sistema Paese (Regione, Comune...).
Parlando del cosidetto terzo settore, all'interno del quale si muovono
la maggior parte delle persone propense ad un ragionamento sull'"io
plurale", la cecità del sistema ha portato ad una logica riduzionista,
non certamente idealista: per dirla in parole povere, una logica del
"facciamo cassa", del "copriamo le spese", che non determina il clima
giusto per un domani in prospettiva. Chi vorrebbe poter "mangiare"
con la cultura o con il sociale, appare oggi come un essere anomalo,
sopportato, più che aiutato: e questo in un Paese che gestisce un
"totale contestuale" fisicamente costituito dalla cultura (le città, i
monumenti, le qualità ambientali...).
Inevitabile
che in questa pappa omologante, per non perdere mai di vista il
pensiero dimenticato, ma significante, di Furio Jesi, l'impegno non può
andare più verso "il" progetto, ma sul ripensamento del "fare progetto".
Si ritorna, quindi, da una parte a scuola, sui libri, per garantire
strumenti al pensiero, e dall'altra parte in strada, per non
perdere contatto con la realtà. Resta la possibilità di guardare
indietro alle esperienze fatte, molte contraddittorie, sintomatiche di
un periodo e proprio per questo non più sufficienti o convincenti,
alcune forse deludenti, mai inutili.
Insomma, si riparte e si finisce da qui, in quest'ordine, per non perdere continuità.
Per
animare la mente segue un piccolo bazar delle cose di interesse (mi
viene sempre rimproverato di non fare più le classifiche, ma non ne
sento veramente il bisogno: però qualche consiglio per gli acquisti, per
quello che vale, si può sempre dare agli amici che mi leggono).
Un libro sulla fotografia, per parlare del "vedere": Luigi Zoja, "Vedere il vero e il falso", Einaudi, 2018.
Un libro di pensiero: Bruna Peyrot, "La resistenza del silenzio. Per una proposta politica e democratica", Mimesis 2019.
Un
libro di bisogno estetico (scrissi anni fa, nel 1997, un libro di
"cultura estetica" e quindi lascio a quello spiegare i significati che attribuisco a questo termine, "estetica", intendo): Massimo Cacciari, "La
mente inquieta. Saggio sull'Umanesimo", Einaudi, 2019.
Un
libro sul fumetto (di parole e molte immagini, importanti per capire):
Giovanni Giovannetti, Luisa Voltan (a cura di), "Come è bella
l'avventura. Mino Milani. Biografia per immagini", Effigie, 2018. Questo
libro mi ricorda molto quei volumi, bellissimi, pubblicati negli Oscar
Mondadori, nella serie gli "Album", tra cui l'"Album Calvino", l'"Album
Pasolini", l'"Album Buzzati", dove erano le immagini accompagnate dalle
parole a creare delle narrazioni splendide sulla vita degli scrittori,
ma anche su il loro Tempo. Ve li consiglio tutti!
Un
fumetto: è uscito di recente un nuovo numero della serie "Hai mai
notato la forma delle mele?", mi pare il n.5. Il lavoro di Mabel Morri
mi piace molto, da sempre, e questa serie l'ho molto amata al tempo
della sua uscita, tanto che ne facemmo una mostra nel 2006, con quelli
di ARTeFUMETTO. Riscopritela, anche in raccolta per i tipi di Ren Books.
Un
libro di finta narrativa (in cui mi ritroverei, se dovessi scrivere
ancora dei racconti, ma non credo): Emanuele Trevi, "Sogni e favole",
Ponte delle Grazie, 2018.
Un
libro su quell'arte che chiamiamo contemporanea, ma che ormai mi pare
già storicizzata nei fatti, mentre una diversa o rinnovata non la vedo
ancora (che se poi consideriamo, a piacimento, contemporanei Courbet,
Picabia, Picasso, Fontana, i "prezzemolini", e nello spirito dei tempi,
futuristi e Yoko Ono, vorrei vedere non lo fosse questo qui): Elio
Grazioli, Bianca Trevisan (a cura di), "Maurizio Cattelan", Quodlibet,
2019 (RIGA, peridoco semestrale).
Un
film da vedere: esiste veramente qualcosa di meglio di "Avengers
Endgame", se dobbiamo parlare di quello che il cinema deve fare in
termini di intrattenimento?
Un
disco da ascoltare, per accompagnare tutto questo: un pò di Sharon Van
Etten (Remind Me Tomorrow), un pò di Coma_Cose (Hype Aura), un pò di
Fontaines D.C. (Drogel) e un qualcosa a caso di Neil Young che non
guasta mai (This Note's For You).
FINE.
(immagini in testa e in coda viste a Venezia girando tra le Gallerie d'Arte private)