domenica 27 luglio 2014

Storie di vita: rubrica di lamentela quotidiana

Nel post precedente ho affrontato il mondo della fantasia, calandomi all'interno di mondi virtuali immaginati, che ci auguriamo non possano mai essere, per esorcizzarli un pò e comprendere meglio come sarebbe duro vivere umanamente situazioni come quelle descritte nelle storie proposte (spero si capisca l'ironia). Essendomi messo in pace con la coscienza grazie a quell'excursus distopico sulla realtà, posso ora affrontare a cuore leggero le situazioni più complesse che la vita quotidiana mi propone: leggere, ascoltare, vedere. 1) Leggere. Sono un caso disperato, sempre meno disposto a dedicarmi all'attualità letteraria, che pure mi incuriosisce. Mi dedico a cose stampate molti anni fa, leggo i classici, quasi seguendo quell'invito di Italo Calvino del 1981, quando tra le pagine de L'Espresso, scriveva quel suo contributo Italiani, vi esorto ai classici. Come Calvino tento di escludere "il brusio alla finestra, accettando il discorso dei classici che scorre chiaro". Diceva Calvino: "D'un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima. D'un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura". Devono ben saperlo, in questi mesi di frenetica ricerca di una propria identità editoriale, le disperate case editrici italiane specializzate in arte sequenziale (fumetto). Meglio rileggere, quindi, meglio ristampare. E' certo questo il pensiero che muove il fare etico di questi nostri bravi editori italiani. Altri reinterpretano la cosa come "meglio importare" che stare lì a favorire nuove scritture e ricerche da parte di giovani o meno giovani autori nostrani. Si parla tanto della crisi del calcio, della crisi del calcio giovanile. E la crisi del fumetto giovanile dove la mettiamo? Se basta che salti fuori un Zerocalcare o un Roberto Recchioni per portarli in trono tra mille vestali adoranti! Ma è il soldo più che l'audacia a muovere il mondo, anche e specie quello editoriale. D'altronde non saranno pur lì ad investire, rischiando del loro, per accontentare uno scemo, come sono io? Ebbene, io li capisco. Sinceramente. Ma perlomeno non approvo il senso di vuoto che circonda questo fare, che rischia di azzerare una passione, quella verso il fumetto che mi sento ancora di avere, anche se più sottile, come un battito che giornalmente sfoca. Leggo i classici, rileggo i classici. La grande ondata del fumetto franco-belga, finalmente ovunque, nei cartonati dai costi impegnativi e nei giornaletti da edicola (dove, con la vista che cala con gli anni, tendi a perdere quella che ancora ti rimane). Storie sognate per decenni e che infine arrivano in Italia come una marea, proprio ora che il soldo scarseggia per tutti e ci si trova a dover selezionare. Io ho selezionato i volumoni de L'integrale di Spirou e Fantasio, di André Franquin (RW Edizioni/Nona Arte), che mi porto anche a dormire come una coperta calda, perchè sono il meglio del meglio del meglio. La Disney è andata in Panini, con le sue logiche di copertura a tappeto del mercato editoriale, e che, in un momento ancora incerto sul da farsi, sta portando realtà storiche come Topolino a degli scartamenti impercettibili, trasformandole ogni giorno sempre più a propria immagine e somiglianza, nei temi, negli indirizzi delle storie e di logica editoriale. E alla Disney sono contenti, forse si convincono di essere contenti. Così rileggo, L'opera omnia di Romano Scarpa, in edicola in allegato al Corriere della sera/La Gazzetta dello Sport, che in ben 48 volumi contiene tutta la cultura Disney che è stata (Barks, Gottfredson, Martina, ecc. ecc.) e quella che poi sarà (Cavazzano, i nuovi Disney, Casty). Si spera di avere librerie sufficienti a contenere questa nostalgica ondata di piena. L'edicola è sempre più luogo di acquisto. La nuova edizione di Ken Parker della Mondadori consente, nelle sue molte sfacettature, riletture ampie e articolate di un periodo storico variegato e mediato dalla provenienza politico-culturale dei suoi autori (dal '68 al '77, sino alla crisi di valori degli anni '80, ecc.). Storie bellissime, alternate a storie a volte retoriche (o perlomeno tali nella lettura dell'oggi) e quindi per questo non tutte adeguate ad essere inserite nei classici. Ma in alcuni casi il formato proposto dalla nuova edizione permette di riscoprire un tratto importante e innovativo (di Milazzo soprattutto) o genialmente tradizionale (Trevisan, Cianti, Marraffa) e di comprendere come Giancarlo Berardi scrivesse la sua epopea pensando proprio a Milazzo, a quel suo segno che, forse unico, sapeva tradurre realmente una volontà d'arte precisa. Quelle storie, di impianto bonelliano, rilette oggi, fanno comunque, anche nella loro in alcuni caso debolezza, tabula rasa della produzione attuale della casa milanese. E' classico ciò che persiste come rumore di fondo, scriveva Calvino; quanto dell'odierno consente questa permanenza? Leggo anche cose nuove, che dalla cultura franco belga arrivano in Italia per opera di Bao Publishing, i Peeters, Blain, Vives; ma la casa editrice milanese eccede in un fiume di pubblicazioni che, nel voler determinare e dominare il mercato, sorprendono infine per l'eccessiva  emotività critica che le sostengono. E poi ci sono alcuni rivoli minori che del classico potrebbero avere il sapore e che andranno approfonditi nella rilettura di domani: la scrittura di Matt Kindt (MIND MGMT e vari) e le invenzioni di Fraction e Aja per Occhio di falco della Panini Comics. Rileggo, rileggo, per saturazione, per necessità, per nostalgia, anche. 2) Ascoltare. Potrei rifare discorsi analoghi, trasposti nell'universo dell'audio. Il così detto Indie Rock o Indie Pop, che ormai accomuna tre quarti di ciò che esce di meticcio o pasticciato (più per messa in opera del già sentito, che per ricerca vera del nuovo), ha rotto abbastanza le scatole. Riascolto. Neil Young (Weld), i Crosby, Stills, Nash & Young (è uscito un Live del 1974 in disco triplo che mette i brividi), Led Zeppelin (i dischi di sempre), CCCP (Ortodossia). Ogni tanto mi apro ai nuovi ascolti, spesso là dove in fondo rileggo tra le righe il già sentito che mi piace: Trixie Withley (Fourth Color), Glass Animals (Zaba), Sharon Van Etten (Are We There). Respiri ampi e suoni minimali o complessi dell'oggi a fare il paio con l'energia viscerale del passato. 3) Vedere. Continuo a guardare fuori, a volte riesco miracolosamente anche a vedere; però lo sguardo passa perlopiù veloce, perchè capire, troppo spesso, "nuoce gravemente alla salute".

domenica 20 luglio 2014

Storie a fumetti

I "miei venticinque lettori" commentano a volte queste pagine chiedendomi di parlare ancora di fumetto e lamentandosi perché trascuro tale tema, relegandolo negli abissi di qualche post passato. E io, che non posso astrarmi dal ringraziarli, mi trovo quasi per caso a poterli accontentare. Volevo così parlarvi di tre storie a fumetti (graphic novel?) che in questi giorni mi stanno appassionando. Il periodo vacanziero ne aiuta la lettura. La prima storia a fumetti si intitola "Quanti ancora ne dovranno morire?", sceneggiato dal Consiglio dei ministri dell'Unione Europea e dalla Commissione UE e disegnato dai Ministeri agli Affari Esteri dei vari stati membri della UE stessa. Un fumetto autoprodotto, dalla trama avvincente. In breve. Ventotto paesi che costituiscono un Parlamento europeo se ne fregano per anni che vi sia coerenza tra le reciproche politiche estere e, in assenza di una figura forte a livello europeo, quale un Alto rappresentante per gli affari esteri, capace, indipendentemente dal suo nome, a fronte anche del proprio ruolo di vicepresidente della Commissione UE, di individuare atti significativi e promuovere leggi adeguate in materia, tenendo così a bada l'ingerenza dei singoli paesi in politica estera, preferiscono rimandare la nomina di quello a dopo le vacanze d'agosto (e la consegna dei ruoli a novembre), facendo gli struzzi dinanzi a centinaia di morti espressi dalle crisi internazionali mondiali. Parallelamente un uomo qualsiasi compra al mattino di ogni giorno qualunque il suo giornale o sintonizza la sua televisione sul telegiornale nazionale, e dinanzi all'uccisone di venti o trenta o cento palestinesi, di alcuni israeliani, di alcuni ucraini filonazionalisti, di qualche ucraino filorusso, di molti iracheni, di quasi trecento viaggiatori internazionali sulle rotte aeree europee, di manciate di africani annegati o stremate sulle coste italiane, spagnole o cipriote, si chiede il proprio ruolo nel contesto mondiale, si versa il caffè, gira la pagina o cambia il canale. Il finale del fumetto è aperto. Un secondo fumetto si intitola: "Anni di parole inutili". Ai testi l'intera classe giornalistica e politica nazionale e alle illustrazioni la curiosa morbosità del 95% di un popolo. Casa editrice: tutte, partecipanti con un raggruppamento temporaneo di impresa. Parla di un politico italiano, nonchè ex imprenditore di fama internazionale, che a fronte di accuse proseguite per mesi e un coinvolgimento dell'opinione pubblica intera su delle vicende marginali, rispetto le reali problematiche economiche e di politica estera di un paese, si trova infine assolto in appello di giudizio. E il Paese, invece che approfittare finalmente di questo, per dimenticarsi di uno sfiancamento giornalistico infinito attorno ad  una vicenda che comunque sia potrà avere una sua conclusione giudiziaria, ma che non sposterà di nulla il parere comune sull'operato morale e se vogliamo etico del politico stesso, affronta culturalmente il suo domani, iterando la propria curiosità di comprendere ancora qualcosa di una vicenda che persone intelligenti e interessate al futuro di una nazione vorrebbero sapere sepolta nel più breve tempo possibile nelle maggiori profondità della terra, riprendendosi così una dignità condivisa a livello internazionale (scusate, la frase è impegnativa nella lettura, al pari della vicenda). Storia interessante, sviluppi mediocri, conclusione insignificante. Il terzo fumetto che sto leggendo (a fatica) e che non ho ancora finito, essendo lunghissimo, scritto male e disegnato peggio, si intitola "Senza fine?". E' la vicenda di un operaio del settore metalmeccanico italiano, di un commerciante della piccola distribuzione, di un imprenditore del settore edilizio e di un libero professionista, che per caso si incontrano in un bar alle dieci del mattino e reciprocamente si chiedono come mai non siano al lavoro. La risposta passa da bocca in bocca nelle parole dei quattro protagonisti, che nel narrare storie personali, evidenziano una problematica comune: la totale assenza di una programmazione economica seria, che porta ogni specifico attore a guardarsi prima indietro con nostalgia per una povertà o un benessere che comunque offriva condizioni possibili o speranze palusibili, e poi a guardare avanti con un punto interrogativo e una frase comune, che termina con queste parole "...pezze al culo!". In questo momento sto ancora leggendo, però le pagine per arrivare alla fine non sono ancora molte. Spero che questa recensione abbia soddisfatto sia i miei due follower, che i casuali passanti. Grazie.

domenica 13 luglio 2014

Le mie scarpe

La mia curiosità verso le situazioni più disparate e verso le persone mi porta ad affrontare le esperienze più varie. Alcuni potrebbero pensare a questo comportamento come un malcelato presenzialismo, ma sinceramente il desiderio del mettersi in mostra è molto lontano da me, come processo mentale e indole, anche se non vi nascondo come tale atteggiamento non mi crei nessun problema mentale o timore. E' dunque più un desiderio di conoscere le cose per poterne parlare con consapevolezza, diciamo con 'soggettiva' consapevolezza. Non avevo mai partecipato, risultando completamente estraneo a quel mondo, ad una manifestazione che invece ha sempre prodotto in me grande interesse e simpatia. Si tratta di "Its. International Talent Support", giunto alla sua 13° edizione. Si svolge annualmente a Trieste e rappresenta un'occasione di visibilità per giovani creativi, designer, fashionist, messi in evidenza, tramite una selezione internazionale, alle maggiori case di moda, ai brand e simili. Dare sfogo ai "sogni lucidi" di ciascuno è il senso del contest che Barbara Franchin, direttore di ITS, propone ai giovani e a chi poi sulla moda e sul fashion sviluppa uno dei mercati più attivi e floridi dell'economia italiana e internazionale. Comprendere il senso di quel sogno mi ha stimolato, soprattutto per affrontare meglio le difficoltà spesso prodotte dal risveglio: la vita reale, l'odierno. La serata finale di ITS è qualcosa di assolutamente glamour, e soprattutto esclusivo, devi far parte della cerchia della cerchia della cerchia per accedervi, o lavorare a contatto con qualcuno che in quel mondo già lavora (gli sponsor, i partner, gli organizzatori). Devi essere l'ospite desiderato e invitato. Ho per questo accettato di rispondere alla chiamata del concorso organizzato da ITS e da il quotidiano il Piccolo, dal titolo "Qual'è il tuo sogno lucido?". Dieci biglietti per la sfilata messi in palio ai primi dieci classificati. Valevano le fotografie, i video, le parole, i disegni per descrivere uno stato di sogno cosciente, durante il quale si è in grado di poterlo indirizzare, mettendo alla prova le proprie aspettative. Io ho spedito questo, cioè una foto, che ho intitolato "Un gesto quotidiano".
Insomma, ho vinto, e così la serata del 09 luglio all'Hotel Savoia di Trieste sono stato reclutato per il ritiro del biglietto-premio, con tanto di foto del gruppo vincitore, poi apparsa sul quotidiano triestino (questa qui sotto), quindi la sera del 12 luglio, alla ex Pescheria, oggi Salone degli Incanti, ho potuto partecipare da spettatore ospite alla sfilata.
Sulla sera del 09 luglio va detta una cosa. Mi ha colpito come nella foto sembriamo tutti degli amici in vacanza. In realtà nessuno conosceva l'altro e la cosa più incredibile è che a nessuno interessava minimamente di chi fosse e cosa avesse proposto per l'occasione l'altro. Tantomeno interessava a chi ha distribuito i biglietti alimentare alcuna comunicazione reciproca. Questa cosa, che è propria di molte situazioni similari, mi ha sempre atterrito. La presa di coscienza che a nessuno importi veramente nulla della cosa in sè, ma che tutto risulti finalizzato alla comunicazione a terzi, a destinatari altri che stanno in luoghi virtuali esterni a noi. Le relazioni umane non ne traggono beneficio. Alcuni giorni dopo ecco la sfilata. Come per tutti gli eventi con delle limitazioni all'accesso c'è sempre un punto di vista 'da fuori' e un punto di vista 'da dentro'. Mentre aspetto di entrare valuto il primo. Risulta palpabile il desiderio di poter entrare da parte di chi non sarà della partita. Ma qualcuno di questi ha provato a fare il concorso? La speranza senza azione è sterile. Molte ragazzine sono lì nella speranza di avvicinare Mika (il cantante; ecco qui una sua foto scattata all'interno); molte resteranno deluse, qualcuna no.
Il valore del bigliettino verde che tengo in mano, con la scritta "Lucid Dream Ticket", assume con il passare dei minuti valori emozionali e di status sociale pazzeschi (i biglietti hanno colorazioni diverse per permettere di assistere alla sfilata da zone diverse delle gradinate; il verde è quello per gli ospiti esterni, l'elite dei nessuno nell'ambiente, quelli come me, con solo una quarantina di posti riservati a disposizione; va detto però che erano posti ottimi e si vedeva il tutto magnificamente). Superata la barriera tra il 'dentro' e il 'fuori' ti aspetta il 'paradiso'. La mostra degli oggetti progettati dai giovani designer (gioielli e artwork in genere), l'ambiente stilosissimo, la gente che ti circonda vestita con tutte le attenzioni del caso (la scarpa, il calzino, il bermuda, il tacco, il cappello, il rimmel diventano armi atomiche per una guerra di corpi sfiorati e sguardi). Anche all'interno vi sono separazioni ulteriori, un privè dove lo status si marca ancora, decretato dal prosecco servito agli ospiti illustri. Mika è assediato. Una fan non più giovane piange chiedendogli l'autografo. Poi ci si siede, la musica è ossessiva e piacevole. Poi le luci si spengono, partono video, partono parole scandite, iniziano le sfilate. I modelli camminano veloci.



Poi le premiazioni presentate dall'attrice Anita Kravos e i giovani creativi premiati. Si parla solo l'inglese. Quindi gli applausi finali. Poi tutti (gli altri) a sorseggiare vodka, mentre molti avvicinano i premiati per uno scambio, una foto (lo smartphone e la socialità online si esprime a livelli  mai visti). Esco e piove. Mi bagno, senza ombrello, passeggiando lungo le Rive solitarie e vuote di una Trieste come sempre bellissima. Una splendida serata. Veramente. Un'organizzazione perfetta, impeccabile, di grande spessore internazionale, senza nessuna sbavatura, come non ne ho viste quasi mai in Regione. Un clima allo stesso tempo affettato e affettuoso, distaccato e conviviale. Nessuno dice, "Ciao, come va"?, ma solo "Sei splendido? Anzi lo sei sempre?" Sei stato magnifico!", "Ti adoro!". Un galateo continuo della parola. Sono perplesso, ma sono stato benissimo. Risalendo in auto, mi bagno le scarpe in una pozzanghera. Le riconosco quelle scarpe, sono le stesse di sempre, sono le mie.