giovedì 28 febbraio 2013

Piccole scatole emozionali n. 13

Una lavagna scritta con il gesso. Quel gesso che quando lo tieni in mano ti sporca e ti rende le dita fastidiose. La fatica per compilare una lavagna. Le braccia che ti fanno male dopo un pò che ci stai scrivendo. La consapevolezza che i tuoi pensieri trascritti durano solo un istante, poi basta uno straccio a cancellarli. E, più in fondo, il ricordo di te in piedi con venti persone dietro le spalle che ti guardano mentre tu cerchi di ricordare la formula per completare una funzione matematica; e ti rendi conto che no, proprio non la ricordi, e allora ti viene il dubbio che forse il liceo scientifico non sia proprio il posto migliore dove stare se quella funzione proprio non ti sovviene; allora guardi a destra e vedi la porta, poi guardi a sinistra e vedi un adulto che ti guarda e non pare imbarazzato, ma anzi un pò di sadismo il suo sorriso lo eplicita. Così, poni il gesso sul davanzalino in legno che sta alla base del "mare nero" e alzi le mani, arrendendoti. Una goccia di sudore bagna appena la tua fronte ampia, poi cade. Tra il distacco della goccia e il suo spalmarsi a terra un tratto di vita lungo trent'anni. 

venerdì 22 febbraio 2013

Canzoni stonate

Se scrivo su questo blog  la parola "elezioni", aumento l'attenzione di chi mi legge? E' più utile esprimere un pensiero, anche se strampalato, oppure tenerselo dentro e trasformarlo in dubbio? Di questi giorni pre-elettorali non ci resterà a breve nulla in mente, perché le certezze dei più valgono molto meno dei dubbi dei pochi; inoltre la comunicazione tutto amplifica e tutto distrugge, nel breve tempo in cui i fatti accadono e si dimenticano. Ciò che è chiaro è che tra pochi giorni ancora una parte della storia italiana ci passerà vicino, assimilandosi al passato già scritto. Ancora una volta comprenderemo di aver aggiunto solo un foglio di testo nel libro sempre incompleto della Storia. La parola che più ho sentito in questi giorni svilenti è "lavoro". La Costituzione Italiana recita all'art.1, tra i Principi fondamentali: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro". Nei discorsi della gente ritorna spesso  il detto: "Il lavoro nobilità l'uomo". A margine: "manca il lavoro". Io credo che in queste ore pre-elettorali preferirei sentirmi dire: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro bene e adeguatamente remunerato"; e in calce: "Il lavoro pagato in maniera adeguata, nobilità l'uomo, e lo rende sereno". Infine: "il lavoro non manca, mentre mancano invece i soldi per far sì che il lavoro garantisca all'uomo una vita degna e onesta". E' incredibile come sia vasto il paniere delle parole a nostra disposizione e come basti una virgola mal posta per stravolgere il senso delle cose e trasformare una speranza in uno scioglilingua. Ed è incredibile quanta gente brava a scombinare le virgole ci sia in giro.

sabato 16 febbraio 2013

I comunicatori e me

Avete mai notato come tradurre un concetto, un semplice pensiero, in un testo produca un allontanamento involontario rispetto il centro stesso del suo senso. E' come se nel passaggio dal cervello alla mano vi fossero migliaia di filtri che distorcono il nucleo portante di una riflessione, sino ad arrivare al punto che nel rileggere la parola/frase/pagina appena scritta si ha la sensazione di averne perso la paternità. Non resta allora che guardare questa creatura da lontano, con distanza ed un certo smarrimento. E' solo dei comunicatori l'"arte" di saper superare questo ostacolo invisibile; quelli sanno tradurre a parole dette e scritte, con precisione, il centro del proprio pensiero. Sono i comunicatori "bestie" realmente rare, che inevitabilmente finiscono per essere onnipresenti ovunque e ricercati. Negli ultimi tempi mi è capitato di leggere varie cose di Maurizio Ferraris, da quelle divulgative che pubblica in allegato ai quotidiani, a quelle più prettamente personali e scientifiche, sino a suoi pensieri raccolti da altri durante conferenze o lezioni pubbliche. Un gran bel leggere, anche se le mancanze personali (mie intendo) inciampano a volte nell'ostacolo di un termine, che genera il dubbio a fronte di rimandi che imporrebbero ben altre attenzioni al pensiero filosofico contemporaneo in particolare. Così prendi uno di questi libriccini curati da Ferraris per il quotidiano la Repubblica e, nel riassunto del riassunto qui contenuto, trovi riflessioni molto interessanti, peraltro difficilmente raggiungibili se dovessi, da mero curioso, aspettare di avvicinarmi a tutti i testi e gli autori là citati. Così ho trovato molto interessante rileggere alcune cose dell'Hegel dell'Estetica, allorché scrive "non abbiamo più alcuna necessità di dare espressione a un contenuto nella forma dell'arte". Ecco, suggerisce Ferraris che l'opera d'arte perde la sua funzione di veicolo privilegiato per esprimere contenuti. Non è più l'arte a definire i nostri punti di vista sul mondo e anche su noi stessi. E Ferraris riprende Arthur C. Danto (quello de La trasfigurazione del banale, con la consapevolezza che basta un uomo che la consideri tale, perchè l'opera d'arte sia tale), allorché dice che "l'importanza storica dell'arte sta ormai solo nel fatto di rendere possibile e importante la filosofia dell'arte". Ancora da Hegel (da La fine dell'arte): l'arte "definitivamente vaporizzata in una nuvola di pensiero su se stessa". Insomma l'arte che non precede il pensiero, ma lo subisce: non prefigura, ma figura e basta: l'arte che non corre, ma si gode il divano. E poi, ancora dalle parole di Danto e di Ferraris, la fantastica comprensione dell'essere il museo cornice per l'opera d'arte e infine anch'esso centro dell'attrativa estetica al pari dell'opera; il museo che diventa per l'opera ciò che la chiesa è per la reliquia: da una parte ceri, santini, le tele o gli affreschi, le sculture, gli odori, dall'altra gli shop, con l'oggettistica reliquiale (matite, gomme, portachiavi marchiati) e le copie seriali figlie dell'"epoca della riproducibilità tecnica" di Walter Benjamin.
Cambio di scena, incontro lo scrittore (premio Bancarella 2009) e sceneggiatore televisivo, nonché criminologo, Donato Carrisi a Pordenone, dopo un incontro/comizio tenuto davanti un mucchio di studenti, da prima solo contenti per aver saltato l'ora di lezione e desiderosi di andarsene per i fatti propri al più presto, mentre più tardi saranno completamente assorti e incantati dalle parole del nostro; nel mezzo lui, che inizia dicendo che avrebbe finito quella comunicazione facendoci tutti cantare, e continua poi buttando sul piatto un suo presunto fatto personale (storie di uomini e donne) che avrebbe trovato conclusione solo parimenti all'incontro. Insomma, tre minuti tre di parole e una platea in mano. A Carrisi mi viene da dirgli nell'incontrarlo a margine che è un bravo comunicatore. Lui mi stringe la mano e ringrazia. Mi viene anche da aggiungere: "Non so, in realtà, se sia un complimento!" Mi ristringe la mano più forte e mi ringrazia di nuovo, ma per salutarmi. Per me Carrisi è un grande. Non so se sapete cosa significa tenere seduti duecento studenti in preda agli ormoni (lo facemmo una volta io e Giuseppe Palumbo, durante un incontro a Majano, e mi sembrò, allora, un miracolo), parlando di fatti di cronaca criminale, di storie, di tutto. Per me Ferraris è anche un grande, ha fatto il punto, in un libretto di neanche cento pagine dal titolo Arte. Perchè certe cose sono opere d'arte?, su temi che mi avrebbero costretto a riprendere letture importanti, difficili, che avrei poi dovuto correlare, con riflessioni critiche alte di cui forse sarei stato capace, ma forse anche no. Insomma eccomi qui, smontato nel pensiero di un testo e nel ricordo di un incontro; che hanno frustrato ampiamente le mie velleità e i miei entusiasmi nel fare ricerca in maniera autonoma, lasciandomi a bocca aperta, così come gli uccellini appena nati nel nido, a farmi imboccare passivamente e ingrassare. Odio la televisione per questo. Mi turba il web per questo. Perché entrambi non mi stimolano, ma mi permettono di tenere la bocca aperta e lasciare che le cose ci cadano dentro. E non sai se ciò che cade sia utile o "insidioso"; e non sai se la fatica che facevi da studente per scavare nei libri le cose e trascriverle, rimettendoci nel fisico per lo sforzo fatto, avessero a posteriori realmente un sapore amaro, invogliandoti a sputare. A volte il dolce inganna.